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13 febbraio 2012
IL MONDO HA BISOGNO DI 600 MILIONI DI NUOVI POSTI DI LAVORO
L'Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO) ha appena pubblicato un equilibrato rapporto sulla crisi galoppante in atto nei mercati del lavoro mondiali. Abbiamo iniziato il 2011 con 900 milioni di lavoratori poveri, che guadagnano meno di 2 dollari al giorno, e altri disoccupati fino a 1,1 miliardi di persone - una su tre della forza lavoro globale. Alla sovrabbondanza degli attuali 200 milioni di disoccupati, i mercati del lavoro globale vedranno aggiungersi ogni anno, in media, quaranta milioni di nuove persone in cerca di lavoro. Ciò significa che sarà necessario creare 400 milioni di posti di lavoro nel prossimo decennio per evitare un ulteriore aumento della disoccupazione.
Per dare lavoro a tutti coloro che vogliono lavorare, il mondo ha bisogno di 600 milioni di nuovi posti di lavoro.
Preoccupa, comunque, il rallentamento della crescita globale, il che significa che ai mercati mondiali del lavoro risulterà difficile tenere il passo con la crescita della forza lavoro, figuriamoci recuperare il terreno perduto. Nel 2011, la crescita globale è rallentata dal 5,1% al 4%, e il FMI avverte di un ulteriore rallentamento dal 2012.
Il rapporto ILO mette in guardia che anche un modesto rallentamento nel 2012, vale a dire di 0,2 punti percentuali, significherebbe 1,7 milioni di disoccupati in più entro il 2013.
Il rapporto fa luce anche sull’impatto che le politiche fiscali troppo rigide hanno avuto sulla crescita e sull’occupazione, a partire dai programmi di austerità distruttiva di posti di lavoro che sono diventati così comuni nell’Eurozona.
Altrove, in nazioni con politiche ad ampio margine di manovra, i governi hanno perso il loro forte desiderio compulsivo alla fiscalità, dato che l’accresciuta insicurezza e la fiducia abbattuta dei consumatori mantengono debole la domanda del settore privato.
8 febbraio 2012
NOI E IL NAZISMO DAL VOLTO UMANO
Cari e sfortunati amici, vicini e lontani… Di patrie ignote o conosciute, ammirate o più modestamente apprezzate… Voi e noi credevamo… credevamo alle tante e troppe promesse, alle lusinghe di un futuro di opulenza e al chiacchiericcio, quello sì, veramente irresponsabile, scambiato per sapienza e conoscenza. Ci hanno raccontato delle magnifiche e progressive sorti di un mondo destinato ad andare avanti e a crescere debellando la fame, la malattia e le guerre… Ci hanno raccontato le gioie di un mondo virtuale attraverso la beceraggine profusa dai loro media, celando il volto più totalitario e spietato dell’Imperialismo della globalizzazione e del mercato oliate dai meccanismi della finanziarizzazione, della spettacolarizzazione e del consumismo…
Hanno accatastato davanti alle nostre case montagne di spazzatura, lucida e consapevole menzogna da rifilare a masse conformiste e istupidite. Ma queste situazioni non nasce adesso… Non può essere il frutto amaro coltivato in quest’ultima stagione. Chi conduce le danze e ha afferrato il timone di una nave senza rotta di governo, ha le mani libere da decenni… Mani libere e monde di poter decidere e arricchirsi inventando debiti e occultando gli incassi in comode e protette isole off shore. Loro – ma ormai è inutile fare nomi chè tanto sono ripetuti nella “rete” – i grandi emissari della finanza, delle multinazionali e delle corporations hanno fatto in modo di dividerci, di metterci l’uno contro l’altro, di inoculare nelle nostre deboli menti il seme della discordia e della competizione.
11 dicembre 2011
DEPRIVAZIONE DI SENSO E IL SENSO DELLA DEPRIVAZIONE
Per quanto l’uomo moderno si sforzi di esplorare lo spazio e gli abissi, di ricercare nuovi mondi e di estendere i suoi confini esteriori, è l’Uomo stesso a costituire il vero, autentico Mistero, insondato e, per buona parte, insondabile. Le neuroscienze ce lo ripetono da molti anni, solo il 20 per cento delle nostre risorse cerebrali viene sfruttato a dovere, mentre il rimanente 80 sonnecchia, in attesa di venire utilizzato in qualche modo.
Di HS
Eppure, nella nostra insuperata presunzione, abbiamo pensato di aver raggiunto lo stadio massimo della scienza e del benessere umano, abbiamo aderito ad un dogma che, a conti fatti, ha rivelato di essere largamente inconsistente. Se l’uomo è progredito dal punto di vista scientifico e tecnologico, quanto di sé è stato sacrificato sull’altare dei nuovi miti? Non dobbiamo mai dimenticare che la storia segue un unico filo che deve essere costantemente ripercorso ed interpretato per avere una chiara consapevolezza della nostra identità.
17 novembre 2011
CONSUMISMO, OPPIO DEI POPOLI NELL’ERA DEL NEOCAPITALISMO POSTMODERNO
Se mai dovessimo attribuire una definizione che possa sintetizzare le caratteristiche principali e salienti dell’era postmoderna – ovvero quella che è succeduta alla catastrofica Seconda Guerra Mondiale – ricorrendo a un termine o a una categoria dal vasto contenuto semantico, opterei per il neocapitalismo fondato sull’imperio di un Mercato sempre più pervasivo e quasi onnipresente. Sul punto non vorrei essere equivocato: non intendo utilizzare il termine Mercato – con la maiuscola – per designare una sorta di entità astratta, quasi metafisica che trascende le nostre esistenze.
Di HS
Mercato indica lo spazio e il tempo in cui vengono collocate le merci e i prodotti per essere smerciati e consumati senza alcun limite. Sono ormai lontani i tempi del capitalismo austero, industriale e produttivistico, per gran parte confinato nei mercati interni. L’odierno e contemporaneo neocapitalismo “terziario”, mercantile, commerciale e consumistico si è necessariamente imposto per l’espansione inevitabilmente globale di multinazionali, corporations, istituti finanziari internazionali e delle grandi società commerciali.
L’aumento vertiginoso di investimenti e profitti determina l’allargamento e la concentrazione degli operatori presenti sui mercati che, a loro volta, contribuiscono a estendere i confini del Mercato per potenziare le possibilità di profitto. In questo modo ogni sfera della vita umana diventa spendibile e acquistabile come se il mondo fosse mutato in uno strabordante e monumentale supermercato.
15 febbraio 2011
Radiografia del disagio sociale
Dal sisma del 1980 sono trascorsi 30 anni che hanno stravolto la realtà della nostra terra, che ha smarrito la fisionomia statica e chiusa mantenuta nei secoli passati non solo sul piano economico, territoriale e paesaggistico, ma anche sul versante etico e spirituale, senza assumere una nuova identità socio-culturale, se non quella del consumismo e dell’edonismo di massa che, nei suoi aspetti più alienanti e regressivi, di appiattimento e omologazione intellettuale, impedisce un’effettiva liberazione dei corpi e delle menti.
Di Lucio Garofalo
Alle antiche lacerazioni si sovrappongono le nuove. La disoccupazione e la conseguente emigrazione giovanile, è drammaticamente dannosa per la nostra gente, che, abbandonata dai suoi migliori cervelli, perde ciò su cui ha investito in termini di affetto, educazione, sostegno economico, ciò su cui ha riposto le proprie speranze per un avvenire migliore. Le piccole comunità “a misura d’uomo” che esistevano 30 anni fa non sono più le stesse e sembra siano trascorsi secoli e non pochi decenni. Tuttavia, la rapidità con cui si sono consumate le tappe di uno sviluppo economico irrazionale e selvaggio,
Alle antiche lacerazioni si sovrappongono le nuove. La disoccupazione e la conseguente emigrazione giovanile, è drammaticamente dannosa per la nostra gente, che, abbandonata dai suoi migliori cervelli, perde ciò su cui ha investito in termini di affetto, educazione, sostegno economico, ciò su cui ha riposto le proprie speranze per un avvenire migliore. Le piccole comunità “a misura d’uomo” che esistevano 30 anni fa non sono più le stesse e sembra siano trascorsi secoli e non pochi decenni. Tuttavia, la rapidità con cui si sono consumate le tappe di uno sviluppo economico irrazionale e selvaggio,
4 febbraio 2011
Destabilizzare per stabilizzare
La storia dell’umanità non segue un percorso uniforme e lineare, cioè un andamento progressivo caratterizzato da corsi e ricorsi, come asseriva il filosofo napoletano Giambattista Vico. Al contrario, lo sviluppo storico si svolge attraverso una dialettica tra tendenze e forze contrastanti, che innescano cicli violenti e balzi rivoluzionari che non sempre procedono verso un miglioramento e un progresso del genere umano.
Gli esempi non mancano, ma per rendersene conto basterebbe riflettere sul funzionamento del potere e sui meccanismi di riproduzione dei rapporti di forza, a cominciare dai rapporti di comando e subordinazione tra le classi sociali, che sono il vero motore della storia.
Nel 1800 la reazione antigiacobina dell’assolutismo monarchico fu crudele e sanguinaria, incarnata dallo spirito codino e sanfedista dei regimi dispotici che ripresero a regnare dopo la Restaurazione sancita dal Congresso di Vienna nel 1815: i Borbone, lo Stato Pontificio, gli Asburgo, i Savoia (che erano tra le dinastie più retrive ed oscurantiste dell’epoca).
Gli esempi non mancano, ma per rendersene conto basterebbe riflettere sul funzionamento del potere e sui meccanismi di riproduzione dei rapporti di forza, a cominciare dai rapporti di comando e subordinazione tra le classi sociali, che sono il vero motore della storia.
Nel 1800 la reazione antigiacobina dell’assolutismo monarchico fu crudele e sanguinaria, incarnata dallo spirito codino e sanfedista dei regimi dispotici che ripresero a regnare dopo la Restaurazione sancita dal Congresso di Vienna nel 1815: i Borbone, lo Stato Pontificio, gli Asburgo, i Savoia (che erano tra le dinastie più retrive ed oscurantiste dell’epoca).
27 ottobre 2010
L'IMPERIALISMO VERDE
L’ecologia è una scienza sulla quale pochissimi hanno letto qualche volta un manuale, ma l’ecologismo si è instaurato nel nostro subconscio facendo di ognuno di noi un partigiano, un militante a favore dell’ecologia e della difesa dell' ambiente. Come possiamo difendere qualcosa che ignoriamo? Cosa stiamo difendendo esattamente?
di Juan Manuel Olarieta
Per rispondere a queste domande bisogna percorrere i 40 anni d’ideologia ecologista: non della scienza dell’ecologia che è più vecchia, ma del movimento verde.
Perché nasce l’ecologismo come movimento? Chi lo crea?
Perché nasce l’ecologismo come movimento? Chi lo crea?
Ci sono sempre stati movimenti ecologisti ma prima avevano una portata locale, erano legati al paesaggio immediato, al godimento delle peculiarità locali, alla difesa dell’autoctono. Però, oggi l’ecologismo è un movimento marcatamente internazionale e internazionalista, che va non solo oltre l’ambito locale ma anche il quadro di uno Stato concreto. Creare un movimento con una certa omogeneità globale non è un compito facile e richiede strumenti potenti che possono essere solo a disposizione dei grandi monopoli internazionali.
19 agosto 2010
L' IMPERO DEL CONSUMO
L’esplosione del consumo nel mondo attuale crea più rumore di tutte le guerre e le armi, più confusione di tutti i carnevali. Come dice un vecchio proverbio turco, chi beve mettendo sul conto, si ubriaca il doppio. La cultura del consumo suona molto come il tamburo perché è vuota; e all’ora della verità, quando il rumore si ferma e la festa è finita, l’ubriaco si sveglia, solo, accompagnato dalla sua ombra e dai piatti rotti che deve pagare.
Il diritto allo spreco, privilegio di pochi, dice di essere la libertà di tutti. Dimmi quanto consumi e ti dirò quanto vali. Questa civiltà non lascia dormire i fiori, nè le galline, nè le persone. Nelle serre i fiori sono sottomessi alla luce continua, così crescono più veloci. Nelle fabbriche di uova, anche le galline hanno il divieto alla notte. E la gente è condannata all’insonnia, per l’ansia di comprare e l’angoscia di pagare. Questo modello di vita non è molto buono per le persone, ma è molto positivo per l’industria farmaceutica.
15 agosto 2010
IL NUOVO TRASCENDENTALE
La storia dell’umanità è una storia di assoggettamento. Nel periodo premoderno, assoggettamento agli dei del politeismo, al Dio del monoteismo, al Re della monarchia, e al Popolo (soggetto astratto) della Repubblica. C'era sempre una figura dell’Altro al quale tutti dovevano rimettersi.
Questo Grande Altro prescriveva ciò che era giusto e ciò che era sbagliato, il bene e il male, la grazia ed il peccato, la legge ed il delitto. Il mondo si configurava in conformità ai precetti del Grande Altro. Le alternative erano semplici: assoggettarsi sotto la promessa di ricompensa o ribellarsi sotto la minaccia di punizione.
8 agosto 2010
IL DIRITTO DI SOGNARE...
"Vai a sapere come sarà il mondo dopo l’anno 2000...
Abbiamo un’unica certezza, se ci saremo ancora, saremo ormai gente del secolo passato o peggio ancora, saremo gente dello scorso millennio.
Tuttavia, anche se non possiamo conoscere il mondo che verrà,
possiamo ben immaginare come vorremmo che fosse.
Il diritto di sognare non figura fra i trenta diritti umani che le Nazioni unite proclamarono alla fine del 1948.
Ma se non fosse per "Lui"...per il diritto di sognare e per le acque con cui abbevera, gli altri diritti morirebbero di sete.
Deliriamo, allora, per un attimo...
Il mondo, che è sottosopra, si rimetterà in piedi:
- per le strade le automobili saranno calpestate dai cani,
- l’aria sarà priva dei veleni delle macchine, e avrà solo l’inquinamento prodotto dalle paure umane e dalle umane passioni,
- la gente non sarà guidata dalla macchina, né programmata dal computer, nè comprata dal supermercato, né guardata dal televisore,
- il televisore smetterà di essere il membro più importante della famiglia e sarà trattato come il ferro da stiro o la lavatrice,
- la gente lavorerà per vivere invece di vivere per lavorare,
- in nesun paese verranno arrestati i ragazzi che si rifiutino di fare il servizio militare, bensì quelli che vogliono farlo,
- gli economisti non chiameranno "livello di vita” il livello di consumo,
né chiameranno “qualità della vita" la quantità delle cose,
- i cuochi non crederanno che alle aragoste piaccia essere bollite vive,
- gli storici non crederanno che ai paesi piaccia essere invasi,
- i politici non crederanno che ai poveri piaccia mangiare promesse,
- il mondo non sarà più in guerra contro i poveri, ma contro la povertà, e l’industria bellica non potrà far altro che dichiarare fallimento per i secoli dei secoli,
- nessuno morirà di fame, perché nessuno morirà di indigestione,
- i bambini di strada non saranno trattati come se fossero spazzatura, perché non ci saranno "bambini di strada",
- i bambini ricchi non saranno trattati come se fossero denaro perché non ci saranno bambini ricchi,
- l’istruzione non sarà privilegio di chi può pagarla
- e la polizia non sarà la maledizione di coloro che non possano comprarla,
- la giustizia e la libertà, sorelle siamesi condannate a vivere separate, si riuniranno, ben appiccicate, schiena contro schiena,
- una donna nera sarà il presidente del Brasile e un’altra donna nera sarà il presidente degli Stati uniti d’America. Una donna indigena governerà il Guatemala e un’altra il Perù.
- In Argentina, le «pazze» di Plaza de Mayo saranno un esempio di salute mentale, perché loro si rifiutarono di dimenticare ai tempi dell’amnesia obbligatoria!
- la Santa Madre Chiesa correggerà alcuni errori delle tavole di Mosè.
Il sesto comandamento ordinerà: “celebrerai il corpo”.
Il nono che diffida del desiderio, lo dichiarerà sacro
- la Chiesa detterà un undicesimo comandamento, che il Signore si era dimenticato:
“Amerai la Natura di cui fai parte”!
- tutti i penitenti saranno festanti e non ci sarà notte che non sia vissuta come se fosse l’ultima, e neppure giorno che non sia vissuto come se fosse il primo..."
Eduardo Galeano
8 aprile 2010
ALICE NELLA CRISI DELLE MERAVIGLIE...
THIS TIME IS DIFFERENT: IL CAPPELLAIO MATTO!
Alice, la bimba del Paese delle Meraviglie, un paese incantato, un Paese dove tutto segue una sua logica, una logica di allusioni dove il gioco è un insieme di regole logiche, linguistiche, fisiche e matematiche, si regole fisiche e matematiche come quelle uscite dalle pentole dei druidi della finanza, le porzioni magiche del pensiero razionale anche se di razionale in questo mondo sembra essere rimasto ben poco.
Abbiamo già visto insieme come il Bruco rivolgendosi alla nostra Alice le chiese:
" Chi sei, bambina? " " In questo momento non lo so, signore. Se potessi lo farei, ma purtroppo sono confusa, ho cambiato dimensioni dieci, cento, mille volte e questa è una cosa che sconcerta!
Guardandola il Bruco le sussurrò dolcemente: " Devo dirti una cosa importante, bambina, ricordati di non perdere mai la calma, qualunque cosa accada!"
Il mercato si nutre di rumors, di dati, dati macroeconomici, dati sui quali aleggia sistematicamente il fantasma della revisione, il mercato ha già dimenticato quanto è accaduto in passato, la fiducia è tornata, questa volta è diverso.
30 marzo 2010
TUTTI I LIVIDI DELL'ECONOMIA E DELL'OCCUPAZIONE
di Pino Di Maula
http://www.terranews.it/
Dalle calze all’alluminio, dai televisori alla ceramica, dalle moto alle autovetture. I numeri della crisi industriale italiana sono drammatici, anche se il governo li occulta. Lo dicono, per esempio, gli operai della Fiat di Piedimonte San Germano e Cassino. «In assenza di un progetto-pianeta condiviso, non si possono escludere passaggi storici implosivi», avverte Giuseppe Vialetti, della Scuola superiore dell’economia e della finanza, a colloquio con Terra.
Un tempo facevano girare il Paese. Oggi fanno solo disperare. Non si contano le ciminiere innalzate, in mezzo secolo, a indicare presunto progresso e un certo benessere collettivo. Erano le fabbriche nate per la soddisfazione dei bisogni. Pur non concedendo mai nulla alle esigenze dei lavoratori, hanno comunque segnato la vita degli italiani, dando una qualche identità (solo) a chi ci lavorava (negandola agli altri, specie se immigrati). Erano gli anni dell’usa e getta che tutti identificavano nella lametta da barba senza immaginare che nel cestino finisse l’intero Paese. Le fabbriche, si diceva, portano sviluppo. Poco importava (anche al sindacato) se, così facendo, si inquinavano sia la cultura politica che il suolo, l’acqua e l’aria. Quegli stabilimenti rappresentavano, in pratica, l’espressione massima, la più evidente, di un’economia che prometteva la felicità, producendo e distruggendo. Tutto. Dalle calze all’alluminio, dai televisori alla ceramica, dalle moto alle autovetture.
22 marzo 2010
L' FMI DISPONE, LA ROMANIA ABDICA...
di Jérome Duval
La rielezione a fine del 2009 come capo di Stato del Presidente Traian Basescu (del partito democratico liberale, PDL), in elezioni sospette di frode e per un piccolo margine di vantaggio, per un secondo mandato di cinque anni suppone di mettere fine ad una crisi politica di più di due mesi, da ottobre del 2009. Durante questo periodo, la Romania diretta verso una grave recessione, è stata governata da un esecutivo provvisorio. Il primo ministro Emil Boc, anch’egli rieletto, ha appena costruito un nuovo governo liberale. La Romania, integrata alla NATO dal 2004, è uno degli Stati più poveri dell’UE, alla quale ha aderito nel 2007.
E’ evidente che l’accordo concluso a marzo del 2009 con il FMI, l’UE, la BM ed altri creditori per un aiuto di 20 miliardi di euro non servirà, sfortunatamente, affinchè la popolazione povera si liberi dalla crisi finanziaria che attraversa il paese. Come al solito, ogni volta che il FMI concede un prestito, questa istituzione si intromette nella politica economica del paese, in questo caso per riformare il sistema delle pensioni e ridurre gli stipendi dei funzionari pubblici, impedendo qualsiasi atto di sovranità al governo.
5 marzo 2010
MERCI CHE PRODUCONO MERCI...
di Stefano D'Andrea
Tutte le società del passato delle quali abbiamo una solida conoscenza hanno elaborato, raffigurato, descritto, teorizzato un ideale di uomo. La storia, anche e soprattutto letteraria, ci è stata narrata, sovente, come successione di ideali di uomo. Non era tutta la storia; ma era la storia.
E’ vero che le figure degli uomini ideali, apprese sui banchi di scuola, erano proprie dei ceti colti e comunque dei ceti dominanti. Ed è anche vero che sappiamo poco o nulla, o comunque sappiamo molto meno, degli umili, di coloro che conducevano “la vita grama di sempre”. Ma anche gli umili avevano un ideale di uomo al quale si ispiravano.
21 febbraio 2010
LA PROSSIMA ERA DELLA DECRESCITA
Di Italo Romano
24 dicembre 2009
PRIMA DI ESSERE CONSUMATORI SIAMO ESSERI UMANI
di Tu Wenwen
Focus on the Global South/Ceprid
"Perché il Primo Ministro Wen ci tiene a dire che il lavoro si relaziona con la dignità della persona?" Mi diceva un professore universitario dalla sua poltrona. “Questo non è un momento per parlare di dignità. Il diritto alla sopravvivenza è fondamentale. E la dignità è qualcosa che verrà naturalmente, quando sarà il momento”. Ma come si può parlare di diritto alla sopravvivenza senza dignità, mi chiedo. Stringere la cintura non è qualcosa di nuovo per i cinesi. Hanno rispondendo all' appello di consumare meno alimenti durante il “disastro naturale” del 1958-1961. I contadini, in particolare, hanno stretto la cintura in vista dell' industrializzazione socialista, per permettere il trasferimento della ricchezza verso le città attraverso ciò che è stato chiamato forbice dei prezzi. Ma, questa volta succede qualcosa di insolito. Economizzarono e risparmiarono per prestare denaro al paese più ricco del mondo, ed ottenere lavori mal pagati, stimolando i consumatori di quel paese. Grazie al fallimento finanziario, c’è un fatto che comincia a farsi chiaro nella testa di molti cinesi: La Cina è il maggiore creditore degli USA, e nonostante questo i cinesi continuano ad essere poveri.
L’esportazione, l’investimento e il consumo sono stati proclamati come i tre cavalli che portano il carro della crescita cinese. I cavalli erano già malati ed il carro consumato anche prima della crisi economica. Nonostante che le importazioni hanno fatto della Cina “la fabbrica del mondo”, si tratta di una fabbrica con stipendi magri, a scapito dei lavoratori e dell'ambiente. L’investimento ha creato strade, ferrovie e città brillanti, così come la gigantesca bolla immobiliare. Il prezzo medio delle case in relazione al reddito in Cina era di 1 a 15 nel 2007. La cifra è arrivata 1 a 23 in Beijing (Libro di Statistiche Annuali della Cina, 2008)- La maggior parte della popolazione sono osservatori che non possono condividere la prosperità delle città. Il contributo dei consumi rispetto al PIL non ha mai superato il 40%, mentre quello di India è al 60%. Le fabbriche stanno chiudendo. I migranti si muovono da e verso i popoli. Milioni di universitari sono preoccupati per i loro posti di lavoro, anche se questa non è una novità dato che i segni di problemi economici erano evidenti negli ultimi anni. Di fronte alla crisi finanziaria, quando le ombre si chiudono sull’economia cinese orientata all’estero, la domanda interna diventa fondamentale. Molti si affrettano a segnalare con orrore che il tasso di risparmio del paese è di circa il 50% più alto del mondo.
Ma non dicono che i conti di risparmio delle famiglie rappresentano appena un 30 o 40 % del totale, mentre il resto appartiene al governo e alle aziende di proprietà dello Stato. In altre parole, la domanda di consumo insufficiente ha la sua origine dalla caduta persistente della percentuale delle entrate nazionali disponibili in mano delle famiglie (He& Cao, 2007). La ricchezza si concentra nello Stato, non nelle persone, e lo Stato usa i suoi risparmi per reinvestirli. E’ cosi che si arriva ad un PIL di due cifre. Questo mostra inoltre che la domanda interna è stata sempre spinta dall’investimento più che dal consumo. E’ vero che i cinesi tendono al risparmio e non al consumo, ma quello che succede non si può spiegare semplicemente per la “virtù tradizionale” del popolo cinese. In un paese dove lo Stato non trasferisce i benefici della crescita e non c’è una rete di sicurezza sociale, stringere la cintura sembra essere una misura ragionevole nonostante i tassi d’interesse “di fatto” negativi.
Per questo la maggior parte dei cinesi stianno semplicemente sopravvivendo, come lavoratori che producono “Made in Cina”, come osservatori che vedono le loro case dare spazio a strade e a condomini irraggiungibili, e come creditori che sono obbligati a risparmiare a nome proprio e pagare per conto di altri. E adesso gli si chiede di essere consumatori. Forse la formula di 4 bilioni di RBM più il tasso di crescita dell’8% più i 10 settori industriali, di mano d’opera a basso costo trasformerà i cinesi in orgogliosi consumatori? La composizione dei 4 bilioni è la seguente: 38 % infrastruttura, 25% ricostruzione post-disastro, 10% costruzione per la vita urbana (cioè case popolari e riforme delle case) 9% progetti di costruzione per gli insediamenti rurali (acqua potabile, elettricità, strade) 9% miglioramento tecnologico, 4% educazione, salute e cultura e 5% protezione dell' ambiente. Ovviamente si continua col vecchio schema: convertire tutte le città in cantieri edili. Forse la differenza è che i villaggi possono avere l'aspettativa di avere le loro opere di costruzione. Oltre al rischio di esacerbare le contraddizioni esistenti strutturali dell'economia, anche se la formula funziona per stimolare l’economia, quale utilità avrebbe un tasso di crescita dell’8% senza che si risolva adeguatamente lo squilibrio tra l’investimento ed il consumo, senza che si abbandoni il PIL come l’unico grande indicatore di sviluppo, e senza che la popolazione sia considerata come esseri umani che godono di salute e di educazione di qualità? Come si può sperare che le persone consumino senza sentirsi sicure nello spendere?
In tempi di crisi è comprensibile a mantenere i tassi di investimento elevati per attutire gli effetti e stabilizzare la società. Ma cosa si fa dopo due anni quando si sono spesi i 4 bilioni? Incoraggiare la domanda interna non è un nuovo slogan. Era stata presentata nel decimo Orientamento Quinquennale prima nel 2005. Ma semplicemente è stata la domanda d’investimento e non la domanda delle famiglie quella che è cresciuta. Se percaso, questa crisi offre una possibilità, è che lo sviluppo con tassi di crescita elevati e gli investimenti e costi elevati, non può e non deve continuare. A lungo termine si deve scommettere sul ridare ricchezza alla gente e così si potrebbe stimolare il consumo delle famiglie.
La Cina è un paese dove la metà della popolazione rurale non può accedere a servizi sanitari e quasi il 70% delle persone non hanno la pensione. E’ la terza economia del mondo, ma la spesa in educazione non raggiunge ancora il 4% del PIL- il livello medio dei paesi in via di sviluppo. La spesa pubblica sanitaria è intorno al 4% del PIL, senza assistenza sanitaria universale. Il sistema di sicurezza sociale (cioè, pensioni, assicurazione contro la disoccupazione, assicurazione contro gli infortuni del lavoro, ecc.) è quasi inesistente. La Cina ha sorpreso il mondo con la sua efficienza, ma è la giustizia quello che il paese dovrebbe cercare. Se la Cina ha il coraggio di dire alla sua gente che il paese è riuscito a venire fuori velocemente dalle ombre della crisi, deve avere anche il coraggio di ridistribuire la ricchezza, aumentare la spesa pubblica in salute ed educazione, sviluppare sistemi di welfare e dare facoltà al suo popolo perché siano cittadini attivi e non lavoratori, osservatori, consumatori o creditori passivi.
Quando parlavo con il professore che distingueva tra il diritto alla sopravvivenza e la dignità, tre persone mi sono venute in mente. Le ho conosciute nella zona rurale di Sicuani, nella regione sud occidentale della Cina. La prima, un uomo che era un lavoratore migrante dalla città. E’ tornato a casa sua per aiutare i suoi genitori con un’iniziativa di fattoria organica iniziata tre anni fa con la speranza di cambiare per una vita “sana, verde e armoniosa”. Non sa quanto altro tempo potranno restare lì, poichè ci sono voci che il suo paese si trasformerà in una zona di “sviluppo”, e nessuno sa esattamente cosa significa. Il secondo, un lavoratore in una fabbrica di cemento, che fa turni diversi ogni giorno, e negli intervalli aiuta sua moglie con un banchetto di alimentari nel centro. La sua fabbrica non è solo inquinante, ma si è anche appropriata delle terre dei suoi compagni contadini per ampliarsi, che ha sollevato le proteste degli abitanti del villaggio. “Io non ho partecipato in nessuna protesta”, mi disse sorridendo. Il terzo, l’ho conosciuto in un cantiere. Quando gli ho chiesto cosa stava facendo mi rispose: “faccio crescere la domanda interna”. Guadagna 40 RMB (circa 6 $) al giorno. Più tardi ho imparato che il lavoro in questione era stato previsto nel 2007, prima del pacchetto stimolo, ma in quei giorni tutta la costruzione era vista come uno “stimolo alla domanda”, nonostante che questo sia stato il settore principale di investimento dper anni. Riconoscere il diritto alla “sopravvivenza” non deve essere la scusa per spremere fino all’ultima goccia di sudore dei lavoratori cinesi. Siamo esseri umani. Se mi dessero il privilegio di aggiungere note a piè delle risposte del Primo Ministro Wen, direi che il lavoro si relaziona con la dignità dell’essere umano,la dignità che consente alle persone di scegliere il lavoro autonomo e consumare i prodotti delle loro terre, la dignità di rifiutarsi di lavorare come mano d’opera a basso costo in una fabbrica che inquina l’aria che respiriamo, e la dignità di sapere per cosa lavoriamo. Questo dipende da quale tipo di economia la Cina stimola e a quale tipo di sviluppo sta andando il paese.
Tu Wenwen è ricercatrice di Focus on the Global South. Ha realizzato questa ricerca di campo in Cina durante gli ultimi due mesi.
Fonte: http://www.nodo50.org/ceprid/spip.php?article561
Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da VANESA
Focus on the Global South/Ceprid
"Perché il Primo Ministro Wen ci tiene a dire che il lavoro si relaziona con la dignità della persona?" Mi diceva un professore universitario dalla sua poltrona. “Questo non è un momento per parlare di dignità. Il diritto alla sopravvivenza è fondamentale. E la dignità è qualcosa che verrà naturalmente, quando sarà il momento”. Ma come si può parlare di diritto alla sopravvivenza senza dignità, mi chiedo. Stringere la cintura non è qualcosa di nuovo per i cinesi. Hanno rispondendo all' appello di consumare meno alimenti durante il “disastro naturale” del 1958-1961. I contadini, in particolare, hanno stretto la cintura in vista dell' industrializzazione socialista, per permettere il trasferimento della ricchezza verso le città attraverso ciò che è stato chiamato forbice dei prezzi. Ma, questa volta succede qualcosa di insolito. Economizzarono e risparmiarono per prestare denaro al paese più ricco del mondo, ed ottenere lavori mal pagati, stimolando i consumatori di quel paese. Grazie al fallimento finanziario, c’è un fatto che comincia a farsi chiaro nella testa di molti cinesi: La Cina è il maggiore creditore degli USA, e nonostante questo i cinesi continuano ad essere poveri.
L’esportazione, l’investimento e il consumo sono stati proclamati come i tre cavalli che portano il carro della crescita cinese. I cavalli erano già malati ed il carro consumato anche prima della crisi economica. Nonostante che le importazioni hanno fatto della Cina “la fabbrica del mondo”, si tratta di una fabbrica con stipendi magri, a scapito dei lavoratori e dell'ambiente. L’investimento ha creato strade, ferrovie e città brillanti, così come la gigantesca bolla immobiliare. Il prezzo medio delle case in relazione al reddito in Cina era di 1 a 15 nel 2007. La cifra è arrivata 1 a 23 in Beijing (Libro di Statistiche Annuali della Cina, 2008)- La maggior parte della popolazione sono osservatori che non possono condividere la prosperità delle città. Il contributo dei consumi rispetto al PIL non ha mai superato il 40%, mentre quello di India è al 60%. Le fabbriche stanno chiudendo. I migranti si muovono da e verso i popoli. Milioni di universitari sono preoccupati per i loro posti di lavoro, anche se questa non è una novità dato che i segni di problemi economici erano evidenti negli ultimi anni. Di fronte alla crisi finanziaria, quando le ombre si chiudono sull’economia cinese orientata all’estero, la domanda interna diventa fondamentale. Molti si affrettano a segnalare con orrore che il tasso di risparmio del paese è di circa il 50% più alto del mondo.
Ma non dicono che i conti di risparmio delle famiglie rappresentano appena un 30 o 40 % del totale, mentre il resto appartiene al governo e alle aziende di proprietà dello Stato. In altre parole, la domanda di consumo insufficiente ha la sua origine dalla caduta persistente della percentuale delle entrate nazionali disponibili in mano delle famiglie (He& Cao, 2007). La ricchezza si concentra nello Stato, non nelle persone, e lo Stato usa i suoi risparmi per reinvestirli. E’ cosi che si arriva ad un PIL di due cifre. Questo mostra inoltre che la domanda interna è stata sempre spinta dall’investimento più che dal consumo. E’ vero che i cinesi tendono al risparmio e non al consumo, ma quello che succede non si può spiegare semplicemente per la “virtù tradizionale” del popolo cinese. In un paese dove lo Stato non trasferisce i benefici della crescita e non c’è una rete di sicurezza sociale, stringere la cintura sembra essere una misura ragionevole nonostante i tassi d’interesse “di fatto” negativi.
Per questo la maggior parte dei cinesi stianno semplicemente sopravvivendo, come lavoratori che producono “Made in Cina”, come osservatori che vedono le loro case dare spazio a strade e a condomini irraggiungibili, e come creditori che sono obbligati a risparmiare a nome proprio e pagare per conto di altri. E adesso gli si chiede di essere consumatori. Forse la formula di 4 bilioni di RBM più il tasso di crescita dell’8% più i 10 settori industriali, di mano d’opera a basso costo trasformerà i cinesi in orgogliosi consumatori? La composizione dei 4 bilioni è la seguente: 38 % infrastruttura, 25% ricostruzione post-disastro, 10% costruzione per la vita urbana (cioè case popolari e riforme delle case) 9% progetti di costruzione per gli insediamenti rurali (acqua potabile, elettricità, strade) 9% miglioramento tecnologico, 4% educazione, salute e cultura e 5% protezione dell' ambiente. Ovviamente si continua col vecchio schema: convertire tutte le città in cantieri edili. Forse la differenza è che i villaggi possono avere l'aspettativa di avere le loro opere di costruzione. Oltre al rischio di esacerbare le contraddizioni esistenti strutturali dell'economia, anche se la formula funziona per stimolare l’economia, quale utilità avrebbe un tasso di crescita dell’8% senza che si risolva adeguatamente lo squilibrio tra l’investimento ed il consumo, senza che si abbandoni il PIL come l’unico grande indicatore di sviluppo, e senza che la popolazione sia considerata come esseri umani che godono di salute e di educazione di qualità? Come si può sperare che le persone consumino senza sentirsi sicure nello spendere?
In tempi di crisi è comprensibile a mantenere i tassi di investimento elevati per attutire gli effetti e stabilizzare la società. Ma cosa si fa dopo due anni quando si sono spesi i 4 bilioni? Incoraggiare la domanda interna non è un nuovo slogan. Era stata presentata nel decimo Orientamento Quinquennale prima nel 2005. Ma semplicemente è stata la domanda d’investimento e non la domanda delle famiglie quella che è cresciuta. Se percaso, questa crisi offre una possibilità, è che lo sviluppo con tassi di crescita elevati e gli investimenti e costi elevati, non può e non deve continuare. A lungo termine si deve scommettere sul ridare ricchezza alla gente e così si potrebbe stimolare il consumo delle famiglie.
La Cina è un paese dove la metà della popolazione rurale non può accedere a servizi sanitari e quasi il 70% delle persone non hanno la pensione. E’ la terza economia del mondo, ma la spesa in educazione non raggiunge ancora il 4% del PIL- il livello medio dei paesi in via di sviluppo. La spesa pubblica sanitaria è intorno al 4% del PIL, senza assistenza sanitaria universale. Il sistema di sicurezza sociale (cioè, pensioni, assicurazione contro la disoccupazione, assicurazione contro gli infortuni del lavoro, ecc.) è quasi inesistente. La Cina ha sorpreso il mondo con la sua efficienza, ma è la giustizia quello che il paese dovrebbe cercare. Se la Cina ha il coraggio di dire alla sua gente che il paese è riuscito a venire fuori velocemente dalle ombre della crisi, deve avere anche il coraggio di ridistribuire la ricchezza, aumentare la spesa pubblica in salute ed educazione, sviluppare sistemi di welfare e dare facoltà al suo popolo perché siano cittadini attivi e non lavoratori, osservatori, consumatori o creditori passivi.
Quando parlavo con il professore che distingueva tra il diritto alla sopravvivenza e la dignità, tre persone mi sono venute in mente. Le ho conosciute nella zona rurale di Sicuani, nella regione sud occidentale della Cina. La prima, un uomo che era un lavoratore migrante dalla città. E’ tornato a casa sua per aiutare i suoi genitori con un’iniziativa di fattoria organica iniziata tre anni fa con la speranza di cambiare per una vita “sana, verde e armoniosa”. Non sa quanto altro tempo potranno restare lì, poichè ci sono voci che il suo paese si trasformerà in una zona di “sviluppo”, e nessuno sa esattamente cosa significa. Il secondo, un lavoratore in una fabbrica di cemento, che fa turni diversi ogni giorno, e negli intervalli aiuta sua moglie con un banchetto di alimentari nel centro. La sua fabbrica non è solo inquinante, ma si è anche appropriata delle terre dei suoi compagni contadini per ampliarsi, che ha sollevato le proteste degli abitanti del villaggio. “Io non ho partecipato in nessuna protesta”, mi disse sorridendo. Il terzo, l’ho conosciuto in un cantiere. Quando gli ho chiesto cosa stava facendo mi rispose: “faccio crescere la domanda interna”. Guadagna 40 RMB (circa 6 $) al giorno. Più tardi ho imparato che il lavoro in questione era stato previsto nel 2007, prima del pacchetto stimolo, ma in quei giorni tutta la costruzione era vista come uno “stimolo alla domanda”, nonostante che questo sia stato il settore principale di investimento dper anni. Riconoscere il diritto alla “sopravvivenza” non deve essere la scusa per spremere fino all’ultima goccia di sudore dei lavoratori cinesi. Siamo esseri umani. Se mi dessero il privilegio di aggiungere note a piè delle risposte del Primo Ministro Wen, direi che il lavoro si relaziona con la dignità dell’essere umano,la dignità che consente alle persone di scegliere il lavoro autonomo e consumare i prodotti delle loro terre, la dignità di rifiutarsi di lavorare come mano d’opera a basso costo in una fabbrica che inquina l’aria che respiriamo, e la dignità di sapere per cosa lavoriamo. Questo dipende da quale tipo di economia la Cina stimola e a quale tipo di sviluppo sta andando il paese.
Tu Wenwen è ricercatrice di Focus on the Global South. Ha realizzato questa ricerca di campo in Cina durante gli ultimi due mesi.
Fonte: http://www.nodo50.org/ceprid/spip.php?article561
Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da VANESA
6 novembre 2009
LA "TUTELA DEL CONSUMATORE" NELL'ERA DELLA SPOLIAZIONE DEI DIRITTI
di Stefano D’Andrea
Consumatore è termine polisemico. Esprime, almeno, tre concetti: giuridico economico sociologico. Il meno noto dei tre è forse il concetto giuridico. Eppure esso ha una rilevanza notevole, che tuttavia sfugge ai più, i quali sono ingannati dalla propaganda e dalla mitificazione mediatica.
Muoviamo dall’interrogativo di fondo, che è il seguente: se le normative di tutela del consumatore ci difendono, nella nostra qualità di uomini, cittadini e lavoratori, come mai quelle normative sono state in gran parte introdotte nell’ordinamento italiano negli anni novanta del secolo scorso e nei primi anni del secolo nuovo, ossia proprio nel periodo in cui il legislatore – indifferentemente di centrodestra o di centrosinistra – si accaniva contro di noi, ci spogliava di diritti che avevamo acquisito come cittadini e lavoratori e ci lanciava in pasto alla televisione commerciale lasciandoci annichilire come uomini?
L’interrogativo va riformulato con maggiore analiticità. Possibile, intendo dire, che negli stessi anni in cui il legislatore eliminava la stabilità del posto di lavoro; perseguiva la moderazione salariale, abbandonava il principio del carattere personale della prestazione professionale, abrogava le norme che prevedevano l’equo canone, svendeva il patrimonio immobiliare pubblico e cessava il finanziamento della edilizia popolare e cooperativa, così incidendo sul costo del diritto alla casa; abbassava i rendimenti delle pensioni; toglieva ai creditori titolari di modesti crediti il potere di far fallire la impresa debitrice, così diminuendo l’effettivo “valore” dei crediti; prevedeva espressamente che il know-how è un bene dell’impresa (e non una conoscenza collettiva); aumentava l’ambito dei beni brevettabili e tutelabili con la proprietà intellettuale e creava i “diritti sportivi”, che sono anche essi privative, così sottraendo beni alla collettività; rendeva generale l’anatocismo bancario (ossia la produzione degli interessi sugli interessi prima della domanda); trasformava in senso classista e chiuso il sistema politico con il passaggio dal proporzionale al maggioritario e con la introduzione dello sbarramento del 4%; ammetteva definitivamente la totale diffusione della televisione commerciale; e distruggeva la scuola e le università pubbliche ponendole al servizio dell’impresa, possibile, dicevamo, che in quegli stessi anni il legislatore abbia introdotto numerose leggi di “tutela del consumatore”, le quali, a differenza delle altre alle quali abbiamo accennato e di molte altre che avremmo potuto indicare (per un elenco più completo vedi qui), avrebbero riconosciuto diritti a quell’uomo-cittadino-lavoratore che invece era colpito, in tutti i modi possibili e immaginabili, nelle tasche, nella dignità, nella stabilità di vita, nelle prospettive di crescita e di mobilità sociale, dalle altre leggi, che chiamerei di spoliazione? Come si colloca la disciplina di tutela del consumatore all’interno di un’epoca di spoliazione?
Tre sono le ipotesi che è dato formulare e ovviamente è possibile che l’esame delle diverse discipline di tutela del consumatore riveli che ciascuna di esse trovi conferma in una o altra norma di legge.
La prima è che il legislatore abbia voluto indennizzare il cittadino della spoliazione che perseguiva. Il legislatore toglieva da un lato – in realtà da molti innumerevoli lati – e dava dall’altro, quello della tutela del consumatore, per compensare l’uomo, il cittadino e il lavoratore dei mille diritti, possibilità e prospettive perduti. La tutela del consumatore come indennizzo per la spoliazione, insomma.
La seconda è che si sia trattato di valium. La tutela del consumatore è soltanto un palliativo, un narcotico, che serve a dare un certo “benessere” al singolo mentre è spogliato di diritti e isolato dagli altri singoli individui, per effetto della immersione nell’immenso presente mediatico e della sollecitazione spasmodica dell’infantile e primordiale io desiderante, e così reso dimentico che il singolo individuo è o potrebbe essere parte di un popolo, con una storia tutta da costruire dinanzi a sé.
La terza ipotesi è la più dura da digerire e potrebbe davvero farci arrabbiare se, al momento della verifica, ci rendessimo conto che essa trova anche soltanto un parziale fondamento. La formulo con una domanda. E se si fosse trattato di un lubrificante, per non utilizzare un termine più specifico il cui uso è sconsigliabile perché allude inesorabilmente ad un tabù? Se fosse stato necessario questo lubrificante per penetrare nell’anima e nella mente dei cittadini e operare la definitiva manipolazione? Se la tutela del consumatore era un passaggio necessario o comunque utile per realizzare gli obiettivi ai quali miravano le leggi di spoliazione? Se vi fosse complementarità, e non compensazione, tra “tutela del consumatore” e “leggi di spoliazione”? Se soltanto l’uomo che si vede e si pensa come consumatore, che desidera essere tale e che non sa più nemmeno vedersi e pensarsi diversamente, poteva accettare la spoliazione di diritti, individuali e collettivi, di prospettive e tradizioni, nonché di essere sradicato da un popolo e da una storia e, quindi, sprovvisto di progetto?
In altri brevi articoli che seguiranno indagheremo se e in che misura le tre ipotesi trovino conferma nella variegata “disciplina di tutela del consumatore”.
Fonte: http://www.appelloalpopolo.it/
25 agosto 2009
MEDIOEVO CONTEMPORANEO
di Stefano Natalicchi
Il mondo globalizzato ha egemonizzato l’economica estendendo il controllo sul maggior numero di individui possibile. In questa espansione, secondo un modello capitalista, l’uomo non partecipa più alla costruzione della società, ne rimane estraneo, legato a un semplice numero matematico, in un progetto schiavizzante e vessatorio in nome del più cieco consumismo. Questa società borghese, si è strutturata mantenendo per se antichi privilegi, alimentando principi di estraneazione con il mondo operaio e il mondo del lavoro dipendente. Questa atomizzazione costruita senza legami di rispetto reciproco, ha favorito il controllo e la sottomissione delle masse: i dipendenti si possono muovere meccanicamente secondo un percorso prestabilito in un’articolazione senza anima e pensiero, stabilendo fini e mete individuali di consumo e produzione, confuse spesso con la libertà. La merce umana, è al servizio del nucleo economico.
La legge del guadagno, ha potuto contare sul sacrificio della nostra frammentazione. Divide et impera. I nostri spazi, sono asserviti a progetti ignoti a noi controproducenti, incontrando forme d’egoismo mascherate da individualismo. La società cosiddetta “moderna”, è contraddittoria e paradossale. Come nel medioevo, si vive all’ interno di un sistema: ieri la Chiesa, il podestà, la comunità, oggi le istituzioni e la società. La politica non socializza più con le masse, preferisce allontanarle senza capirle, rispettando il nuovo ordine mondiale.
L’analisi è inequivocabile: la società contemporanea è molto simile a quella di 700 anni fa. Questa mancata comprensione della società, ha prodotto un ostacolo alla soluzione dei problemi e la deperibilità dei rapporti solidali, innescando la frenetica picchiata della povertà. La soluzione del consumismo, per ora è un fallimento totale. Tutta l’economia mondiale è in recessione e nessuno sembra avere una soluzione a breve. Di fatto, il rilancio dei consumi non ci sarà finché ci saranno stipendi da fame. E’ una verità che tutti sembrano snobbare per interesse o per negligenza, ma prima o poi spunterà fuori con tale forza da sconfiggere anche i più renitenti.
L’unica cosa che sembra imbattibile, è il debito pubblico nel suo procedere temporale. Il prezzo che la democrazia occidentale ha dovuto pagare è alto, sia per quelli che ce l’hanno e per quelli a cui si voleva dare. Gli individui hanno pagato anche sotto il profilo personale: alienazione, libertà, esclusione, anoressia culturale e altre malattie psicotiche di cui l’uomo-macchina è vittima. La terapia che i “dottori” in denarologia chiamano carta di credito, sarebbe giusto chiamarla carta di debito.
L’ubriacamento sfrenato generato dalla moneta unica, ha prodotto speculazione e utopia. La politica mondiale è fortemente assuefatta al drogato americanismo, quindi convintamente atlantica e filo-padronale. I pochi (veri) uomini rimasti a rivoluzionare, sono considerati residuati da museo, fuori rotta e fuori tempo. L’operazione di cambiamento si può concretizzare solo facendo crescere il popolo. L’Italia, non ha una storia rivoluzionaria, tale cultura è stata inculcata dal medioevo: “con la Francia o con la Spagna, purché se magna”. Tale assuefazione costituisce uno sbarramento alla lotta, il potere lobotomizza facilmente il popolo. Dopo il piano Marshall, in particolare, dalla strage di Piazza Fontana a quella della stazione di Bologna, da Ustica a Capaci, la storia nazionale, è una vergogna totale. C’è una preordinata incapacità nel far emergere le verità.
L’Italia non è stata fatta dagli italiani ma dagli Stati Uniti d’America. Un popolo è orgoglioso quando costruisce la propria storia, non quando si genuflette a quella altrui.
Il mondo globalizzato ha egemonizzato l’economica estendendo il controllo sul maggior numero di individui possibile. In questa espansione, secondo un modello capitalista, l’uomo non partecipa più alla costruzione della società, ne rimane estraneo, legato a un semplice numero matematico, in un progetto schiavizzante e vessatorio in nome del più cieco consumismo. Questa società borghese, si è strutturata mantenendo per se antichi privilegi, alimentando principi di estraneazione con il mondo operaio e il mondo del lavoro dipendente. Questa atomizzazione costruita senza legami di rispetto reciproco, ha favorito il controllo e la sottomissione delle masse: i dipendenti si possono muovere meccanicamente secondo un percorso prestabilito in un’articolazione senza anima e pensiero, stabilendo fini e mete individuali di consumo e produzione, confuse spesso con la libertà. La merce umana, è al servizio del nucleo economico.
La legge del guadagno, ha potuto contare sul sacrificio della nostra frammentazione. Divide et impera. I nostri spazi, sono asserviti a progetti ignoti a noi controproducenti, incontrando forme d’egoismo mascherate da individualismo. La società cosiddetta “moderna”, è contraddittoria e paradossale. Come nel medioevo, si vive all’ interno di un sistema: ieri la Chiesa, il podestà, la comunità, oggi le istituzioni e la società. La politica non socializza più con le masse, preferisce allontanarle senza capirle, rispettando il nuovo ordine mondiale.
L’analisi è inequivocabile: la società contemporanea è molto simile a quella di 700 anni fa. Questa mancata comprensione della società, ha prodotto un ostacolo alla soluzione dei problemi e la deperibilità dei rapporti solidali, innescando la frenetica picchiata della povertà. La soluzione del consumismo, per ora è un fallimento totale. Tutta l’economia mondiale è in recessione e nessuno sembra avere una soluzione a breve. Di fatto, il rilancio dei consumi non ci sarà finché ci saranno stipendi da fame. E’ una verità che tutti sembrano snobbare per interesse o per negligenza, ma prima o poi spunterà fuori con tale forza da sconfiggere anche i più renitenti.
L’unica cosa che sembra imbattibile, è il debito pubblico nel suo procedere temporale. Il prezzo che la democrazia occidentale ha dovuto pagare è alto, sia per quelli che ce l’hanno e per quelli a cui si voleva dare. Gli individui hanno pagato anche sotto il profilo personale: alienazione, libertà, esclusione, anoressia culturale e altre malattie psicotiche di cui l’uomo-macchina è vittima. La terapia che i “dottori” in denarologia chiamano carta di credito, sarebbe giusto chiamarla carta di debito.
L’ubriacamento sfrenato generato dalla moneta unica, ha prodotto speculazione e utopia. La politica mondiale è fortemente assuefatta al drogato americanismo, quindi convintamente atlantica e filo-padronale. I pochi (veri) uomini rimasti a rivoluzionare, sono considerati residuati da museo, fuori rotta e fuori tempo. L’operazione di cambiamento si può concretizzare solo facendo crescere il popolo. L’Italia, non ha una storia rivoluzionaria, tale cultura è stata inculcata dal medioevo: “con la Francia o con la Spagna, purché se magna”. Tale assuefazione costituisce uno sbarramento alla lotta, il potere lobotomizza facilmente il popolo. Dopo il piano Marshall, in particolare, dalla strage di Piazza Fontana a quella della stazione di Bologna, da Ustica a Capaci, la storia nazionale, è una vergogna totale. C’è una preordinata incapacità nel far emergere le verità.
L’Italia non è stata fatta dagli italiani ma dagli Stati Uniti d’America. Un popolo è orgoglioso quando costruisce la propria storia, non quando si genuflette a quella altrui.
Fonte: http://www.rinascita.info/
22 dicembre 2008
LEGGE MARZIALE E FAME GLOBALE
Poche persone avevano previsto la crisi finanziaria, o quanto meno la sua gravità. Cosa prevedono ora?
Schiff, il manager con oltre $ 1 miliardi in investimenti, dice che gli Usa entreranno in un lungo periodo che potrebbe essere peggiore della Grande Depressione.
Schiff ritiene anche che la crisi economica potrebbe portare alla legge marziale.
Pensa che Asia ed Europa, dopo un periodo di calo economico, si 'disaccoppieranno' dagli Usa, ed infine godranno di grande prosperità molto prima che gli Usa si riprendano.
Schiff ha ammesso di non aver previsto l'attuale corsa al rialzo del dollaro, ed i suoi investitori --a lungo sui mercati azionari asiatici ed europei-- sono molto sotto.
Schiff era il principale consigliere economico di Ron Paul durante la sua campagna elettorale. Paul stesso ha previsto da molti anni la crisi, e ha avvertito che l'America sta spendendo più di quanto non si possa permettere. Paul ha ripetutamente messo in guardia contro la legge marziale.
20 dicembre 2008
NATALE NELL' INDIFFERENZA
La ricchezza delle 4 persone più ricche del mondo, è superiore al prodotto interno lordo dei 47 paesi più poveri del mondo.
La ricchezza delle 80 persone più ricche del mondo, è superiore al PIL della Cina cioè la ricchezza di 1 miliardo e 300 milioni di persone.
Il 4% della ricchezza delle 200 persone più ricche del mondo sarebbe sufficiente per i primi interventi dal punto di vista sanitario, scolastico, alimentare, idrico dell'intera umanità.
Questo vuol dire che il mondo è gestito da 2-300 persone o poco più.
I G8 non servono a niente perchè queste persone hanno già deciso, quelle che saranno le politiche economiche, sociali, finanziarie per il mondo intero, cioè per 6.000.000.000 di persone...ripeto: 6 MILIARDI di persone...
Ma questo non è tutto. Noi paesi "ricchi" ci siamo impegnati a versare lo 0,7% del nostro PIL per aiutare i paesi poveri, ma sono pochi quelli che danno questa percentuale, solo la Svizzera, l'Olanda e la Danimarca ad esempio danno l'1%, altri paesi come l'Italia e gli Usa danno molto meno dello 0,7% e alla fine la media è dello 0,22% del prodotto interno lordo, una cifra che si aggira sui 70 miliardi di dollari.
Ma siccome i paesi ricchi non riescono a dare questo 0,7% hanno deciso di dare a questi paesi la possibilità di esportare i loro prodotti nel nostro "mercato" per un valore pari allo 0,7%. Sembrerebbe un'idea geniale ed anche altruistica se non fosse che facciamo pagare di dazi 4 volte tanto ai paesi in via di sviluppo, mentre i dazi pagati tra i paesi considerati ricchi (cioè tra di "noi")sono un quarto di meno.
E' difficile orientarsi con le cifre, facciamo un piccolo riassunto:
Diamo a loro lo 0,22% per interventi di sostentamento e sviluppo 70 miliardi di dollari.
Loro...(paesi poveri) ci danno: 140 miliardi di dollari.
Quindi noi paesi ricchi "altruisticamente" facciamo grandi affari con la miseria del terzo mondo.
Al G8 di Toyako, questi farabutti responsabili della fame nel mondo, con l'aumento dei prezzi del mais e altri alimentari, e di tante altre speculazioni sulla pelle dei più deboli hanno detto:
"E' urgente rimuovere le restrizioni sull'export che intralciano i rifornimenti umanitari di cibo"
"Chiediamo inoltre a tutti quei Paesi che hanno abbondanti stock di cibo di rendere possibile l'accesso a una parte delle proprie riserve per quei Paesi bisognosi in questo momento di crisi dovuta all'aumento significativo di prezzi"
Tutto questo 5-6 mesi fa e nel frattempo le cose sono di gran lunga peggiorate.
Queste parole lasciano l'amaro in bocca sapendo che la morte, la sete e la fame sono un grande business per gli 8 (ora 20)paesi padroni della Terra.
Cifre e dati da www.stefanosalvi.it
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