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22 marzo 2013

IRAQ: 10 ANNI DOPO L'INVASIONE I CRIMINI USA RESTANO IMPUNITI!

Donald Rumsfeld
Dick Cheney
George W. Bush
Il male scatenato sul popolo iracheno è stato accuratamente nascosto dietro un paravento di menzogne. Dalla fine della seconda guerra mondiale, i leader politici americani e gli opinion maker hanno indotto il pubblico a ritenere che l'uso aggressivo, palese e occulto, della forza militare siano strumenti essenziali della politica estera degli Stati Uniti. Da un disastro militare all'altro, inviando i nostri cari in guerra, uccidendo milioni di persone innocenti e destabilizzando una regione dopo l'altra, ogni nuova amministrazione ci assicura di aver imparato la lezione del passato e che merita il nostro sostegno e sacrificio per la sua ultima strategia militare.  
 
Ma la rete dei miti, degli eufemismi e la cortina crescente dietro la quale i nostri leader si sentono costretti a nascondere le politiche di guerra smentiscono l'apprendimento della lezione del Vietnam, dell'Iraq, dell'Afghanistan e degli altri scenari di guerra. Gli sforzi coraggiosi di Julian Assange, Wikileaks e Bradley Manning per farci onestamente esaminare i record in modo autonomo e trarne le nostre conclusioni incontrano il terrore vendicativo delle sale del potere.

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935 BUGIE PER GIUSTIFICARE LA GUERRA IN IRAQ
LE DUE GUERRE DELL'IRAQ
IL SACCHEGGIO DELL'IRAQ

15 febbraio 2013

PERCHE' IL MONDO PREMIA I PROPRI SACCHEGGIATORI ?

Di Eduardo Galeano
Pagina12
Il lanciatore di scarpe iracheno, che scagliò le proprie calzature verso Bush, è stato condannato a tre anni di carcere. Non merita invece un’onorificenza? Chi è dunque il terrorista? Il lanciatore di scarpe o il suo bersaglio? Il serial killer che ha volutamente determinato la guerra in Iraq su un terreno di bugie massacrando una moltitudine d’individui, legalizzando e ordinando la tortura di altri non è forse il vero terrorista?

Il popolo di Atenco, in Messico, i Mapuche, indigeni del Cile, i Kekchies del Guatemala, i contadini senza terra in Brasile, tutti accusati del crimine di terrorismo per aver difeso i loro diritti e la loro terra, sono forse i colpevoli? Se la terra è sacra, anche se la legge non lo specifica, coloro che la difendono non sono altrettanto sacri?

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27 gennaio 2013

DEMOCRAZIA, TERRORISMO E STATO SEGRETO

DALL'ERA DI GLADIO ALLA GUERRA CONTRO IL TERRORISMO

La natura, la necessità e la portata dell’insieme dei poteri esercitati dallo Stato sui cittadini per alcuni aspetti sono argomenti di controversie nelle attuali circostanze del mondo occidentale, come lo sono stati nel lontano passato medievale pre-democratico. Nella sua opera Della Ragion di Stato, completata nel 1589, il pensatore italiano Giovanni Botero argomentava contro l’amoralità abbracciata e sostenuta filosoficamente da Niccolò Machiavelli ne Il Principe, un trattato politico incentrato sui modi e i metodi della manipolazione delle leve del potere da parte di un dominatore in uno Stato organizzato.
Di Makinde Adeyinka
In buona sostanza, il senso generale e il motore primo del trattato di Machiavelli insistono sul fatto che qualsiasi azione intrapresa da un “principe” per preservare e promuovere la stabilità e la prosperità del suo dominio sia intrinsecamente giustificabile. Pertanto, l’impiego della violenza, dell’omicidio, dell’inganno e della crudeltà verso il conseguimento di tali obiettivi non è ignobile, nella misura in cui "il fine giustifica i mezzi”.
Tuttavia, date le implicazioni ad un necessario ricorso all’illegalità e a metodi conseguenti che generano ben più di un soffio di autoritarismo, il “fine giustifica i mezzi” non corrisponde alla rappresentazione concettuale del modus operandi con cui i moderni Stati occidentali democratici, si suppone, dovrebbero operare, in termini di strategie politiche, sia in ambito nazionale che all’esterno.

21 novembre 2011

BUSH E BLAIR PROCESSATI PER CRIMINI DI GUERRA

Per la prima volta saranno esaminate le accuse per crimini di guerra contro i due ex capi di Stato. Dal 19 al 22 novembre 2011, il processo contro George W. Bush (l'ex presidente degli Stati Uniti) e Anthony L. Blair (ex Primo Ministro britannico) si terrà a Kuala Lumpur. Questa è la prima volta che le accuse per crimini di guerra contro i due ex capi di Stato saranno esaminate nel rispetto di una corretta procedura legale.
Le accuse sono state dirette contro gli accusati dalla Commissione per i Crimini di Guerra di Kuala Lumpur (KLWCC), a seguito delle procedure previste dalla legge. La Commissione, dopo aver ricevuto denunce da vittime della guerra in Iraq nel 2009, ha proceduto ad effettuare un'accurata e approfondita indagine per quasi due anni e, nel 2011, ha costituito accuse formali per crimini di guerra contro Bush, Blair e i loro associati.
L'invasione dell'Iraq nel 2003 e la sua occupazione hanno provocato la morte di 1,4 milioni di iracheni. Innumerevoli altri hanno sopportato torture e privazioni indicibili. Le grida di queste vittime sono finora rimaste inascoltate dalla comunità internazionale. Il diritto umano fondamentale di essere ascoltati è stato loro negato.

1 ottobre 2011

Sanzioni: Tagliare i globalisti fuori dall'umanità

L'Onu sanziona nazioni sovrane, Noi il Popolo Sanzioniamo l'Elite Globale: è tempo di tagliarli fuori dall'umanità.
Editoriale di Tony Cartalucci
Land Destroyer Report
Il primo passo per distruggere un nemico trincerato è tagliarlo fuori dal resto del mondo. I globalisti della NATO, gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia, il Qatar e altri, hanno illustrato questo principio in Libia su più livelli. Prima hanno tagliato la nazione della Libia dal mondo esterno, imponendo embarghi sulle armi e commerciali al governo libico, bloccando le loro spiagge, e prendendo il controllo del loro spazio aereo. Mentre le  brigate del terrore del Gruppo combattente islamico libico (LIFG) di Bengasi spazzavano tutto il paese sotto la copertura della Nato, seminando stupro, omicidio, e brutalizzazione sul loro cammino, i globalisti hanno iniziato ad organizzare l'accerchiamento e l'isolamento delle singole città libiche, permettendo (e dando sostegno) ai ribelli di tagliare cibo, forniture mediche, gas da cucina, elettricità e, inimmaginabile, persino l'acqua, per sottomettere le popolazioni affamandole letteralmente. Mentre il popolo della Libia ha dimostrato immensa decisione contro questa strategia, è solo per l'incompetenza della NATO e la mancanza di forza d'animo, carattere, o di qualsiasi desiderabile qualità umana tra i ribelli che questo processo di isolamento e assedio del popolo libico non è riuscito.

15 febbraio 2011

USA: Stato di polizia (II - III)

La guerra che gli USA hanno portato avanti in diversi paesi del Medio Oriente ha permesso che sviluppassero tutta una serie di nuove tecniche, proprie di uno stato di polizia dove i diritti umani e il rispetto delle libertà della popolazione passano in secondo piano.
Di Néstor García Iturbe
La pupila insomne
Quando queste tecniche sono applicate in Iraq o Afghanistan hanno la caratteristica di essere usate in paesi occupati, dove l’esercito statunitense non deve rendere conto di quel che fa. Quando vengono usate sul territorio statunitense si calpesta la Costituzione e tutto ciò che è stato dichiarato come sacro per la vita di questa nazione.
In alcuni stati, le pattuglie della polizia sono equipaggiate con una video camera televisiva tipo militare con lenti ad infrarossi, che vengono collocate sopra il tetto delle macchine. Questa camera ha un movimento continuo, da una parte e dall’altra, dove capta le targhe delle macchine, inviano il segnale ad una centrale, che analizza l’immagine e informa se la macchina è stata coinvolta in qualche violazione. 
L'informazione arriva alla schermata delle auto di pattuglia, che riferisce se deve essere fermato e le ragioni per farlo. Se la vettura rappresenta un ulteriore pericolo, si è informati sullo schermo. Questo tipo di attrezzatura è stata utilizzata inizialmente per le strade di Kabul, prima della distribuzione negli Stati Uniti.Un altro macchinario inizialmente usato nel Medio Oriente è uno scanner portatile wireless per captare e trasmettere le impronte digitali.

21 dicembre 2010

LAVAGGIO DEL CERVELLO

Nuovo capitolo del mio spazio radiofonico su RNE. Parleremo della magia del lavaggio del cervello, lo stesso che giornalmente ci stanno facendo in Spagna i mass media, dalla Moncloa, attraverso la pubblicità. 
Soluzione? PENSARE. So che è un concetto rivoluzionario, ma perfino migliaia di anni fa sapevamo farlo. Coraggio, cari e riprendiamocelo!
di Daniel Estulin

Le ultime inchieste negli USA sullo stato dell’economia nazionale e il livello di fiducia dei cittadini, sembrano indicare che i nordamericani finalmente credono che il recupero è dietro l’angolo. E, il nostro Presidente, anche.
La “colla” che unisce tutta questa operazione e che la fa apparire come legittima all’occhio del pubblico sono i sondaggisti ed il gigantesco inganno che hanno perpetrato durante gli ultimi 50 anni. Tutti i sondaggi d’opinione pubblica hanno la loro origine nella sociometria, o la sociologia statalistica, sviluppata nella prima parte del XX secolo dalla scuola di Francoforte, uno dei principali centri del lavaggio del cervello. Si basa sulla misurazione di opinioni su determinate questioni, come tali, le indagini possono essere molto utili per le campagne del lavaggio del cervello in massa con l’obiettivo di far si che l’opinione pubblica prenda la forma più conveniente.

29 novembre 2010

IL MASSACRO DELLA CATTEDRALE DI BAGDAD: IMPRONTE SIONISTE OVUNQUE

Prima che USA, Israele e Gran Bretagna scatenassero l’occupazione genocida, distruttiva e fascista in Iraq, sunniti e sciiti, mussulmani e cristiani, arabi e curdi vivevano insieme in un’armoniosa atmosfera di fraternità e unità parallela a quella dell’occupata Palestina prima dell’occupazione sionista del 1948. E’ atroce. Ripugnante. Disprezzabile. Ignorante. Assurdo. Ed erroneo in ogni fondamento di fatto, affermare che i gruppi etnici e religiosi menzionati ora si stiano massacrando a vicenda, quando in realtà sono i criminali dell’esercito dell’occupazione che stanno sterminando tutti.
di Jonathan Azaziah

Dividere l’Iraq lacerandolo e condannandolo ad un inferno di pulizia etnica fu un complotto sionista che è stato originariamente progettato nel 1982 dal consiglire di politica estera israeliana Oded Yinon (1). Le politiche per destabilizzare l'Iraq furono recuperate più tardi e sono apparse riflesse nei documenti chiamati “Clean Break”, scritti dall’assassino di massa Benjamin Netanyahu dalla spia Richard Perle e diversi criminali di guerra sionisti tra cui Douglas Feith, David Wurmser, Meyrav Wurmser e Robert Loewenberg.(2) Agenti del gruppo terroristico internazionale conosciuto come il Mossad hanno operato in Iraq fin dal 1950, quando l'entità sionista ha lanciato una falsa campagna terroristica contro la comunità ebraico-irachena (3). L’obiettivo assoluto dell' illegittima e usurpatrice entità è stata sempre quello di distruggere l’Iraq come nazione, per poter portare avanti il suo sogno del “Grande Israele” e relegare i suoi estremisti coloniali sulle rive dei vecchi fiumi Tigri e Eufrate.

15 ottobre 2010

Stati Uniti Sotto il Dominio del Potere Sionista

Da tempo mi chiedo se in realtà esiste una lobby sionista negli USA o se questa ha già smesso di esserlo per inserirsi come parte della struttura di potere che dirige l’impero. Oggi sono incline verso quest’ultima considerazione. Non è la stessa cosa una “lobby” che per quanto potente sia si suppone che esiste per influire o fare pressione da fuori, rispetto al formare lo stesso potere. La “lobby”, rappresentata fondamentalmente dall’American Israel Pubblic Affaires Committee (AIPAC), può continuare ad esistere come un meccanismo delle relazioni pubbliche, ma è solo parte del gioco.

E parlo di sionismo, non di ebraismo, dato che alcuni capi d’Israele stanno cercando d’identificare i due termini come se parlassero della stessa cosa, per me è chiaro che il primo esprime una categoria politica ed il secondo una condizione religiosa. Ci sono ebrei, anche se una minoranza, che sono antisionisti.

28 agosto 2010

ANATOMIA DI UN MASSACRO

Venti anni fa il Medio Oriente era un'entità completamente diversa dalla zona di oggi. Non c'erano truppe americane di stanza nei paesi arabi. Iraq e l'Iran avevano appena finito una sanguinosa guerra durata otto anni. L'Iraq stava ricostruendo la sua economia e la nazione aveva un futuro radioso. Poi, il 2 agosto 1990, le truppe irachene hanno attraversato il confine del Kuwait. I kuwaitiani, in collaborazione con gli Stati Uniti e il suo partner silenzioso, Israele, iniziarono una campagna di propaganda che ha superato qualsiasi altra della storia recente.

di Malcom Lagauche 

L'Iraq aveva una protesta legittima verso il Kuwait e pensò che i kuwaitiani si sarebbero seduti al tavolo delle trattative se le truppe irachene avessero attraversato la frontiera. L'Iraq si sbagliava, il Kuwait e gli Stati Uniti avevano pianificato la distruzione dell'Iraq nel 1987

17 agosto 2010

IL SACCHEGGIO DELL'IRAQ

SPARITI QUASI 9.000 MILIONI DI DOLLARI DI FONDI IRACHENI
di

L’immagine popolare creata dai media corporativi del “saccheggio” è quella delle persone povere che prendono tv, scarpe o altri articoli dai negozi che hanno preso di mira. Molti residenti disperati, la maggior parte di essi afroamericani, di New Orleans, abbandonati al loro destino quando l’uragano Katrina inondò la città nel 2005 furono assaliti e arrestati come "saccheggiatori" per essersi appropriati di cibo in negozi di alimentari chiusi. 

Il 27 luglio l’ufficio dell’investigatore Speciale degli USA per la ricostruzione dell’Iraq ha pubblicato un rapporto dove si afferma che il Pentagono non può dare spiegazioni di un sorprendente 95% degli almeno 9.100 milioni di dollari di fondi iracheni dei quali si è appropriato quando le forze statunitensi conquistarono l’Iraq e smantellarono il loro governo nel 2003. Sono spariti un totale di 8.700 milioni di dollari dal “Fondo dello Sviluppo per l’Iraq" (DFI).

20 luglio 2010

L'IRAQ, L'AUSTERITA' FISCALE E LO STATO D'ANIMO VOLUBILE DELL' ELITE


"Forse l'aspetto più eclatante di come ci hanno venduto la guerra in Iraq era il suo falso pretesto. In realtà, non ci sono mai state armi di distruzione di massa, secondo quanto ha finito per ammettere lo stesso Paul Wolfowitz. Le armi di distruzione di massa erano solo "qualcosa su cui tutti erano d'accordo". E così succede anche con il deficit pubblico. Ai neo-liberali conservatori e ai loro alleati non interessa il deficit, quello che interessa loro è l' austerità: sventrare lo Stato democratico e sociale di diritto e ridistribuire la ricchezza verso l'alto. Questo è l'obiettivo. I deficit sono solo "qualcosa su cui tutti concordano", le armi di distruzione di massa di questa crisi assolutamente inventata. Il senatore John Kyl dell'Arizona, in dichiarazioni alla catena [di ultradestra] Fox News, è arrivato al punto di ammetterlo pubblicamente. Dobbiamo evitare qualsiasi aumento della spesa, ha detto, 'ma non bisogna mai evitare il costo di una scelta deliberata, per ridurre le tasse sugli americani'. E qui lo vedete".

di Christopher Hayes

19 marzo 2010

935 BUGIE PER GIUSTIFICARE LA GUERRA IN IRAQ

A marzo ricorre il settimo anniversario dell'invasione dell'Iraq, un'operazione approvata nel 2001 e sostenuta da una grande menzogna. Ora si comincia a conoscere la storia completa di una guerra che ha causato centinaia di migliaia di morti.
"La guerra è di vitale importanza per lo Stato, è il dominio di vita o di morte, verso la sopravvivenza o la perdita di un Impero: essa dev'essere gestita bene". Non è una frase del frustrato aspirante a Cesare del secolo XXI, George W. Bush, ma lo sembra. Fu scritta circa 2500 anni fa, dal cinese classico Sun Tzu, in L'arte della guerra. In cui il grande autore militare ha parlato anche dell' inganno come elemento chiave in un conflitto bellico. 

17 novembre 2009

IL SACCHEGGIO DEL PETROLIO IRACHENO


di James Cogan

La concessione fatta lo scorso giovedì (5 nov. NDT) sui diritti per sviluppare l’immenso campo petrolifero di Qurna Ovest, al sud dell’ Iraq, all’ Exxon-Mobil e alla Royal Dutch Shell, sottolinea ancora una volta il carattere criminale della continua occupazione statunitense. Come conseguenza diretta della guerra all’ Iraq, i principali conglomerati energetici statunitensi e transnazionali adesso stanno intensificando il controllo su alcune delle più grandi piattaforme petrolifere del mondo.

Qurna Ovest ha riserve per 8.700 milioni di barili di petrolio. Il totale delle riserve dell’ Iraq attualmente è di 115.000 milioni di barili, anche se ci sono decine di piattaforme potenziali che ancora non sono state esplorate adeguatamente. Prima dell’invasione statunitense nel 2003, il regime baazista di Saddam Hussein aveva concesso i diritti su Qurna Ovest alla petrolifera russa Lukoil. Il regime–burattino pro-statunitense ha proceduto ad annullare tutti i contratti precedenti alla guerra.

Exxon- Mobil, che ha sede negli USA, è il primo gigante petrolifero a beneficiarne. Secondo le condizioni di un contratto di vent’anni, la Exxon-Mobil e la Shell pianificano di aumentare la produzione giornaliera a Qurna Ovest da meno di 300.000 barili a 2,3 milioni di barili al giorno durante i prossimi sei anni. Allo stesso modo il governo iracheno compensa le compagnie per i costi che le migliorie alle piattaforme possono implicare- che possono arrivare fino ai 50 miliardi di dollari- queste pagheranno 1,9 dollari per ogni barile che estrarranno, cioè intorno ai 1.500 milioni di dollari all’anno. La Exxon-Mobil ha una partecipazione dell’ 80 % e la Shell del restante 20 %.

Il contratto è solo il secondo firmato dal regime di Bagdad con compagnie energetiche straniere. Martedì scorso, il governo iracheno ha concluso un accordo con la British Petroleum (BP) e con la China National Petroleum Corp (CNPC), dando loro i diritti allo sfruttamento dell’immenso campo di Rimaila e le sue riserve di 17.000 milioni di barili. BP mantiene una partecipazione di un 38% e CNPC il 37%. Lo scopo è di incrementare la produzione da un milione di barili al giorno a 2,85 milioni, che genereranno profitti per 2.000 milioni di dollari l’anno.

L’unico punto di attrito che hanno incontrato le transnazionali è che i contratti non si basano sul modello postulato dal Production Sharing Agreement (Accordo Di Produzione Condivisa), che concede fino al 40% delle entrate totali di un campo petrolifero. Anche i corrotti individui che compongono il governo iracheno hanno rifiutato di cedere i più grandi campi petroliferi a quelle condizioni. Invece, i patti appaiono classificati come un accordo di “servizio”. Questo ha permesso che il Primo Ministro, Nuri al-Maliki, e il suo Ministro del Petrolio, Hussain al–Shahristani, ignorassero il parlamento ed approfittassero dell’assenza di una legge sugli idrocarburi che regoli l’industria energetica.

Ma ci sono altri accordi sul punto di concludersi. Un consorzio composto dalla compagnia italiana ENI, Occidentale, con sede negli USA, e Kogas, della Corea del Sud, hanno firmato un accordo provvisorio per il campo petrolifero di Zubair, che conta con una riserva di circa 4.000 milioni di barili. Eni, il gigante giapponese Nippon Oil e la firma spagnola Repsol stanno spingendo per avere un campo in Nasiriya che ha riserve di simile grandezza. Al nord dell’ Iraq, la Royal Dutch Shell sta negoziando un contratto per sviluppare aree non ancora sfruttate dell’importante campo di Kirkuk, dal quale si pensa si possa avere una riserva di 10.000 milioni di barili nonostante sia già in produzione dal 1934.

Mentre aspettano condizioni migliori, le compagnie energetiche stanno facendo accordi per migliorare i campi esistenti con la speranza che in questo si trovino in una posizione vantaggiosa quando ci saranno contratti più lucrativi che usino il modello PSA nei 67 campi non sfruttati che saranno messi all’asta quest’anno o il prossimo. Anche se ha portato via più tempo del previsto, i conglomerati energetici importanti hanno deciso che adesso che l’ Iraq è sufficientemente stabile per iniziare a far scaturire denaro ampliando in grande misura la produzione petrolifera del paese. Il primo passo già è stato dato nell’aprire l' industria petrolifera irachena, nazionalizzata nel 1975, agli investimenti stranieri.

Sottolineando il carattere neo-coloniale di questa operazione, due ex alti funzionari degli Stati Uniti dell'amministrazione Bush stanno facilitando operazioni societarie in Iraq. Jay Garner, il primo da parte dell'amministrazione d'occupazione americana in Iraq dopo l'invasione, è consulente per il Canadian Energy Company Vast Exploration, che ha una partecipazione del 37% in un giacimento di petrolio nel nord curdo. Zalmay Khalilzad, ex ambasciatore in Afghanistan, l'Iraq e alle Nazioni Unite, ha installato la sua società di consulenza per le imprese nella città curda di Erbil.

L’invasione e l’occupazione statunitense in Iraq è sempre stata una guerra per le risorse energetiche. Più di un milione di iracheni sono stati massacrati, milioni di feriti e traumatizzati, le sue città infrastrutture distrutte e decine di migliaia di soldati statunitensi morti o feriti, tutto questo perché gli USA ottenessero il controllo ed il dominio delle immense riserve di petrolio in Iraq come parte delle sue vaste ambizioni in Medio Oriente e Asia Centrale.
Gli Stati Uniti non sono riusciti a raggiungere tutti i loro obiettivi dopo la prima Guerra del Golfo nel 1990-91. Il regime di Hussein è rimasto al potere e, nonostante le continue sanzioni delle Nazioni Unite, ha firmato contratti con compagnie come il gigante petrolifero francese Total e Lukoil. Dall'ultimo decennio del secolo scorso, la Russia e le potenze europee hanno fatto pressione perché fossero tolte le sanzioni e queste compagnie potessero raccogliere i profitti. La guerra è diventata per gli Stati Uniti l’unico mezzo per impedire che i loro interessi corporativi venissero tagliati.

I conglomerati energetici statunitensi non si sono limitati ad essere semplici osservatori passivi. Rappresentati di alto livello della Exxon-Mobil, Chevron, Conoco-Philips, BP America e Shell hanno partecipato agli inizi del 2001 a varie negoziazioni con il “Gruppo di Lavoro per l’ Energia” dell’amministrazione Bush, che era capeggiato dal Vicepresidente Dick Cheney. Uno dei documenti che sono stati preparati per le discussioni conteneva una mappa dettagliata dei campi di petrolio, oleodotti e terminali iracheni, e una lista di compagnie estere, non statunitensi, che progettavano di installarsi lì. Un documento di maggio del 2001 di questo gruppo di lavoro affermava, senza giri di parole, l’obiettivo degli Stati Uniti: “Il Golfo sarà il tema principale della politica energetica internazionale degli Stati Uniti”.

Gli attacchi terroristici dell’ 11 settembre del 2001 hanno offerto un pretesto per la guerra. Le bugie sulle armi di distruzione di massa irachene si sono mischiate alle stupidaggini sulle connessioni iracheni con Al-Qaeda. Nel periodo precedente all'invasione, gli esecutivi dell’industria petrolifera si riunirono ripetutamente con i funzionari dell’amministrazione di Bush. Come il Wall Street Journal commentò il 16 gennaio 2003: “Le compagnie petrolifere statunitensi cominciano a prepararsi per il giorno in cui avranno un' opportunità di lavorare in uno dei paesi più ricchi di petrolio del mondo”.

Dopo aver fatto affogare nel sangue al popolo iracheno, l’oligarchia finanziaria e corporativa statunitense crede che quel giorno è finalmente arrivato. Anche se le corporazioni statunitensi non sono le uniche a beneficiare dei contratti, non c’è alcun dubbio che hanno l’ultima parola sul suolo iracheno. Con immense basi militari nel paese e con il regime di Bagdad vincolato a Washington, gli Stati Uniti sono nella posizione di dettare condizioni ai rivali europei e asiatici e, in mezzo alle tensioni tra le grandi potenze, blandire la minaccia di tagliare le forniture di petrolio, una premessa che non è precisamente nuova nella politica strategica statunitense.

Fonte: http://www.wsws.org/articles/2009/nov2009/pers-n11.shtml

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
Vanesa

7 novembre 2009

IL MIRAGGIO DI OBAMA

LA NUOVA POLITICA ESTERA NORDAMERICANA

di Higinio Polo
El viejo topo

E' trascorso un tempo sufficiente per capire che cosa c' è di verità e ciò che è improbabile nelle promesse che Obama ha fatto durante la campagna elettorale e assumendo la carica. Finora, pochi sono i fatti, e le parole sempre più ambigue. E se non ci credete, chiedete a Zelaya.

Quasi sul punto di compiere il suo primo anno alla presidenza nordamericana, Barack Obama contempla come gli Stati Uniti continuano ad essere impantanati in una grave crisi economica e sociale, nonostante l’annuncio che la recessione è finita, che mostra più i desideri che la realtà. A gennaio del 2009, Obama arrivava con l’aureola per essersi opposto alla guerra in Iraq, promettendo la ritirata del suo esercito, e, sembra, disposto a realizzare serie riforme negli USA, liquidando inoltre, l’avventurosa e aggressiva politica estera che era stata avviata da Bush. Il nuovo presidente ha ereditato due guerre e la rottura degli accordi di disarmo che erano stati sottoscritti con l’ Unione Sovietica (L’ ABM, del 1972, sui missili antiproiettili , che era il più importante compromesso di disarmo, sulle cui fondamenta posavano tutti gli altri convegni), oltre ad una aggressiva scommessa per un falso “scudo missilistico” in Europa, che era, in realtà , un pericoloso strumento contro la sicurezza strategica della Russia.

Se giudichiamo la figura di Obama in base ai criteri della stampa europea (in generale, affascinata da un presidente che hanno qualificato come progressista, che ha abbagliato anche la sinistra moderata, che ne ha fatto del suo nome una bandiera), dovremo concludere che la sua presidenza inizia una nuova era.
Questa stessa stampa europea, che si è astenuta, in modo generale, dal criticare la ferocia di Bush e la sua dottrina fascista delle “guerre preventive”, e che cominciò a dargli torto, timidamente, solo quando la sua presidenza stava per finire, ha creato il mito di un Obama riformista, dell’ inizio di una nuova era…..che è molto lontano dalla realtà. Le ridicole lodi dai giornali e dalla tv, elevando i suoi discorsi alla categoria del pensiero politico, hanno creato una confusione enorme nell’opinione pubblica, perché non bisogna aspettarsi grandi cose da parte di Obama, anche se è certo che la sua elezione, dopo il lungo periodo dell’ incompetente e spietato Bush, la sua condizione di afroamericano, o meticcio, e la sua relativa gioventù, unita alla forza e simpatia della sua famiglia, lo hanno trasformato in un’icona popolare, alla quale anche le organizzazioni più o meno provenienti dalla sinistra, emulano.

Però, Obama condivide la generalizzata convinzione nordamericana sul ruolo provvidenziale degli Stati Uniti e la sua missione come leader del pianeta, e, fino ad ora, non ha mostrato di fermezza nell' avviare riforme progressiste, anche la sua scommessa di un nuovo sistema sanitario che raggiunga tutti i nordamericani è positiva, come lo è la rinegoziazione delle ipoteche dei cittadini che hanno perso il loro lavoro e sono rovinati, ma,
fino ad oggi, ha approvato molti più aiuti alle banche e al corrotto capitalismo rappresentato da Wall Street che partite dedicate al soccorso dei più poveri, ai milioni di disoccupati che vedono il futuro senza speranza. Ci concentreremo qui nell’esame della sua azione estera. La definizione di una nuova politica estera porta tempo, senza dubbio, ma è trascorso quasi un anno dall’arrivo della nuova squadra alla Casa Bianca e si può dire che l’inerzia dell’apparato militare nordamericano trascina Obama, e che se l' insopportabile petulanza che Washington ha mostrato in tutti i fori internazionali da mezzo secolo comincia a sparire parzialmente, non è perché il nuovo presidente abbia smesso di credere in quella caricatura di “popolo scelto” con la quale tutti i dirigenti statunitensi hanno investito il loro stesso paese di fronte al resto del mondo. Perché quella infantile e ridicola convinzione di credersi il miglior paese al mondo, di mostrarsi come il culmine del progresso universale, è condivisa anche da Obama, e i suoi discorsi ne sono la prova inconfutabile. E’ certo che Obama ha vietato l'uso della tortura, tanto usata dall’esercito nordamericano all’estero, e non si è rifiutato affinchè i responsabili della sua applicazione rispondessero di fronte ai tribunali, ma, alla fine, il Dipartimento della Difesa ha bloccato la pubblicazioni di fotografie che documentavano le torture e tutto indica che non ha nessuna intenzione di chiedere chi siano i responsabili. Inoltre, il Segretario di Difesa di Bush, Robert Gates, continua a svolgere la stessa funzione con Obama, e la finanziaria per la difesa è aumentata nonostante quanto fosse già stato destinato da Bush.

Dopo quasi un anno , Guantanamo non è stato ancora chiuso, anche se è stata annunciata la chiusura a gennaio del 2010. Non ha messo fine al terrorismo di Stato, nè si ha finito con i bombardamenti su popolazioni civili, né Obama ha rinunciato all'uso di mercenari in diversi scenari. Durante la campagna elettorale, è stata fatta una sorprendente differenziazione tra Afghanistan e Iraq, come se la guerra e l’occupazione di tutti e due i paesi non formasse
parte dello stesso progetto di controllo e di dominio del Medio Oriente e, se possibile, dell’ Asia Centrale. In Iraq, è stato annunciato il ritiro dell’esercito americano ad agosto del 2010, anche se è un annuncio trappola, come vedremo. Con l’ambizione di cambiare la percezione che il resto del mondo ha degli Stati Uniti, finendo con la politica estera aggressiva di Bush, Obama ha teso la mano alla Russia, alla Cina, ed ha annunciato il suo impegno di cambiare il Medio Oriente, dedicando speciale attenzione al conflitto tra Israele e i palestinesi, e ad una nuova relazione con l’ America Latina.

Il discorso a Il Cairo, il 4 giugno, offrendo una mano tesa ai musulmani del mondo, manteneva nell’essenza l' abituale politica nordamericana, con una nuova retorica. Animato dai precari successi in Iraq, mentre si tesse un filo spinato di un protettorato, Obama ha annunciato che
la priorità sarà la guerra in Afghanistan, inviando altre truppe e facendo pressione sui suoi alleati della NATO perché seguano la stessa strada, nonostante la reticenza della Germania e della Francia. Ignorando l’evidenza, Obama continua a mantenere la retorica bushiana che l’ intervento in Afghanistan è fondamentale per evitare altri attacchi terroristici sul territorio statunitense, anche se l’invasione del paese è stata progettata per controllare l’ Asia Centrale. Il ricorso alla “guerra contro il terrorismo” suppone di continuare ad utilizzare una bugia per camuffare gli interessi nordamericani, perché il terrorismo, degli attacchi mortali e vistosi come alcuni dei loro attentati, è il problema minore nel mondo, utile per manipolare l’emozione dei cittadini e incapace di creare il minor problema per potere globale nordamericano. Mentre il Pakistan minaccia la bancarotta, in Iran la diplomazia nordamericana apre la sua via alla negoziazione, anche senza rinunciare alla destabilizzazione. In Europa è molto difficile che Obama inizi una nuova politica, definita oggi dalla costante pressione sui suoi alleati, convertiti di fatto in ostaggi (la Francia e la Germania, ma anche la Gran Bretagna),per il rifiuto ad una maggiore autonomia europea e per l’uso dei nuovi governi dell’ Est continentale (i Baltici, Polonia, Ucraina, Georgia) come arieti degli interessi nordamericani in Europa, nazioni che agiscono come veri paesi satelliti di Washington, a volte adottando atteggiamenti più cattolici dello stesso Papa nordamericano.

La funzione della NATO, che a Washington è vista come lo strumento di una nuova politica imperiale nordamericana nell’insieme del pianeta, è un’ altra delle questioni sospese, e Obama, come Bush, si orienta a trasformarla nell’agente universale degli interessi nordamericani. Così acquista senso l’esigenza dei suoi alleati europei dell’invio di nuovi soldati in Afghanistan. In America Latina, dove gli Stati Uniti sono in evidente declino, Obama non ha cambiato nella sostanza la politica verso Cuba, Venezuela e Bolivia, accompagnata da un’azione a volte contraddittoria: in Honduras, Washington qualifica il governo di Micheletti illegale, ma la USAID lo finanzia, anche se l’agenzia giustifica le proprie azioni con il pretesto di "Aiuti umanitari". L’apparizione di nuovi attori progressisti nel continente è stata facilitata dai grossi problemi di Washington in altri scenari, e si sta consolidando, con prudenza, la nuova autonomia del Brasile e sorge all’orizzonte il pericolo di un maggiore allontanamento argentino. Il Brasile ha preso distanza dal dollaro, anche se non rompe la sua alleanza con Washington. La risposta del nuovo governo di Obama è la militarizzazione della Colombia, installando sette nuove basi militari, e un nuovo disegno nel suo tradizionale dispiegamento nel continente. Il Medio Oriente è uno dei grandi scenari della lotta internazionale per la divisione di nuove aree d’influenza e la questione palestinese contagia tutti gli attori. Obama avrebbe difeso i diritti del popolo palestinese, anche se dalla presidenza, nelle questioni fondamentali, mantiene la posizione tradizionale degli Stati Uniti, la cui diplomazia continua a sostenere che la violenza palestinese è il grande problema del conflitto: ieri la OLP, e oggi Hamas, senza riconoscere che il vero scopo dell'espropio delle terre palestinesi è la creazione di uno Stato razzista, che cerca la sua espansione territoriale e che non è disposto a riconoscere uno Stato palestinese, nonostante le tante rinunce delle organizzazioni palestinesi: Hamas aveva accettato la soluzione dei due Stati sulle frontiere prima delle guerre del 1967.

Washington esige la cessione della “violenza palestinese” ma omette questa esigenza per Israele,
nonostante l’ enorme differenza tra la sofferenza causata dagli uni e dagli altri, e senza far nessun riferimento al potere atomico israeliano (mentre si insiste sul pericolo del programma nucleare iraniano), nè ai cinque milioni di rifugiati palestinesi che in tutta la zona a malapena riescono a sopravvivere. Nonostante la nomina del burattino George Mitchell, e una retorica che insiste nel diritto alla pace e alla terra per israeliani e palestinesi, che potrebbe basarsi nella risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza della ONU, Obama non si è distanziato minimamente dal sostegno statunitense allo Stato di Israele. La finzione di presentare la diplomazia nordamericana come la mediatrice tra due nemici, israeliani e palestinesi, nasconde egoisticamente la realtà che Israele è un' efficace Stato cliente che mantiene il dominio occidentale e nordamericano soprattutto in Medio Oriente. Così, la mascherata antipatia di Netanyahu con le nuove proposte di Obama non nasce dal fatto che siano veramente equilibrate e cerchino una giusta soluzione e definitiva al dramma palestinese, ma dal fatto che a Tel Aviv sono troppo abituati ad imporre i loro punti di vista, come lo testimoniano gli anni persi sotto la direzione di Condoleezza Rice. E’ bastata una piccola petizione nordamericana perché Israele non costruisse nuovi insediamenti (illegali da ogni punto di vista, anche per la giustizia israeliana) perché Netanyahu si mostrasse provocatorio. Il primo ministro israeliano ha chiarito il suo rifiuto per l'esistenza di due Stati, e tutto indica, che nonostante l’appoggio di Obama alla creazione di uno Stato palestinese (anche Bush lo aveva detto), gli Stati Uniti non forzeranno la mano del loro alleato- cliente israeliano.

Non c’è, quindi, una svolta nella politica verso Israele
, e neanche nella pretesa di continuare emarginando la Siria, e se Abbas crede che la creazione dello Stato palestinese avverrà per mano di Obama sta commettendo un grave errore. Per l’Iraq, il nuovo presidente si riserva il ruolo della grande portaerei dell’esercito nordamericano in Medio Oriente: non bisogna dimenticare che la responsabile della diplomazia, Hillary Clinton, ha annunciato che quasi 100.000 soldati nordamericani sarebbero rimasti nel paese per altri 15 o 20 anni, cioè, fino al 2029, quando- se il mondo non lo impedisce- si compirà un quarto di secolo di occupazione militare. In modo che l’annuncio della ritirata dell’esercito fatto da Obama nasconde la realtà che l’ Iraq continuerà ad essere un paese occupato. In Afghanistan, trasformato in un “narcostato”, alla frode elettorale che ha proclamato vincitore Hamid Karzai si aggiunge una sanguinosa occupazione che non ha risolto nessuno dei problemi del paese. I signori della guerra, complici di Washington, continuano a controllare il territorio, e il fratello del dittatore, Wali Karzai, è uno dei principali trafficanti di armi e di droga afgane. La speranza che le elezioni consolidassero il processo politico si è rivelata nulla, e il rischio che il Pakistan sia coinvolto nel combattimento è reale, perché, otto anni dopo l’inizio dell’occupazione, Obama non punta sulla fine del conflitto ma per la continuazione della guerra. La nomina del generale Stanley McChristal come capo dell’esercito nordamericano in Afghanistan non è neanche una buona notizia: durante il suo soggiorno in Iraq, le torture ai prigionieri facevano parte delle tattiche giornaliere. Neanche nel Pakistan le cose con Obama sono cambiate: i bombardamenti nordamericani, con frequenza sulla popolazione civile, sono continuati come durante il periodo di Bush. Né vi è alcun approccio alle esigenze di difesa iraniane, e l'offerta di Obama di negoziazione con Teheran inoltre nasconde la pressione costante sul teocrazia iraniana.

Al di là delle considerazioni sul sanguinario regime politico degli ayatollah (che condivide con Israele il fatto di essere governati dall' estrema destra e dal fanatismo religioso), la legittima preoccupazione per la difesa dell’ Iran fa si, che anche se continuano senza riconoscerlo apertamente, la scommessa di Jatamì e Ahmadineyad per ottenere l’arma nucleare sia vista come legittima da molti paesi: si, nella zona, Israele la possiede, e il Pakistan e l’ India anche, perché l’ Iran, non dovrebbe farlo? Inoltre, conformemente agli accordi internazionali è insostenibile che le grandi potenze abbiano armi atomiche e contestare all’ Iran il voler pretendere la stessa cosa. Senza dimenticare che gli Stati Uniti hanno 29 basi militari nella regione, tra la Turchia, l’ Arabia, il golfo, Oman, Pakistan e Afghanistan, più l’insediamento in Iraq e le sedi in Asia Centrale, vicine anche all’ Iran…..da aggiungere al potere militare israeliano.
Non è ragionevole che l’ Iran pensi alla sua difesa? Nonostante tutto, l’accettazione da parte di Teheran che l' OIEA ispezioni le installazioni di Qom da un' opportunità alla diplomazia. La relazione con la Russia continua ad essere una delle questioni centrali della politica estera di Washington. A febbraio, durante la Conferenza Internazionale sulla sicurezza, a Monaco, il vicepresidente Joseph Biden, che ha parlato della “nuova era”, ha offerto il “reinizio” delle relazioni con Mosca dopo il periodo Bush, ma non ha rinunciato allo scudo antimissili nè ha chiarito la posizione nordamericana in relazione al disarmo atomico, nonostante i desideri espressi da Obama di lavorare per un mondo senza armi nucleari. Quando Obama è andato a Mosca, gli Stati Uniti e la Russia hanno firmato accordi per un nuovo trattato START, avanzando l’idea che i sistemi balistici dovrebbero collocarsi tra le 500 e 1.100 unità, con un totale tra i 1500 e 1675 testate atomiche, da completare in un periodo fino al 2017.

I contatti diplomatici e gli incontri tra Medveded e Obama sono serviti per raggiungere alcuni accordi parziali: tutti e due erano d’accordo che avrebbero fatto uso solo di armi nucleari strategiche offensive nel loro proprio territorio. La Russia ha accettato che gli Stati Uniti potessero realizzare 4500 voli, all’anno, senza bisogno di pagare nulla, per facilitare il trasporto di esercito e di armi attraverso il territorio russo in direzione dell'Afghanistan. Ancora c'erano divergenze sullo scudo antimissile e la Georgia; di fatto, Medvedev aveva firmato nella riunione del G-8 che la Russia avrebbe dispiegato sistemi di missili Iskander nella regione di Kaliningrado se gli Stati Uniti continuavano con i loro piani sullo scudo, falsamente difensivo, e anticipò che l’accordo su START sarebbe dipeso dalla rinuncia di Washington di installarlo in Polonia e Repubblica ceca. Il clamore con cui l’annuncio di Obama, che rinunciava allo scudo e dei missili intercettori in Polonia, è stato colto dai mass media europei era infondato, perché gli Stati Uniti non hanno mai sostenuto che lo “scudo antimissili” non si sarebbe mai creato in Europa, ed è molto probabile che prenda un’altra forma: può essere dispiegato in navi nei mari freddi del nord dell’ Europa.
Non c’è una “rinuncia” allo scudo, ma una rielaborazione, con lo sguardo verso Mosca per riuscire ad avere una collaborazione sulla questione iraniana.

Ci sono molti altri problemi che avvelenano la relazione tra i due paesi: le frontiere della Georgia, e l’ipotetica incorporazione alla NATO, forzata dagli Stati Uniti, di questo paese e dell’ Ucraina (la cui popolazione rifiuta l’entrata), inoltre le questioni legate con lo sfruttamento degli idrocarburi nella zona del Caspio e dell’ Asia Centrale. C’è anche la questione del Kosovo, la cui indipendenza è rifiutata da Mosca e augurata da Washington. Mosca rifiuta duramente la possibilità che la piccola Georgia e la gigantesca Ucraina si incorporino alla NATO, e cerca di limitare la penetrazione nordamericana nel Caucaso e nel nord del Mar Nero. La crisi economica, e la debolezza del dollaro sono altri dei motivi di frizione: il governo russo ha ammesso, in occasione del summit del BRIC a giugno, che pensava di collocare una parte delle sue riserve monetarie in strumenti finanziari (buoni) di paesi come la Cina, India e Brasile, qualcosa che Washington interpreta come un’azione aggressiva da parte di Mosca. Il New York Times e il resto della stampa nordamericana speculavano, allarmando la popolazione sul desiderio di Mosca di “colpire gli Stati Uniti”.

Bisogna ricordare che, violando i compromessi sottoscritti con Gorbaciov, l’espansione militare nordamericana è continuata: la NATO degli anni sovietici contava 16 paesi membri, mentre che attualmente ha 28 paesi integrati, e si continua a speculare sul suo allargamento. Senza dimenticare che, nonostante le buone parole, gli Stati Uniti hanno impulsato una strategia di vero accerchiamento verso la Russia e di intromissione nella sua periferia: Washington dispone di basi militari in 7 delle 15 vecchie repubbliche sovietiche, e inoltre, con Obama, la tentazione di continuare ad organizzare e finanziare “rivoluzioni arancioni” continua ad essere presente a Washington. Questa politica combatte Mosca con l’intento di articolare uno spazio economico e difensivo che integri il maggior numero possibile di vecchie repubbliche sovietiche, e nella crescente collaborazione con la Cina, sia nell' Organizzazione di Cooperazione di Shanghai, che si è consolidata negli ultimi cinque anni, così come nella coordinazione di fronte a potenziali conflitti diplomatici come l’ Iran o Corea del Nord. Inoltre, Mosca affronta la riforma delle forze armate russe e delle sue truppe di missili strategici, e con la sua fulminante risposta alla provocazione georgiana dell’estate 2008 (equipaggiata con armi fornite da Washington, che ha dato il suo consenso all’aggressione e alla guerra) tracciò una chiara linea rossa agli Stati Uniti. D’altra parte, con Obama, i nordamericani non hanno annullato i piani elaborati sotto la presidenza di Bush sull’ampliamento della NATO ed il suo intervento in aree non coperte dal Trattato fondante (come in Afghanistan, per esempio), sulla creazione di nuove basi militari nei suoi paesi satelliti dell’ est europeo (trasportando le installazioni dalla Germania e altri paesi della parte occidentale del continente), sulla militarizzazione dello spazio e, anche, sull’introduzione di dispositivi militari aggressivi nella regione gelida dell’ Artico. La negoziazione sul nuovo trattato che sostituisca lo START-1 è una delle prove di fuoco per Obama, ma, perché sia credibile il proposito annunciato di costruire un mondo senza armi nucleari, gli Stati Uniti dovrebbero accettare nuovamente l’ ABM o accettare di aprire negoziazioni incamminate ad elaborare un nuovo accordo che raccolga il suo spirito.

La Cina è la grande priorità della politica estera nordamericana: Hillary Clinton ha riconosciuto che le relazioni bilaterali decisive nel XXI secolo saranno quelle della Cina e degli Stati Uniti. A metà febbraio, il primo viaggio all’estero della nuova segretaria di Stato è stata in Cina. Il tour è stato decorato con visite parallele in Giappone e Corea del Sud, tradizionali alleati, e in Indonesia, ma la meta chiave era Pechino. Non c' è da meravigliarsi:
gli Stati Uniti sono il paese più indebitato del pianeta: la congiunzione del debito dello Stato, più quello delle sue aziende e delle famiglie, sale a 70 miliardi di dollari, con i costi per il pagamento degli interessi che, in pratica, hanno fatto fallire il sistema nordamericano, che è sostenuto dalla continua stampa di moneta, di dollari- spazzatura che consegnano al mondo in cambio di beni e di prodotti e per il ricorso al finanziamento estero. E l'acquisto da parte della Cina di buoni del tesoro è stata una premessa fondamentale per l’attività governativa degli USA. Il doppio deficit, commerciale e fiscale, crea una situazione che non si può sostenere per molto tempo. Questo era il punto del viaggio della segretaria di Stato. A marzo di quest’anno, il primo ministro cinese, Wen Jiabao, ha reso pubblica la sua preoccupazione per la sicurezza delle riserve cinesi in dollari, in vista della crisi nordamericana. Di fatto, è un’evidenza che l’attuale sistema permette a Washington di mantenere dei grandi deficit e un enorme spesa militare che, in altro modo, sarebbero al di fuori delle possibilità reali dell’economia nordamericana.

Inoltre, il sempre più precario
e discusso ruolo del dollaro come valuta di riserva internazionale, ha indotto il governatore della Banca Popolare Cinese, Zhou Xiaochuan, a proporre di sostituire la moneta nordamericana con i diritti speciali di prelievo del FMI. La Russia ha anche proposto idee, simili, proponendo d’includere lo yuan cinese e del rublo, inoltre dell’oro, nel paniere di divise (dollaro, euro, libra e yen giapponese) che definisce questi diritti speciali di prelievo. La Cina possiede più di due milioni di miliardi di dollari in divise, buona parte di essi in buoni del tesoro nordamericano (che ha deciso di continuare a comprare), ed è preoccupata per il futuro di questi attivi, e ritiene, inoltre, che l' attuale ruolo insostenibile del dollaro offre indebitivantaggi agli Stati Uniti. La proposta di creare una moneta internazionale di riserva che sostituisca il dollaro è stata rifiutata da Obama, cosciente che questo implicherebbe l’inizio della fine del predominio nordamericano- Nonostante tutto, la Cina sa che non le interessa una crisi non controllata del dollaro che causerebbe severe perdite alle sue riserve. In pratica è un curioso paradosso: Pechino ha la capacità per danneggiare seriamente la divisa nordamericana, ma al prezzo di causare un simile danno irreparabile alla sua propria economia. Oggi come oggi, ancora non esiste una divisa alternativa al dollaro: da qui, l’inesistenza nella creazione di una nuova moneta internazionale di riserva. Le differenza tra i due paesi sul modo di affrontare la crisi sono note e la tentazione protezionistica, molto presente nel circolo Obama, ha portato a Washington a riscuotere tariffe abusive pneumatici cinesi, per esempio, violando le disposizioni della OMC, pur affermando che gli Uniti non vogliono una guerra commerciale con la Cina, facendo pressione su Pecchino, tramite un'intermediario di Gordon Brown, ed esigendo che la Cina "compri di più in altri paesi”, come se questa circostanza fosse una delle cause della crisi economica degli Stati Uniti, e il summit di giugno a Ekaterinburg tra i principali capi della Russia, Cina, India e Brasile, dove si è discussa la convenienza di una nuova moneta di riserva internazionale, indicava anche la nascita di un nuovo polo mondiale.

La proposta (lanciata da circuiti vicini al potere nordamericano: Brzezinski, per esempio, che consiglia Obama, è stato visto con massima preoccupazione dall' UE e dal Giappone) per stabilire un G-2, che fosse, di fatto, un direttorio mondiale per affrontare la crisi economica e i problemi globali, è stata rifiutata da Pechino, che insiste nel multilateralismo come strumento di collaborazione internazionale. Wen Jiabao ha considerato che l’ idea di un G-2 era una strada senza uscita. Gli Stati Uniti stanno cercando di stabilire un direttorio simile, ma la rilevanza politica che ha questa proposta è che significa un'implicita ammissione che il programma di unilateralismo americano lanciato da Bush e la sua posizione dominante solitaria a livello mondiale (XXI secolo Americano) non è riuscito. Così gli USA si muovono ancora tra la forzata rinuncia ai piani di Bush, sconfitti dalla realtà, il bisogno di collaborare con la Cina e un’inerzia imperiale che Obama non ha rotto. Poco dopo di essere stato confermato dal presidente, il segretario della Difesa; Robert Gates, ha detto di fronte al Senato che il suo paese era preparato per affrontare “qualsiasi minaccia militare che potesse provenire dalla Cina”, come ha raccolto il New York Times il 27 gennaio. A marzo, il Dipartimento della Difesa nordamericana presentava un documento sul potere militare cinese dove criticava la riforma e lo sviluppo del suo esercito e suggeriva che Pechino stava cambiando la sua concezione tradizionale strategica (guerra esclusivamente per difendere il proprio territorio) con la possibilità di guerre limitate alla sua sfera di influenza prossima.

L’evidente travisamento della politica estera cinese è stata tale che Pecchino presentò una protesta diplomatica. In relazione all’arsenale nucleare, la Cina, in occasione della solenne celebrazione del 60° anniversario della rivoluzione, ha affermato, allo stesso modo della Russia, la sua decisione di non essere mai “il primo paese ad usare armi nucleari”. Gli Stati Uniti si rifiutano a contrarre un simile impegno.
Da parte sua, Timothy Geithner, segretario dell’ Economia, ha accusato Pechino di manipolare la sua moneta, rendendo responsabile la Cina di una parte delle difficoltà nordamericane. E’ una costante: a febbraio, il responsabile dell’ Intelligence nordamericana, Dennis Blair, ha presentato al Senato l’analisi dei suoi servizi, identificando la crisi economica come la minaccia principale e la Cina e l’ India come i paesi che avrebbero concentrato il potere mondiale, a lungo termine, e anche se ha riconosciuto che la Cina lavora per mantenere buoni rapporti con il resto delle grandi potenze e che la sua politica estera è pacifica, ha comunque sorpreso il crescente potere economico cinese e il rafforzamento della sua Armata e dell’ esercito popolare, e sottolineò il desiderio cinese di aumentare la sua influenza nel mondo. In questo senso, il cambiamento politico del Giappone e la proposta del nuovo primo ministro, Yukio Hatavama, di creare una Comunità dell’ Asia orientale, dotata di una moneta comune (che ha già avuto l’ OK da parte di Pechino) è vista con molta preoccupazione da parte di Washington. Obama è disposto a fare maggiore affidamento sul Giappone, il cui governo era sospettoso delle misure prese da Bush nel trattamento della denuclearizzazione della penisola coreana. Le negoziazioni con Pygongyang sono un altro punto di frizione tra Pechino e Washington. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti mantengono la pressione su altri scenari: gioca la carta di Taiwan, e dispone di portaerei di propulsione nucleare per controllare la zona, dotati di decine di aerei da combattimento, con basi permanenti in Giappone.

In una riunione con Clinton a Washington, il ministro degli esteri cinese, Yang Jiechi, ha sottolineato l'impegno cinese per la collaborazione, ma non ha dimenticato di menzionare che gli Stati Uniti deve agire con cautela nella questione di Taiwan (e nell’affrontare le questioni riguardanti il Tibet), ricordando
l' impegno degli Stati Uniti per l'idea di "una sola Cina". La vittoria di Koumintang nelle elezioni di Taiwan ha fortificato la cooperazione tra i due lati dello Stretto, indebolendo le posizioni indipendentiste che per molto tempo sono state stimolate dagli USA. L’incontro tra Obama e Hu Jintao è servito anche per rilanciare la cooperazione e la discussione sulle questioni militari: Pechino aveva ben presente che, con il governo di Bush, una delle ultime decisioni di Washington era stata la vendita di un nuovo armamento a Taiwan per un valore di quasi sette mila milioni di dollari. Allo stesso tempo, Washington assiste impotente alla consolidazione dell’ Organizzazione di Cooperazione di Shangai, OCS, anche se sembra che il suo ruolo continuerà ad aumentare sia in Asia che nel mondo. In altre riunioni, Obama ha riattivato la sua politica estera: a fine luglio, Hillary Clinton, annunciava il “ritorno“ degli Usa sulla scena del sudest asiatico, attraverso l’impulso di una nuova relazione con la ASEAN ( formata da dieci paesi dell’ Asia, tra cui l’ Indonesia, la Malesia , le Filippine, la Birmania, la Tailandia e Vietnam), decisione che era un riconoscimento implicito del declino nordamericano nella zona e la proclamazione di una volontà di contenere la Cina, i cui legami ed influenza sono aumentati considerevolmente nel sudest asiatico. Le esagerate e teatrali lodi della stampa europea al nuovo presidente nordamericano, occultano la realtà del vero miraggio Obama. Perché non vi è, in sostanza, una nuova politica estera americana, a prescindere dalle correzioni forzate dall'evoluzione dei conflitti. Possiamo concludere che, con la nuova presidenza, la politica estera nordamericana è la continuazione della precedente epoca, anche se con espressioni più moderate, e che il multilateralismo di Obama è, più che una decisione del suo governo, una revisione obbligata e Washington non ha altra scelta che adottarla, di fronte all’evidenza che gli Stati Uniti, durante gli otto anni di Bush, hanno fallito nel loro intento di imporre la loro visione messianica del ruolo nordamericano nel mondo, e, che il disastro dell' unilateralismo e la continuazione delle guerre in Iraq e in Afghanistan (otto anni dopo!) hanno precipitato la crisi, rendendo visibile al mondo che l’ inizio della decadenza nordamericana non è un’ipotesi del futuro, ma la precisa fotografia del momento storico.

Fonte: http://www.elviejotopo.com/web/archivo_revista.php?arch=1336.pdf

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
VANESA

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28 ottobre 2009

IRAN-VERTICE G20: CREARE UNA CRISI PER COPRIRE LE DIVISIONI

di Sara Flounders

La riunione del G-20 a Pittsburgh riunì i ministri della finanza, banchieri e dirigenti politici delle economie più grandi del mondo, apparentemente, per dibattere la più seria crisi economica del capitalismo in tre generazioni. Invece hanno attaccato l’Iran.

Senza proporre misure dirette ad alleviare la sofferenza dei cento milioni di lavoratori che hanno perso il lavoro, senza annunciare programmi d’impiego o costruzioni di infrastrutture, l’imperialismo statunitense, britannico e francese si sono uniti con enfasi per minacciare l’Iran con accuse totalmente false. Loro hanno chiesto che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e i membri del G-20 lavorassero ad un nuovo round di sanzioni contro l’Iran.

18 maggio 2009

LE DUE GUERRE DELL'IRAQ

L’ascesa di McChrystal: Più Segreti, Meno Luce
Ci sono sempre state due guerre, in Iraq. La guerra pubblica, nella quale il Pentagono cercava di manipolare il flusso dei media facendolo diventare un “amplificatore”, mentre alcuni intrepidi giornalisti e blogger controbattevano. Eppoi c’era la guerra segreta, condotta delle Forze Speciali, la cui esistenza è stata negata persino dal Pentagono.

Ora le operazioni segrete minacciano di compromettere definitivamente ciò che rimane della guerra pubblica in Afghanistan e in Pakistan, con l’ascesa del Generale Stanley McChrystal a comandante in capo, dopo aver ricoperto un ruolo segreto guidando le Forze Speciali in Iraq per cinque anni.

Quando riceve domande dai media, o da qualche senatore che presiederà la sua udienza di conferma entro poche settimane, il Generale McChrystal può permettersi di avere una semplice risposta a qualunque grana: spiacente, è riservato.

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