Dopo l’annuncio del consigliere scientifico di Obama, che ha confermato
l’irrorazione di sostanze chimiche (come il sale di Bario, l’ossido di
alluminio, il Torio, il Quarzo, il Potassio e il Magnesio) nei cieli di
tutto il mondo, a favore della geoingegneria e la manipolazione del
clima, apprendiamo la notizia che il Presidente Rafael Correa, ha
ribadito l’utilizzo della forza attraverso caccia intercettori che
avranno il compito di catturare tutti gli aerei che irroreranno sostanze
chimiche nei cieli dell’Ecuador.
Rafael Correa ha stravinto, al primo turno e si assicura anche la maggioranza dei deputati. Il suo avversario è stato doppiato, e gli altri candidati sono rimasti ai blocchi di partenza. Per varie ragioni, è stata molto di più di una cronaca annunciata.
In primo luogo per l'abbondanza del raccolto di consensi, ha fieno in
cascina per accelerare il processo di cambiamento intrapreso. Poi perchè
l'avversario bocciato è un banchiere dell'Opus Dei. In altri
termini, la continuità della politica attuata dal governo di Correa,
esce consolidata proprio contro un avversario emblematico, seguace del
dogma neoliberista, e di professione banchiere opusdeiano.
Più chiaro di così non poteva essere il responso degli ecuadoriani,
affluiti alle urne come mai nel passto.E' singolare come le elites non
si fidano più dei partiti, e si sporcano le mani direttamente con la
politica. A diferenza del'Europa, perdono. Di Tito Pulsinelli SelvasBlog Per dirla con le parola di Correa: "Dedico questa vittoria a Chávez, uno straordinario leader latinoamericano... Oggi ha perso la partitocrazia, il potere mediatico, il FMI,
l'oligarchia interna e i suoi alleati internazionali, ha vinto il
popolo dell'Ecuador, la sua volontà e la sua sovranità che mai più potrà
essere piegata dai poteri forti".
Il lanciatore di scarpe iracheno, che scagliò le proprie calzature verso
Bush, è stato condannato a tre anni di carcere. Non merita invece
un’onorificenza? Chi è dunque il terrorista? Il lanciatore di scarpe o il suo bersaglio?
Il serial killer che ha volutamente determinato la guerra in Iraq su un
terreno di bugie massacrando una moltitudine d’individui, legalizzando e
ordinando la tortura di altri non è forse il vero terrorista?
Il popolo di Atenco, in Messico, i Mapuche, indigeni del Cile, i
Kekchies del Guatemala, i contadini senza terra in Brasile, tutti
accusati del crimine di terrorismo per aver difeso i loro diritti e la
loro terra, sono forse i colpevoli? Se la terra è sacra, anche se la
legge non lo specifica, coloro che la difendono non sono altrettanto
sacri? Leggi tutto...
Il caso Assange è un affare di stato per gli Stati Uniti d’America. E da quando si è messo in mezzo, il governo progressista di Rafael Correa è stato preso di mira dalle agenzie di influenza nordamericane. I grandi giornali del «blocco» si sono messi in movimento. Ma, in modo ancora più sorprendente, anche quelli della periferia, come «Charlie Hebdo», a cui Maxime Vivas e «Le grand soir» hanno dato una risposta molto argomentata, se si tiene conto dell’importanza di questo giornale negli ambienti dell’altra sinistra. Ma la maggior parte della «grande stampa» non ha tardato a mettersi in posizione di attacco, prima insidioso poi apertamente accusatorio.
Il bombardamento si è svolto su due piani: in primo luogo contro la persona di Assange, descritto come un personaggio isolato, rinnegato da tutti i precedenti sostenitori, psicologicamente instabile e, come se non bastasse, accusato di «stupri e aggressioni sessuali», ovviamente al plurale! L’altro piano di attacco è rivolto contro il governo e il presidente ecuadoriano, presentati come nemici della libertà di stampa che professano una concezione a geometria variabile del diritto d’asilo. Da questo punto di vista alcuni articoli del Figaro rappresentano i peggiori modelli della ripetizione di elementi di linguaggio importati. Ne fornisco un esempio, ma sottolineo che, a seconda dei redattori, non tutti gli articoli hanno la stessa linea. In questo modo possiamo affinare la lista delle persone sotto influenza. La tecnica è sempre la stessa: una successione di affermazioni presentate come ovvietà «arcinote», che in realtà non sono altro che menzogne spudorate che il lettore non ha alcun modo di individuare.
E' evidente che le questioni ambientali stanno prestando il fianco a gravi contraddizioni per i governi progressisti o della nuova sinistra. Il deciso appoggio all'attività estrattiva per alimentare la crescita economica, sta aggravando gli impatti ambientali, scatena serie proteste sociali, e perpetua la subordinazione di essere fornitori di materie prime per la globalizzazione. Si rompe il dialogo col movimento verde e si scade in una sinistra sempre meno rossa, giacché sta diventando marrone. DiEduardo Gudynas
Un rapido sguardo ai paesi retti da governi progressisti, mostra che in tutti vi sono conflitti ambientali in corso. È scioccante che questa non sia un'eccezione, bensì la regola in tutto il Sudamerica. In questo momento, ad esempio, sono in corso proteste contro l'attività estrattiva mineraria o petrolifera non solo dall'Argentina al Venezuela, ma perfino in Guyana, Suriname e Paraguay.
In Argentina si registrano conflitti della cittadinanza verso il settore minerario per lo meno in 12 province; in Ecuador la protesta locale in zone minerarie continua a crescere; in Bolivia poco tempo fa si è conclusa una marcia indigena in difesa di un parco nazionale e si annuncia già una nuova mobilitazione. In questi stessi paesi, i governi progressisti incoraggiano l'attività estrattiva, sia proteggendo le imprese che lo fanno (statali, miste o private), offrendo agevolazioni d'investimento, sia riducendo le esigenze ambientali. Gli impatti sociali, economici ed ambientali vengono minimizzati. I governi in alcuni casi affrontano la protesta sociale, in altri la criticano acidamente e, secondo un andazzo più recente, la criminalizzano e sono arrivati a reprimerla.
Da NetworkIdeas qualcuno ci ricorda che non esiste solo debito e austerità, che un altro mondo è possibile, che è veramente successo, e non stiamo sognando...
Di Jayati Ghosh
L'Ecuador, in questo momento, deve essere considerato uno dei luoghi più emozionanti sulla Terra, nel senso che indica un nuovo paradigma di sviluppo. Mostra quanto può essere realizzato con la volontà politica, anche in tempi di incertezza economica. Solo 10 anni fa, l'Ecuador era più o meno un caso disperato, una quintessenza di "repubblica delle banane" (in effetti è il più grande esportatore mondiale di banane), caratterizzato da instabilità politica, disuguaglianze, un'economia scarsamente performante, e l'impatto sempre incombente degli Stati Uniti sulla sua politica interna. Nel 2000, in risposta a un'iperinflazione e a problemi di bilancia dei pagamenti, il governo ha “dollarizzato” l'economia, sostituendo il sucre con la valuta statunitense come moneta a corso legale. Questo ha ridotto l'inflazione, ma non ha fatto nulla per affrontare i fondamentali problemi economici, e ha ulteriormente limitato lo spazio della politica interna.
Un punto di svolta è arrivato con l'elezione a Presidente dell'economista Rafael Correa.
Come accaduto in Islanda, anche in Ecuador il popolo, guidato dal presidente Rafael Correa, si è rifiutato di pagare il debito. Una commissione appositamente istituita l'ha dichiarato illegittimo in quanto si trattava di un prestito che faceva gli interessi esclusivi di banche e multinazionali e non del paese che avrebbe dovuto aiutare. Un'altra lezione di cui tenere conto. diAndrea Degl'Innocenti Il Cambiamento
Parliamo di vulcani. E di eruzioni. Tempo fa, in Islanda, l'impronunciabile vulcano Eyjafjallajökull sbuffava nubi di ceneri bianche mandando in tilt i collegamenti aerei di mezzo mondo; allo stesso tempo il popolo islandese decideva di sollevarsi contro i poteri forti della finanza globale. Nell'altro emisfero, in Ecuador, da qualche anno si è risvegliato il potente Tungurahua - appena più facile da pronunciare, ma neanche poi tanto – proprio nel periodo in cui il presidente Rafael Correa dichiarava il debito estero che gravava sulle spalle dei suoi cittadini “illegittimo ed illegale”.
L’ex direttore della missione speciale per il Venezuela e Cuba dellaNational Intelligence degli Stati Uniti, Norman Bailey, ha condotto un’operazione per destabilizzare il governo di Rafael Correa.
Il popolo ecuadoriano non si sorprende che il governo statunitense si trovi dietro il tentativo del più recente colpo di stato nel suo paese.Un sondaggio condotto dalla società statunitense Asisa dopo i fatti del 30 settembre in Ecuador, rivela che oltre il 50% degli intervistati ritiene che gli Stati Uniti hanno appoggiato la rivolta contro il presidente Rafael Correa.
L’ex ufficiale dell’Agenzia Centrale d’Intelligence, Philip Agee, ha raccontato durante gli anni '70 nel suo libro “Diario della CIA”, come lui stesso fosse al comando dell’operazione per far cadere il governo progressista di Josè Maria Velasco Ibarra in Ecuador fino a riuscire a toglierlo dal potere con la forza. Agee racconta come la CIA sia penetrata e si sia infiltrata nelle organizzazioni sociali, movimenti politici, mass media e sindacati- di destra e di sinistra- e sono riusciti perfino a reclutare agenti dentro le istituzioni governative per sabotare lo stato dall'interno.