OurLand, un progetto unico e innovativo ► Dalla Terra alla Blockchain
"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
13 febbraio 2014
CANCRO $.p.A.
Uno dei pericoli
più seri della diagnosi precoce, è la sovradiagnosi, che consiste nel
mettere in evidenza delle lesioni o dei tumori
in situ
che non
evolveranno mai nel corso della vita, ma sui quali, se li trovi, ti
sentirai ‘obbligato’ ad intervenire chirurgicamente e/o con terapie
radianti o chemioterapiche. Una recente analisi dei risultati di 57 studi sull’efficacia degli
screening tumorali ha evidenziato che solo in 4 di essi è stata valutata
la prevalenza della sovradiagnosi. I check-up, gli screening e i test diagnostici hanno quindi molto spesso
la capacità di sovrastimare l’incidenza di malattie ‘inconsistenti’
oppure di anticipare una diagnosi che crea magari per anni ansia e
angoscia supplementari senza poi vi sia un beneficio in termini di
sopravvivenza.
I dati americani purtroppo mostrano che in questi ultimi 30 anni c’è
stato un notevole aumento nella scoperta di questi tumori “precoci” (che
tumori non sono) e sarà sempre di più.
La stima, anche se per difetto, è che oltre un milione e trecentomila
donne americane abbiano ricevuto una tale diagnosi con i successivi
trattamenti ortodossi (chirurgia, chemio e radio), inutili se non per le
industrie del cancro.
Screening del tumore alla prostata Nel
1970 Richard Ablin, professore di immunobiologia e patologia al
College of
Medicine
dell’Università
dell’Arizona, ha scoperto l’antigene
specifico prostatico
(PSA).
Il criterio convenzionale per l’indicazione alla biopsia era che il PSA
fosse al di sopra di 4. Ma nel 2004 uno studio pubblicato indicò che
alcuni uomini, nonostante avessero un livello di PSA inferiore a 4,
potevano avere un tumore alla prostata. Alcuni medici allora
cominciarono a sostenere che era necessario sottoporre a intervento
chirurgico di biopsia quando i livelli erano superiori a 2,5.
Purtroppo per tutti noi, il valore del PSA non è indicativo di nulla,
perché il tumore prostatico è individuabile anche in uomini con PSA
inferiore a 1 (in uno studio su 10 mila volontari sani, nel 9% di questi
la biopsia confermò il tumore).
Non esiste un
livello che garantisca l’assenza di malattia, di conseguenza non può
esistere una soglia precisa per l’indicazione della biopsia.
È bene sapere che la biopsia prostatica è completamente diversa da
qualsiasi altra biopsia effettuata per la ricerca di un tumore.
Innanzitutto la biopsia viene effettuata a causa del valore
laboratoristico del PSA, mentre in altri organi, come il seno, ci si
focalizza su un nodulo o una massa che il medico può sentire o vedere
attraverso la diagnostica per immagini (ecografia, mammografia...).
Nella prostata il medico non vede assolutamente nulla, non ha nessuna
immagine che lo aiuti, ma preleva alla cieca, con un fine ago, dei
campioni (da 6 a 12) in varie zone dell’organo, per ricercare appunto il
tumore.
Se si eseguono più
biopsie, se si abbassano le soglie di
normalità
(valore del
PSA), si trovano più tumori.
Molti uomini certamente muoiono di cancro alla prostata e questo lo
rende in Italia la terza causa di morte nei maschi.
La probabilità che un americano medio muoia per questa malattia, è del
3%, mentre la probabilità che gli venga diagnosticata è del 16%.
Questi dati indicano una cosa sola: moltissimi uomini ogni anno ricevono
una diagnosi di cancro alla prostata, ma non muoiono per la malattia. Il
merito di tutto ciò va alle terapie o alla sovradiagnosi?
In uno studio
della
Cleveland Clinic
di Detroit, alcuni
patologi esaminarono la prostata di 525 uomini di età differente
deceduti in incidenti. Tali uomini erano caratterizzati dall’assenza di
qualsiasi tipo di cancro o di altra malattia nota.
Risultato: tra gli uomini giovani, intorno ai 20 anni, quasi il 10%
aveva il cancro alla prostata e negli uomini di circa 70 anni, la
malattia era presente nel 75% di casi.
Se è vero che
oltre la metà degli uomini di una certa età ha la malattia, ma solo il
3% muore a causa di essa (o delle terapie come vedremo), il potenziale
margine di sovradiagnosi è incredibilmente alto.
Il punto cruciale da comprendere è il seguente: maggiore è il numero di
screening prostatico, maggiore è il numero di biopsie effettuate e
maggiore è il numero di tumori identificati. Ma tale screening non è in
grado di distinguere i vari tipi di tumore, cioè quelli che crescono
veloci portando alla morte, da quelli che non crescono, che sono fermi e
che rimarranno fermi per tutta la vita senza dare complicanze o
problemi.
Una volta individuato però, si finisce prima sotto i ferri e poi se va
male, c’è chemio e radio che attendono.
I pericoli delle
terapie a base di radio e chemio saranno trattate più avanti, ma anche
la chirurgia del tumore alla prostata (prostatectomia radicale) provoca
danni enormi, danni che spesso non vengono espressamente spiegati al
paziente prima dell’operazione: disfunzioni erettili, disfunzioni
sessuali come impotenza, incontinenza, problemi al retto, l’organo che è
subito dietro, e per finire anche la morte del paziente.
Dopo quarant’anni,
il dottor Richard Ablin (scopritore del PSA), in un editoriale su
The New York
Times
del 9 marzo 2010, dal titolo “The
great prostate mistake”
spiega al mondo che la sua scoperta ha portato ad un vero e proprio “disastro
di salute pubblica motivato dal profitto”.
Non
solo, rincara la dose dicendo che
“la comunità
medica deve rinunciare all’uso inappropriato del PSA nello screening.
Così facendo si risparmierebbero miliardi di dollari e si eviterebbero a
milioni di uomini trattamenti debilitanti e non necessari. Il test non è
più affidabile che il lancio di una moneta … e non è in grado di
identificare il cancro alla prostata e, ancor più importante, non è in
grado di distinguere tra due tipi di cancro prostatico: quello che vi
ucciderà e quello che non lo farà. Uomini con un basso valore del test
possono essere colpiti da tumore pericoloso, mentre quelli con alti
valori del test possono essere completamente sani”49.
Il dottor Otis
Brawley responsabile medico dell’American
Cancer Society,
è dello stesso parere: “con
il test del PSA avete 50 volte più probabilità di rovinarvi la vita che
di salvarla”.
Nonostante quanto detto, tra il 50 e il 70% degli uomini sopra i 50
anni, senza sintomi e rischi di familiarità, si sottopongono o sono
stati sottoposti a questo test di diagnosi precoce.
Il rischio di sovradiagnosi in questo tipo di screening è stato stimato
nel 50% dei tumori identificati!
Un tumore diagnosticato su due non è pericoloso, non evolve, non crea
problemi, ma viene identificato...
Screening del tumore al seno
Nel
caso delle mammografie, il prof. Gianfranco Domenighetti ha le idee
molto precise: “la
totalità degli opuscoli distribuiti dagli enti che promuovono questa
indagine è non solo altamente disinformativa ma per la maggior parte può
essere considerata ‘spazzatura’....”. “Uno studio recente ha dimostrato che in Italia l’80% delle donne crede
che la mammografia annulli o riduca il rischio di ammalarsi di cancro al
seno (sic!),
e negli altri Paesi analizzati (Svizzera, Gran Bretagna, USA) la
percentuale è più o meno di questo ordine di grandezza. Tale percezione
ormai diffusa è la conseguenza di un’informazione parziale, non corretta
ed intrisa di conflitti di interessi.
Qualcuno dovrebbe farsi carico di correggerla...”.
Gli opuscoli “informativi”
sono così disinformativi, incompleti e faziosi perché il loro obiettivo
è proprio quello di convincere (con la paura) le donne a farsi una
diagnosi strumentale.
I dati scientifici in merito alle mammografie dimostrano che tale
pratica diagnostica NON riduce la mortalità delle donne colpite da
cancro alla mammella.
Non a caso, sempre più riviste mediche ufficiali hanno pubblicato
articoli ed editoriali che si interrogano sull’efficacia o meno di
questo screening indiscriminato: “Non
è sbagliato dire di no”
(British
Medical Journal);
“Ripensare
lo screening mammografico”
(Journal
of The American Medical Association);
“È ora
di rinunciare allo screening mammografico?”
(Canadian
Medical Journal);
“Più
danni che benefici dallo screening mammografico”
(British
Medical Journal).
Titoli inequivocabili che rendono palpabile la percezione che qualcosa
sta cambiando da dentro il sistema.
Nel 1992 sono
stati pubblicati i risultati di un grande studio randomizzato canadese
su donne dai 40 ai 49 anni: il gruppo di intervento ricevette ogni anno
non solo la mammografia ma anche un esame clinico del seno, mentre il
gruppo di controllo non ricevette nulla. Il risultato fu sorprendente:
lo screening non riduceva la mortalità per cancro alla mammella.
Alla fine del 1992, addirittura 9 dei 10 trial randomizzati
sull’efficacia dello screening mammografico erano stati completati e
pubblicati nella letteratura medica: nessuno di questi studi (incluso
quello canadese) dimostrò una riduzione della mortalità nelle donne
giovani.
Una recente
revisione scientifica del
Nordic Cochrane
Center
dal titolo “Riduzione
della mortalità grazie allo screening mammografico”,
è stata eseguita su donne dai 50 ai 74 anni seguite per 10 anni.
Un primo gruppo di donne ha eseguito ogni 2 anni una mammografia,
l’altro gruppo di controllo non ha fatto nulla.
Risultato: per ogni 1.000 donne partecipanti allo screening, 1 donna
avrà dopo 10 anni, la vita prolungata, cioè 1 decesso per tumore evitato
rispetto a 1.000 donne che non hanno fatto la mammografia.
Mentre è facile
focalizzare l’attenzione su quella donna che ne ha tratto vantaggio, ma
cosa ne è stato delle altre 999? Sono state sottoposte a screening senza
alcun vantaggio e molte di loro sono state sovradiagnosticate.
I problemi infatti evidenziati da questo interessante studio sono:
sovradiagnosi, falsi positivi e negativi, biopsie chirurgiche di
approfondimento.
Falsi
positivi in 242 donne
Circa 242 donne (oltre il 24%) hanno avuto un falso positivo, cioè una
diagnosi di cancro al seno che in realtà non avevano. In pratica il
mammografo evidenzia qualcosa che non c’è. Le complicanze psicologiche
di ansia e paura legate alla diagnosi sono pesantissime.
È bene precisare che nonostante l’alta tecnologica che caratterizza la
nostra epoca, non esiste un esame laboratoristico privo di falsi
positivi.
Falsi
negativi in 5 donne
Cinque donne con il tumore al seno, la mammografia non lo ha
riscontrato.
Biopsie
chirurgiche di approfondimento in 50 donne
Almeno 50 donne hanno subito una operazione chirurgica invasiva e
rischiosa, probabilmente inutile.
Sovradiagnosi di tumore al seno in 15 donne
Quindici donne con un tumori
in situ,
cioè un tumore incistato che non sarebbero mai evoluti, hanno subito
tutti i trattamenti...
Quindi per una
donna a cui si è evitato un decesso, altre 15 sono state trattate
inutilmente con interventi chirurgici, radio e chemioterapici.
La conclusione del direttore del
Nordic Cochrane
Center
di Copenaghen, Peter Gøetzsche, pubblicata il 31 luglio 2010 sul
British Medical
Journal
dalla direttrice
Fiona Godlee: “dopo
14 anni dall’introduzione degli screening, in Svezia NON si è verificata
alcuna diminuzione della mortalità per cancro al seno! Non ci sono
evidenze scientifiche che lo screening diminuisca la mortalità!”. La
mammografia per tanto non riduce la mortalità!
Sempre secondo il
dottor Gøetzsche, la percentuale di falsi positivi dopo 10 screening è
del 20% in Norvegia e del 50% negli Stati Uniti d’America. Questo vuol
dire 1 donna su 5 in Norvegia e addirittura 1 donna su 2 in America avrà
una diagnosi di cancro al seno completamente errata e falsata.
Questi dati assieme a tutti gli altri studi dimostrano che la
mammografia produce l’effetto opposto: porta a più mastectomie, almeno
il 20% in più.52 Il motivo è facile da comprendere: questo esame
diagnostico indiscriminato fa aumentare il numero di donne con cancro al
seno di tipo invasivo (il più pericoloso e mortale), ma anche il numero
di donne con microscopici tumori distribuiti nella mammella.
Un lungo periodo di follow-up fatto su 215.000 donne del New Mexico che
avevano avuto un referto mammografico normale, ha dimostrato che il
rischio di queste donne di sviluppare un tumore alla mammella nei
successivi 7 anni era esattamente lo stesso di quello delle donne della
stessa età nella popolazione gnerale.
(...)
Avvertenze da leggere prima di intervenire sul blog Voci Dalla Strada
Non sono consentiti: - messaggi pubblicitari - messaggi con linguaggio offensivo - messaggi che contengono turpiloquio - messaggi con contenuto razzista o sessista - messaggi il cui contenuto costituisce una violazione delle leggi italiane (istigazione a delinquere o alla violenza, diffamazione, ecc.)
Nessun commento:
Posta un commento
Avvertenze da leggere prima di intervenire sul blog Voci Dalla Strada
Non sono consentiti:
- messaggi pubblicitari
- messaggi con linguaggio offensivo
- messaggi che contengono turpiloquio
- messaggi con contenuto razzista o sessista
- messaggi il cui contenuto costituisce una violazione delle leggi italiane (istigazione a delinquere o alla violenza, diffamazione, ecc.)