19 gennaio 2010

PREOCCUPAZIONI USA: PRIMA LA GERMANIA E ADESSO IL GIAPPONE?

di Immanuel Wallerstein

La strategia geopolitica degli Stati Uniti dopo il 1945 si fondava su quello che sembravano pilastri solidi: controllare i suoi due nemici sconfitti durante la Seconda Guerra Mondiale, la Germania ed il Giappone. Per molto tempo, ogni paese è stato governato da un solo partito conservatore- l' Unione Democratica Cristiana (CDU) in Germania, ed il Partito Liberale Democratico (LPD) nel Giappone. Tutte e due i partiti hanno dato un impulso ad una politica di stretta alleanza con gli Stati Uniti, e di sostegno fedele alle loro posizioni geopolitiche.


Questo sostegno incondizionato
cominciò a rompersi prima in Germania. La CDU iniziò ad alternare il potere con il Partito Socialdemocratico nel 1969, ed il suo cancelliere, Willy Brandt, lanciò un’Ostpolitik, cercando qualche tipo di tregua con l’Unione Sovietica. L’indebolimento dei vincoli tedeschi con gli Stati Uniti progredì lentamente fino alla rottura significativa nel 2003 quando la Germania si alleò alla Francia e la Russia per sconfiggere la risoluzione sostenuta dagli USA nel Consiglio della Sicurezza delle Nazioni Unite e che avrebbe costituito una legittimazione all’invasione statunitense in Iraq.

Niente di simile è successo per molto tempo in Giappone, fino ad agosto 2009, quando il Partito Democratico Giapponese (DPJ), con il suo leader Yukio Hatoyama, spazzò l’LPD dalla carica con una risoluzione che includeva un ripensamento della relazione “subordinata” del Giappone agli Stati Uniti. Nel 1996, Hatoyama, pubblicò un articolo dove si descriveva il Trattato di Sicurezza Giappone-Stati Uniti come “
reliquia della Guerra Fredda” e chiamava il Giappone a “svezzarsi” della sua “eccessiva dipendenza” dagli Stati Uniti.

Da molto tempo c’era un problema di contenzioso nelle relazioni tra gli USA ed il Giappone: l’esistenza di basi militari statunitensi a Okinawa e le sue condizioni di governabilità.
Per minimizzare il dissenso, gli USA stavano trattando un nuovo accordo con il governo precedente (dell’LPD) che potesse trasferire parte dell’esercito (non tutto) dall’isola di Okinawa a Guam, e risistemare la base militare esistente in un’aerea più lontana da Okinawa. Hatoyama, però, sembrava volere che l’esercito statunitense abbandonasse completamente l’isola. Questo era il punto di vista di uno dei soci della coalizione dell’DPJ, il Partito Socialdemocratico, espresso ad alta voce.

Ci fu un ulteriore complicazione.
Proprio in quel momento, è venuto alla luce un accordo segreto tra l'America e il Giappone. Okinawa fu occupata dagli Stati Uniti dal 1945, sotto il loro totale controllo
. Gli Stati Uniti accettarono allora di “ridare” l’isola al Giappone nel 1972, ma mantenendo le loro basi. Ma c’era un problema. Gli Stati Uniti avevano armi nucleari a Okinawa. Il Giappone manteneva la politica ufficiale dei “tre principi del no al nucleare” (non possedere, non costruire e non permettere l’entrata di armamenti nucleari al Giappone). Teoricamente, questi principi governerebbero adesso la base statunitense. Ma, sembra che il presidente Nixon ed il primo ministro giapponese Eisaku Sato firmarono un accordo nel 1969 che permetteva agli USA di reintrodurre i loro armamenti nucleari a Okinawa in caso di “emergenza”. Dato che questa era una violazione diretta della politica ufficiale giapponese, è stata mantenuta segreta e lo sapevano solo poche persone in Giappone.

Inoltre, dopo aver assunto l’incarico, Hatoyama aggiunse legna al fuoco facendo un appello pubblico per la creazione della Comunità dell’Asia Orientale, abbracciando la Cina, Corea del Sud e lo stesso Giappone, ma senza includere gli USA.


La reazione iniziale degli Stati Uniti, di fronte a tutti questi eventi, fu quella di considerare la posizione di Hatoyama come la retorica di un governo “populista e senza esperienza”, e che non doveva essere preso sul serio. Ma Hatoyama, ha continuato esitante
il nuovo accordo proposto a Okinawa, il governo degli Stati Uniti sempre più sospettoso nei suoi confronti ha cominciato a preoccuparsi per le implicazioni a lungo termine di quella che sembrava una nuova svolta sulla strategia geopolitica giapponese. Alla fine di dicembre, la segretaria di Stato statunitense, Hillary Clinton, ha convocato l’ambasciatore giapponese per dire chiaro e tondo che gli Stati Uniti non avrebbero cambiato idea sui termini del nuovo accordo sulle basi militari. Il Washington Post informa che adesso gli USA sono “sconvolti” con Hatoyama, e considerano la posizione giapponese più “problematica” di quanto avessero pensato in precedenza.

E’ vero che i due giornali principali del Giappone, l’
Asahi Shimbun e lo Yomiuri Shimbun, hanno scritto editoriali e articoli d’opinione durante quest’ultimo mese con cautela su questa rottura con gli USA. Ma lo hanno fatto anche i giornali conservatori della Germania quando si allontanò dall’allineamento totale dagli USA. Tuttavia, Hatoyama è sotto pressione politica per diminuire la distanza dagli USA, e quindi esita. Ma esitare non è la stessa cosa che restaurare stretti legami con qualsiasi alleato che precedentemente non aveva bisogno di preoccuparsi della fedeltà dei suoi “solidi pilastri”.

Attualmente si pensa che il governo conservatore della Corea del Sud condivida il punto di vista statunitense verso il Giappone. Ma, lo stesso allontanamento della Corea del Sud rispetto agli USA cominciò tempo fa, ed inizialmente sotto lo stesso partito conservatore che adesso è al potere. Nel 2003, il governo sudcoreano ammisse che stava arricchendo uranio e plutonio, in segreto, da 20 anni.
Il processo è stato ben al di là di tutto ciò che l'Iran è stato accusato di fare, creare armi nucleari, in violazione dell'Accordo di Salvaguardie. Questo non è mai stato trasmesso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, International Atomic Energy Agency, ma rivela il grado di autonomia del governo della Corea del Sud per quanto riguarda la dipendenza degli Stati Uniti.

Se si unisce ciò che sta accadendo in Giappone e Corea del Sud
con la crescente riaffermazione geopolitica della Cina, sembra abbastanza probabile che nel prossimo decennio assisteremo ad un movimento importante per creare la Comunità dell’Asia Orientale proposta da Hatoyama. E mentre la Germania e la Francia si avvicinano alla Russia, ed il Giappone e la Corea del Sud si avvicinano alla Cina, gli Stati Uniti non possono più contare, in nessun modo, con i due solidi pilastri sui quali costruì la sua strategia come potenza (un tempo) egemonica del sistema–mondo.

Fonte:
http://www.jornada.unam.mx/2010/01/10/index.php?section=opinion&article=018a1mun

Tradotto per Voci Dalla Strada da
VANESA

18 gennaio 2010

NAOMI KLEIN: «LA CRISI AD HAITI OFFRE OPPURTUNITA' D'INTERVENTO AGLI USA»



Intervento di Naomi Klein lo scorso 14 gennaio, nel programma di Amy Goodman Democracy Now!, sugli avvenimenti ad Haiti e su coloro che stanno già lucrando sulla tragedia.


Come ho scritto su “Shock Economy”, si approfitta delle crisi
come pretesto per imporre politiche che non possono essere effettuate in condizioni di stabilità. Durante i periodi di crisi estreme, i popoli sono alla disperata ricerca di aiuti umanitari di ogni genere, qualsiasi forma di finanziamento, e non in una posizione favorevole per negoziare i termini di tale assistenza.

E voglio fare una digressione momentanea per leggervi uno straordinario documento, che ho appena pubblicato sul mio
sito Web. Il titolo dice “Haiti: fermarli prima che impongano lo “shock” un’altra volta”. L’informazione è stata pubblicata poche ore fa sul Web di Heritage Foundation (una fondazione “think tank” dell’èlite della classe dominante statunitense che formula le politiche e le ideologie implementate dai governi di turno).

“Nel mezzo della sofferenza, la crisi di Haiti offre delle opportunità agli USA. Oltre a dare aiuto umanitario immediato, la risposta degli USA di fronte al tragico terremoto offre l’opportunità di ristrutturare il governo e l’economia di Haiti, disfunzionali da tempo, oltre a migliorare l’immagine degli USA in quella regione”. E il documento continua.


Non so se le cose stanno migliorando, dato che
l’Heritage Foundation ha risposto dopo 13 giorni all’uragano Katrina con 32 proposte neoliberali per aiutare i colpiti di quel disastro. Pubblichiamo questo documento, anche sul nostro web. Le loro proposte per le vittime di New Orleans hanno portato alla chiusura delle case popolari, trasformando la costa del Golfo del Messico in una zona franca ed eliminando le leggi che hanno obbligato gli imprenditori a pagare un salario minimo ai loro dipendenti. Allora hanno impiegato 13 giorni nel formulare quella raccomandazione nel caso di Katrina, ma non hanno aspettato neanche 24 ore per Haiti.

Dico che
“non so se le cose stanno migliorando” perché hanno tolto quel documento dal loro sito due ore fa. Allora, forse qualcuno li ha informati che non andava bene che ci fosse. Ed hanno messo un documento molto più ragionevole. Questo disastro, come ha detto Amy, da una parte è naturale, un terremoto, ma dall’altra parte è una creazione e sta peggiorando la povertà degli haitiani che si aggrava e della quale i nostri governi sono complici. I disastri naturali sono peggiori nei paesi come Haiti, per esempio, a causa dell’erosione del suolo, che si produce quando la povertà obbliga i settori emarginati a costruire le loro case in condizioni precarie. Come risultato, le case crollano facilmente. Tutti questi fenomeni sono collegati. Ma in nessun momento possiamo permettere che questa tragedia, in parte naturale e in parte artificiale, venga usata per indebitare ancora di più Haiti nè per promuovere politiche che favoriscano le nostre corporazioni. E questa non è una teoria di cospiratori. Lo hanno fatto una volta dopo l'altra.

Fonte:
http://i3.democracynow.org/2010/1/14/naomi_klein_issues_haiti_disaster_capitalism

Tradotto per Voci Dalla Strada da
VANESA

L'FMI ANNUNCIA COME "AIUTO" UN NUOVO PRESTITO PER HAITI

Il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss Kahn, ha appena annunciato la sua ferma decisione di “muovere aiuti” per Haiti “molto velocemente”, con il rilascio di 100 milioni di dollari. Strauss Kahn ha detto che l’obiettivo è di “accompagnare Haiti nel difficile compito” ed ha espresso la sua “profonda simpatia verso le vittime”. Quello che il direttore generale ha dimenticato di dire è che i 100 milioni di euro non sono un aiuto. "In piccolo" c’è anche scritto che la somma sarà sbloccata sotto forma di “facilitazione estesa di credito”. Cioè gli haitiani dovranno restituirla, anche se sono sotto le macerie. E con gli interessi

Da due secoli, è un’abitudine di quella che si chiama comunità finanziaria internazionale. Autentico aiuto e autentica annullazione del debito estero di Haiti sono irrimediabilmente i compiti in sospeso del Nord con questo paese dalla sua nascita, nel 1804

Approfittando di uno degli episodi di restaurazione monarchica che la Francia ha sofferto nella prima metà del XIX secolo, gli ex coloni bianchi hanno imposto la loro vendetta. Il Re Carlo X ha inviato un emissario alla non riconosciuta repubblica nera nel 1825 con un chiaro messaggio: o Haiti accettava il debito per “indennizzare i coloni lesi” o la Francia avrebbe imposto un blocco navale, seguito da un’invasione.

Gli haitiani hanno dovuto capitolare, e così hanno caricato con un debito di 150 milioni di franchi d'oro dell’epoca dovuti alla Francia.
Un importo che, proiettato in cifre attuali, corrisponderebbe a circa 23.000 milioni di dollari di debito di colpo ad un paese come la Bosnia- Herzegovina appena usciti dalla guerra.

Milizia fascista


Una volta che gli ex schiavi haitiani ruppero il primo sogno di libertà, la Francia, stanca, passò il timone agli USA. L’occupazione di Haiti da parte dei marines (1915-1934) non solo è servita a Washington per trasferirsi, nel cammino verso la repubblica nera, di soldati che venivano da famiglie del Sud, capaci di sopprime la ribellione contadina dei Los Cacos. E’ anche servito per formare una milizia ausiliare haitiana fascista.

Gli USA si ritirarono da Haiti nel 1934, ma lasciarono le milizie, battezzate Esercito regolare, e continuò ad amministrare l’economia e le dogane fino al 1945, per farsi pagare. Questo pagamento ha avuto la forma di tassa sul caffè d’esportazione che si ripercuoteva sui contadini.

Quell’esercito haitiano è servito per sostenere decennio dopo decennio dittature come quelle dei Duvalier, che hanno sviato circa 900 milioni di dollari su conti correnti cifraati svizzeri e monegaschi, denaro che nessuno ha ridato agli haitiani.

Attualmente, le rimesse degli emigranti haitiani, sono, di gran lunga, la fonte principale di entrate del paese, seguito dal tessile e dal caffè. Ma non riescono ad equilibrare la bilancia dei pagamenti che il paese ha.

Conseguenza: 1.885 milioni di euro lordi di debito estero nel 2008. Nonostante gli annunci della “comunità finanziaria internazionale” lo scorso luglio, solo una piccola parte del debito è stata annullata. Una buona parte è stata “qualificata cancellabile”, ma non annullata. Gli haitiani devono solo di interessi circa 430 milioni di euro.

Cosciente di questo, Christine Lagarde, la ministra francese d’Economia ha detto ieri che ha contattato il resto dei membri del Club Parigi per annullare il debito di Haiti.

Fonte: http://www.cubadebate.cu/noticias/2010/01/16/el-fmi-anuncia-como-ayuda-nuevo-prestamo/

Tradotto per Voci Dalla Strada da
Vanesa

17 gennaio 2010

L' AGENTE SEGRETO DELLA RIVOLUZIONE...


di Eliseo Bayo

Obama è stato il candidato dell’ala sinistra della CIA e con lui i pupilli della Trilaterale hanno recuperato il potere


Barack Obama è stato il candidato della comunità dell’Intelligence. Più precisamente, rappresenta l’ala sinistra della CIA, che non è sorprendente,
a meno che non si abbia un’idea molto semplicistica della Centrale. Il mondo è mosso da forze rivoluzionarie, ma a quanto pare non si nota la loro forza gravitazionale.

Lo scenario è cambiato radicalmente. Se ne sono andati i
neocons dalla Casa Bianca. Portano ancora la colpa per quasi tutto il male che è successo nel mondo, e certamente si sbagliavano. Quasi nessuno ormai si ricorda che il mondo era un posto appetibile per vivere e sperare di vivere meglio. La sicurezza collettiva, il mondo della stabilità mutante, il paradiso dei piccoli borghesi che vivono delle briciole dei grandi speculatori, è andato letteralmente all'inferno.

I
neocons non sono stati sostituiti da una classe politica onesta e pulita, disposta a cambiare i paradigmi, perché non vi è nulla di simile. Sono tornati i vecchi mostri agenti della rivoluzione: tipi come Brzezinski, Soros, gli immortali, disposti a cambiare la faccia visibile dell’imperialismo.

Il potere a Washington è passato dai
neocons alla Trilaterale. Tornano i pupilli di un' organizzazione nata per raggiungere un’utopia contro natura: che le redini del mondo, sono ancora nelle stesse mani di coloro che le hanno avute per secoli, fino a quando sono state tolte dai ribelli del grande sogno americano.

La Trilaterale è entrata nella Casa Bianca con Carter, appoggiato dai suoi padroni David Rockefeller, Zbigniew Brzezinski e Paul Vocker.
Quell' Amministrazione ha causato non meno di cinque milioni di morti, senza contare quelli che sono stati condannati nel World Report 2000 con l'inizio dello spopolamento dell'Africa.

Brzeziinski ha manipolato le cose in un modo tale che i russi invadessero l’Afghanistan, ha provocato la guerra Iraq-Iran, mentre Volcker ha aumentato l’interesse del denaro fino al 22%,
il che ha significato la distruzione delle infrastrutture industriali americani (e per estensione, spagnole).

Obama è stato reclutato da Brzenznski quando studiava all’Università della Columbia. Lì entrò in contatto con la Trilaterale ed il Club del Bilderberg,
di cui uno dei mentori è il neoliberista Joseph Nye, il principale appoggio ideologico di Obama e ha anche introdotto la Ford Foundation (l'istituzione più conservatrice negli Stati Uniti, che serve l'oligarchia finanziaria), il Council on Foreign Relations e la Scuola di Chicago (con il professor Austin Goolsby, di estrema destra economica ).

La fondazione Gamaliel

La madre di Obama, Stanley Ann Dunham, di facciata pro comunista ma relazionata con i servizi dell’Intelligence, è stata al servizio della Ford Foundation e alla Banca Mondiale. Suo figlio lavorò per la Fondazione Gamaliel, insieme al militante palestinese e suo amico Rashid Khalidi, portavoce di Arafat. Probabilmente è lì che Obama si è interessato per il programma di portare la sanità pubblica a tutte le persone ed ha imparato
a gestire il lavoro sociale.

Nella stessa fondazione c’era Bill Ayres, attivista rivoluzionario negli anni '60 e protettore di Obama. Colui che si è seduto sulle ginocchia di Jeremiah Wright per 20 anni, l’attivista della teologia della liberazione nera.


La complessa personalità di Obama disegna la figura di un presidente della prima potenza in guerra permanente, dato che
la pace non è possibile fino a quando l’impero non imponga la sua Pax Mundial. Il suo pensiero politico si basa sulle origini degli USA, sorti da una guerra per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza. La strategia globale sarà di ottenere l’egemonia degli USA come garante dei suoi principi.

Brzezinski ed i suoi, da tempo hanno stigmatizzato la Russia e la Cina come i nemici principali, volendo usare i radicali contro i nemici degli USA.
Anche prima dell ’11 settembre, il servizio dell’Intelligence nordamericana sosteneva Al Qaeda ed ai Talebani per lanciare gli Uiguri musulmani contro il Governo cinese, ed ai Talebani contro gli alleati russi dell’Asia centrale.

L’obiettivo della presenza in Afghanistan non è quella di sradicare Al Qaeda, nè i talebani
, con i quali non tarderanno ad intendersi, ma essere in una situazione dalla quale poter colpire la Russia e la Cina. La Cina ha l’economia più forte al mondo, disciplina sociale, abbondante mano d’opera e classe media in aumento. La Russia possiede le maggiori riserve mondiale di gas e di petrolio. Le due superpotenze convergono nell’Organizzazione per la Cooperazione Shan-ghai, creata nel 2001 (con Kazakstan, Kirguistan, Taykistan e Uzbekistan).

Il vecchio Grande Gioco

L’essenza del nuovo imperialismo è di riprodurre il vecchio Grande Gioco di usare una piccola potenza per attaccare l’obiettivo e
fare in modo che i vicini litighino tra di loro in modo che l’alleato vinca. Si distrugge il Pakistan, con la scusa di bombardare Al Qaeda. Curiosamente nè Bush, nè McCain, nè Clinton, sono stati d’accordo nel bombardare il Pakistan. Obama, sì. Perché? Perché il Pakistan è un alleato tradizionale della Cina. Questa dipende dell’Africa per l' approvviggionamento di materie prime e di petrolio, specialmente dal Sudan che gli fornisce l’8% del suo fabbisogno di greggio. Bisogna cacciare la Cina dall’Africa e isolarla, perché se la si priva di rifornimento di energia deve andarlo a cercare nella Siberia Orientale, dove c’è abbondanza di materie prime e poca popolazione.

Il problema è che Pechino e Mosca conoscono il gioco, e allo stesso tempo
tutta la struttura finanziaria anglo-statunitense è in profonda crisi. Obama domina lo scenario ideologico che porterebbe ad una rivoluzione senza precedenti, ma non ha alleati in grado di comprendere e il mondo è stato vinto dal caos irrazionale e distruttivo. La speranza è una chimera, e nessun rivoluzionario coerente la offre. Il nuovo mondo, precisamente per essere tale, sorge quando il vecchio è sparito completamente senza poter immaginare come sarà quello che verrà.

Fonte:
http://www.publico.es/internacional/282422/encubierto/agente/revolucion

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
VANESA

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LA COMMISSIONE TRILATERALE DOMINA IL GOVERNO DI OBAMA

16 gennaio 2010

LA POLIZIA INCARCERA 1300 IMMIGRATI DOPO LA PROTESTA A ROSARNO



Di Marianne Arens e Stefan Steinberg


La polizia italiana e i carabinieri hanno arrestato circa 1.300 lavoratori africani nella cittadina calabrese di Rosarno durante il fine settimana caricandoli in autobus e in treno alla volta di centri di detenzione. Gli immigrati avevano lanciato proteste a Rosarno giovedì e venerdì della scorsa settimana in seguito a sparatorie il giorno precedente da parte di uomini armati ignoti le cui vittime erano alcuni immigrati.


I violenti scontri e gli arresti di massa sono indicativi di crescenti tensioni sociali in Italia e in Europa creati dalla crisi economica, dalla disoccupazione e dagli attacchi da parte dei governi europei al tenore di vita della classe lavoratrice. L'élite europea spera di deviare la frustrazione sociale contro i lavoratori immigrati, e allo stesso tempo di manipolare eventi come quelli a Rosarno per creare uno stato di polizia contro tutta la classe lavoratrice, immigrati e nativi.


Il ministro degli Interni Roberto Maroni non ha perso tempo nel descrivere gli eventi di Rosarno come il risultato di "troppa tolleranza". In realtà, lungi dall'essere una conseguenza della "tolleranza" dello stato italiano, tra i più brutali in Europa con gli immigrati, la protesta dei lavoratori immigrati a Rosarno fermentava da mesi, risultato di condizioni di lavoro e di vita disumane e dell'abuso sfrenato della ‘Ndrangheta.


È stata molto probabilmente la violenza della ‘Nndrangheta contro i lavoratori a provocare le proteste. Il giorno prima, alcuni immigrati erano stati feriti da uomini armati sconosciuti. Tra i feriti c'era un uomo del Togo.


Come risposta, centinaia di lavoratori al grido di "non siamo animali!" hanno lasciato le loro abitazioni rudimentali e hanno marciato nel centro della città di Rosarno, dove hanno divelto recinzioni, rivoltato bidoni dell'immondizia e rotto finestrini di auto.


Circa 1.500 lavoratori sono impiegati per la raccolta delle arance a Rosarno, un piccolo paese in Calabria, di circa 16.000 abitanti. Il lavoro più duro è a carico dei clandestini sottopagati, soprattutto africani. Gli africani lavorano in un circuito nel sud Italia, raccogliendo pomodori in Campania in primavera, uva in Sicilia in estate, olive in Puglia all'inizio dell'autunno, e infine arance in Calabria nel tardo autunno. Stando a fonti attendibili guadagnano non più di 2€ o 3€ l'ora.


Quando hanno lavoro, gli immigrati africani sono sotto pressione intensa e dormono in tende e costruzioni di cartone. Circa 200 lavoratori africani di Rosarno vivevano in una fabbrica abbandonata, senza riscaldamento, bagno, o acqua corrente.


Secondo Flavio Di Giacomo, portavoce dell'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) in Italia, i disordini rivelano che "molte realtà economiche italiane si basano sullo sfruttamento del basso costo della manodopera straniera, che vive in condizioni disumane, senza diritti", e in condizioni di "semi-schiavitù."


I salari degli immigrati raggiungono un massimo 23€ al giorno, da cui si deve detrarre fino a 5€ di "pizzo" alla' Ndrangheta. I colpi d'arma da fuoco della scorsa settimana si pensa siano stati sparati dalla criminalità organizzata che ha cercato di punire i lavoratori che si rifiutavano di pagare il pizzo.


Un lavoratore sudanese, Abdul Rashid Muhammad Mahmoud Iddris, ha detto alla CNN che giovedì una BMW si è fermata fuori della fabbrica abbandonata che serviva come alloggio per molti immigrati. Un uomo è poi uscito dalla macchina e ha sparato ferendo il ventiseienne Ayiva Saibou. La polizia locale ha detto che gli immigrati non hanno potuto aiutare l'uomo ferito.


Nel giro di poche ore, circa 2.000 immigrati marciavano nel centro di Rosarno, prima di essere respinti dalla polizia. Hanno tentato di ripetere la marcia il giorno successivo.


Lo stato italiano ha risposto senza pietà alle proteste degli immigrati. Centinaia di poliziotti e carabinieri sono stati immediatamente mobilitati contro i lavoratori immigrati. Unità di polizia paramilitare hanno sparato gas lacrimogeni contro la folla e hanno colpito con manganelli i lavoratori che protestavano.


La polizia e carabinieri sono restati in disparte quando gruppi di estrema destra hanno attaccato i lavoratori immigrati. Armati di bastoni, pietre e persino di fucili da caccia, questi estremisti hanno condotto una battaglia contro i lavoratori immigrati che è durata per tutta la giornata di venerdì. Hanno usato camion e trattori per dare la caccia ai lavoratori stranieri, ovunque si trovassero.


Gli immigrati si sono difesi con una barricata costituita da due macchine incendiate e un mucchio di pneumatici prima di ritirarsi nella fabbrica, che serviva come loro abitazione principale. Alla fine, unità di polizia armate fino ai denti hanno circondato gli immigrati di fronte alla vecchia fabbrica. Alcuni immigrati sono riusciti a fuggire mentre gli altri venivano deportati dalla città durante la notte.


La polizia ha organizzato autobus e treni per il trasporto di più di 1.000 immigrati nei centri di detenzione di Crotone, Bari e Brindisi, prima di radere al suolo i loro accampamenti di fortuna, alla periferia di Rosarno.


Sabato scorso una folla razzista ha continuato a sfogare la sua rabbia contro gli ultimi lavoratori stranieri a Rosarno. Un ventinovenne del Burkina Faso è stato ferito a entrambe le gambe e al braccio da colpi di fucile. Una macchina con tre lavoratori immigrati è stata fermata dai teppisti armati di spranghe di ferro. Uno dei tre in macchina è stato brutalmente picchiato, gli altri due sono riusciti a fuggire.


Il numero ufficiale dei feriti ammonta a 67, di cui 31 immigrati, 17 italiani e 19 poliziotti. Otto africani rimangono ancora in ospedale con gravi ferite.


Figure di spicco dello Stato italiano si sono espresse con dichiarazioni xenofobe nei confronti dei lavoratori africani. Il Ministro degli Interni Maroni ha detto che tutti i lavoratori africani di Rosarno che erano senza documenti in regola saranno espulsi. Il ministro Roberto Calderoli della Lega Nord ha reso noto il programma razzista del governo italiano e ha dichiarato che con la disoccupazione al 18 per cento nel sud d'Italia, "il lavoro deve andare agli italiani ... non agli immigrati illegali ".


"Prima l´ordine con le politiche di contrasto alla clandestinità, poi tutto il resto" ha esortato, Maurizio Gasparri, l'ex neo-fascista e attuale capo del gruppo parlamentare del Popolo della Libertà al Senato. I lavoratori stranieri clandestini avrebbero dovuto essere deportati con maggiore efficacia, il senatore ha insistito.


Gasparri ha taciuto sulle organizzazioni di tipo mafioso rivelate in questo ultimo incidente, o il modo in cui la 'Ndrangheta organizza la raccolta di frutta e realizza enormi profitti approfittando dello stato illegale degli immigrati. Nel primo giorno dei tumulti Maroni, della Lega Nord, era per caso in un meeting a Reggio Calabria in merito alla questione della criminalità organizzata. Solo pochi giorni prima la 'Ndrangheta aveva effettuato un attacco dinamitardo contro il tribunale regionale della città. Nel maggio 2009 la Commissione Anti-mafia aveva disposto un'indagine sul ruolo della mafia nelle imprese agricole della regione. L'inchiesta ha portato all'arresto di tre uomini d'affari locali e due collaboratori bulgari.


È del tutto probabile che elementi criminali locali hanno incitato alla violenza contro gli immigrati, al fine di distogliere l'attenzione dalle proprie attività. Come nel caso del 2008, quando le bande criminali della camorra hanno distolto dall'attenzione del loro ruolo nello scandalo dei rifiuti della città incoraggiando pogrom razzisti a Napoli.


Queste bande sono in grado di incitare alla violenza e scatenare pogrom consapevoli che le loro attività sono accolte dal governo Berlusconi come una cortina fumogena per la intensa crisi sociale del paese nel suo complesso. Il governo, a sua volta, rimane al potere a causa del completo abbandono di qualsiasi lotta da parte dell'opposizione e dei sindacati per la difesa dei diritti dei lavoratori.


Sabato il Segretario generale della CGIL, Guglielmo Epifani, ha rifiutato di difedere i lavoratori immigrati e ha condannato "la violenza, a prescindere da dove proviene".


Su una popolazione di 60 milioni, l'Italia ha circa quattro o cinque milioni di immigrati legali, e forse altrettanti o più senza documenti. Ha una popolazione che invecchia e uno dei più bassi tassi di natalità al mondo.


Berlusconi ha introdotto alcune delle leggi più draconiane in materia di immigrazione in Europa, comprese le vaste misure da parte della polizia e della guardia costiera per prevenire che gli immigrati raggiungano le coste italiane. Ci sono tutte le indicazioni che il governo utilizzerà gli eventi di Rosarno per inasprire le leggi ancora di più.


L'Italia non è da sola. In tutta Europa la classe dominante sta dando il benvenuto a forze politiche di estrema destra, mettendo in atto nuove restrizioni sui diritti democratici e rinforzando i poteri di polizia dello stato, tutto in veste di controllo dell'immigrazione e di lotta contro il "terrorismo". Tali misure in realtà servono come preludio ad un attacco molto più ampio alla posizione sociale e ai diritti democratici della classe lavoratrice nel suo complesso.


Fonte:
http://www.wsws.org/articles/2010/jan2010/ital-j12.shtml

IL LAGO CIAD RISCHIA LA SCOMPARSA

Di Paul Virgo

Cinquanta anni fa, il lago Ciad era più vasto dello stato di Israele. Oggi, ha una superficie dieci volte più piccola, e si prevede possa scomparire del tutto entro 20 anni.


Il cambiamento climatico e il sovrasfruttamento hanno messo in pericolo l’esistenza stessa di uno dei più imponenti laghi africani, e con esso la vita di 30 milioni di persone che dipendono dalle sue acque.


Secondo gli esperti, sta per profilarsi una crisi senza precedenti, che aggraverà il problema della fame in una regione che già soffre di una grave insicurezza alimentare, creando una seria minaccia per la pace e la stabilità.

15 gennaio 2010

CHI SALVERA' HAITI?


MENTRE LE RETI SOCIALI SI MOBILIZZANO, LE POTENZE E LE LORO ISTITUZIONI “STUDIANO” GLI AIUTI.

di Manuel Freytas


La tragedia di Haiti ha rivelato, ancora una volta, l’esasperante burocrazia e la lentezza (oltre alla scarsità di piani strategici per affrontare le contingenze catastrofiche mondiali) delle potenze e delle sue istituzioni per inviare aiuto ad Haiti, un paese povero e devastato, la cui ricostruzione e aiuto alle vittime supera qualsiasi stima numerica nella storia delle catastrofi naturali per un solo paese. Agli antipodi, e mentre l' ONU, la Banca Mondiale e le altre istituzioni di aiuto internazionale si soffermano su “valutazioni” e complesse ingegnerie di “stime del danno” (mentre Haiti è senza acqua, senza luce, senza servizi d’emergenza e con morti e vivi seppelliti sotto le macerie), le reti sociali emergono come un attore principale della tragedia attraverso un sistema di mobilitazione e di ricerca di aiuto solidale in tempo reale sul Web.


Attraverso le reti sociali, specialmente Twitter e Facebook, internauti di tutto il mondo solidarizzano, informano e promuovono campagne d’aiuto per i milioni di haitiani che hanno perso i loro cari e le loro case,
la maggior parte dei quali ora si aggira per le strade senza l'assistenza del governo.

Gli abitanti di Haiti che contano su un accesso ad internet, dall’altra parte, ricorrono alle reti sociali per informare ogni secondo, in tempo reale, sui dettagli della tragedia, con foto, video e testimonianze impressionanti.


Su Twitter, rete di microblog, si ripetono all’infinito i messaggi
e collegamenti a persone chiedendo aiuto di ogni tipo (alimenti, cibo, abiti, medicine, ecc) per le vittime, tra cui il cantante Wicleaf Jean, di origine haitiano, che ha chiesto ai suoi fan di collaborare con gli haitiani e di diffondere i link delle pagine che raccolgono fondi tramite internet.

Anche residenti negli USA e in Europa
parenti che risiedono o di passaggio a Puerto Principe, hanno usato Twitter e Facebook per ottenere qualche tipo d’informazione o contatto per conoscere lo stato o il luogo dove si trovano i loro parenti.

Sulla stessa linea, gruppi come EarthQuake Haiti e Help Haiti Donate Now, su Facebook, contano su un totale di 40.000 iscritti di tutto il mondo che si sono uniti per donare denaro e per inviare messaggi d’incoraggiamento al popolo haitiano.


Senza fretta: Le vittime possono aspettare


Nel frattempo, agli antipodi, i leader mondiali, le potenze e le sue istituzioni, si soffermano sulla demagogica “solidarietà discorsiva” o in confuse burocrazie che ritardano l’effettivo aiuto che gli oltre tre milioni di haitiani colpiti richiedono per la loro immediata sopravvivenza.


A questo si aggiunge l’assenza di piani strategici per affrontare la catastrofe, la mancanza d’informazione e la confusione,
che impediscono un coordinamento internazionale effettivo per il salvataggio e l’aiuto umanitario nel teatro della tragedia.

Fino ad ora, la catastrofe haitiana ha solo motivato riunioni burocratiche dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza per “analizzare” la situazione haitiana, senza che le potenze si mettano d’accordo per organizzare in modo congiunto l’aiuto materiale e di risorse umanitarie di cui Haiti ha bisogno,
diventato un cimitero di maceri.

L’ONU, fino ad ora, è stato solo il centro di una “catena” di conferenze stampa da parte del suo segretario generale, Ban Ki-Moon, e dei responsabili dei dipartimenti vincolati all’assistenza e all’aiuto in caso di disastri, che ancora non hanno stabilito un piano di azione concreta in soccorso alle vittime.

"Tutti gli incontri con i giornalisti sono stati caratterizzati da un' inesorabile mancanza di informazioni concrete circa la reale portata del disastro", ha detto Prensa Latina.


Demagogia della catastrofe


In mezzo all’immensa tragedia non è neanche mancato lo show demagogico dei leader mondiali “solidarizzati” con il paese devastato.


Il segretario generale dell’ONU, Papa Benedetto XVI, il presidente USA, il brasiliano Luis Inacio Lula da Silva ed il francese Sarkozy (tra gli altri) mercoledì
hanno espresso la loro solidarietà con il popolo haitiano, commossi dalla tragedia, ma senza che mostrassero dei piani concreti per andare in loro aiuto.

“Faccio appello alla generosità di tutti, affinchè a questi fratelli e sorelle che vivono momenti di bisogno e di dolore non manchi la nostra concreta solidarietà”, ha detto il Papa finendo la sua udienza settimanale al Vaticano.


“I miei pensieri e preghiere sono per coloro che sono stati colpiti da questo terremoto. Abbiamo supervisionato la situazione e siamo pronti per aiutare il popolo di Haiti”, ha detto Barack Obama, il presidente della prima potenza mondiale.

Il presidente del Brasile, Lula, si è dichiarato “molto preoccupato” ed il presidente francese Sarkozy ha espresso la sua “profonda emozione” e la sua solidarietà con gli haitiani.


Il presidente sudafricano, Jacob Zuma, ha trasmesso anche la “sua simpatia e le sue condoglianze” agli haitiani “colpiti dal sisma”, in un comunicato della presidenza.

Il Canada è “profondamente preoccupato” e disposto ad agire dopo il potente terremoto di magnitudo 7 che ha scosso Haiti, ha detto martedì il capo della diplomazia canadese.


Dimenticati dall’obbligo delle potenze e delle sue banche di
fornire aiuti internazionali, l’ex presidente statunitense e inviato speciale dell’ONU per l’Haiti, Bill Clinton, ha fatto un appello alle donazioni private di “anche uno o due dollari”, per alleviare la situazione d’emergenza in cui vivono più di tre milioni di haitiani.

“Molta gente qui e nel mondo vuole aiutare la popolazione haitiana. Abbiamo bisogno di acqua, cibo, rifugi e primi soccorsi, quello più urgente che puoi fare è inviare denaro, anche uno o due dollari”, ha detto Clinton, che è intervenuta insieme al segretario Ban nella tribuna dell’Assemblea Generale dell’ONU.


Le banche “studiano” la situazione


Le banche internazionali di “sviluppo sociale” si perdono anche in imprecisioni e in generalità al momento di determinare e attuare l’aiuto.


Senza coordinare un' azione congiunta immediata di fronte all’emergenza
, le potenti banche mondiali di sviluppo hanno chiesto una “risposta internazionale urgente” (come se fossero internauti delle reti sociali) per aiutare a ricostruire Haiti ed hanno annunciato che indirizzeranno i fondi dei progetti esistenti per sforzi di recupero e di ricostruzione.

La Banca Mondiale ha detto che avrebbe dato 100 milioni di dollari (una cifra assurda considerando la magnitudine multimilionaria dei danni e dei bisogni) in assistenza per Haiti, segnalando che “studia” di creare un fondo speciale per i donatori per coordinare le consegne degli aiuti.


La direttrice della banca per l’area caraibica, Yvonne Tsikata, ha detto che
l'istituto avrebbe inviato in breve tempo una squadra ad Haiti con altre agenzie dell’ONU per aiutare il Governo a “valutare la grandezza del danno” causato dal terremoto che ha causato migliaia di morti e ha colpito un quarto della popolazione haitiana.

Tsikata detto che la banca vorrebbe "iniziare la valutazione dei bisogni più presto possibile", anche se il governo non è pienamente operativo.


"Questo è un evento sconvolgente ed è fondamentale che la comunità internazionale a sostenga il popolo haitiano, in questo momento critico"
, ha detto da parte sua il presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick.

La Banca Interamericana dello Sviluppo (BID) che si trova in America Latina e Caraibi, ha detto che invierà “opportunamente”
circa 90 milioni di euro in fondi non ancora erogati a favore di Haiti e si prevede di approvare fino a $ 128 milioni di dollari in nuovi sussidi per il paese durante quest’anno.

“Ci piacerebbe andare lì quanto prima possibile”
, ha segnalato.

L’ agenzia sorella della Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, ha detto che è anche pronto per dare aiuto ad Haiti “
il più presto possibile”.

Chi salverà Haiti?


Nel frattempo, Haiti è un cimitero gigantesco: Centinaia di migliaia di cadaveri e tre milioni di persone colpite.

"La capitale è morte. Una parte di Haiti è distruzione", segnala
Haiti Press Network, una pubblicazione internet haitiana. Sia Haiti Press Network che la pagina digitale di Radio Metropole descrivono il panorama a Puerto Principe come desolato e dantesco, con “cadaveri abbandonati sul cemento”.

Non ci sono servizi d’emergenza, non c’è cibo, non c’è telefono, non c’è acqua, non c’è nulla, hanno descritto i testimoni. secondo l’ONU e la Croce Rossa, da 3 a 3,5 milioni di persone, più di un terzo della popolazione totale, sono stati colpiti in un modo o in un altro dal terremoto.


Haiti è devastato e collassato: l’infrastruttura della sua capitale è distrutta e la sua popolazione
è in preda al panico. Se non vado errato: Siamo di fronte al primo caso testimone di un Apocalisse in un paese totalmente povero e con la maggior quantità di “popolazione che avanza” per il sistema capitalistico.

Sicuramente Haiti dimostrerà quanto già sappiamo ( e comprovato dalla storia): Il sistema capitalista, USA e le potenze, limitano risorse economiche per usarli nelle “popolazioni che avanzano” che non generano reddito commerciale alle sue banche e transazioni.


Haiti è povero in massa (più dell’80% della sua popolazione è poverissima): La sua ricostruzione (cioè l' aiuto ai milioni che hanno perso tutto) implica miliardi di dollari che non risultano “redditizi”,
non generano rendimenti per le potenze e aziende capitaliste.

Chi salverà Haiti?: Siamo di fronte al primo modulo sperimentale su come reagirà il sistema di fronte alle Apocalissi che verranno.


Fonte:
http://www.iarnoticias.com/2010/secciones/contrainformacion/0002_quien_salva_a_haiti_14en10.html

Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da
Vanesa

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CACCIA AL NERO

Un capitolo profetico da "Servi" di Marco Rovelli (Feltrinelli, 2009)

A Rosarno è in corso una rivolta di braccianti subsahariani. Ancora una volta qualcuno gli ha sparato contro, e loro si sono presi le strade. Ripubblico il capitolo di "Servi" in cui raccontavo della mia esperienza rosarnese. Dove, come si può leggere, quel che accade oggi non è che una conseguenza naturale degli eventi. Naturale e giusta.


di Marco Rovelli
Nazioneindiana.com

La sezione è ancora quella del Pci. Uno stanzone con del materiale vario accatastato in fondo, vicino alla porta, dall'altro lato un vecchio tavolo, alla sua sinistra una bandiera del Pci, aperta, dispiegata, e a destra una televisione. Davanti alla televisione, o meglio sotto, ché la televisione è poggiata su un ripiano a due metri da terra, è seduto un vecchio iscritto al partito. Gli siedo accanto, ai piedi una stufetta elettrica, e lui smette di guardare la tv, ci mettiamo a parlare, e mi racconta di quando il suo maestro se ne andò a Varese che lui aveva quattordici anni e gli aveva lasciato la forgia, e lui doveva sostenere la clientela di tutti i contadini della zona, e fare falci zappe e roncole per tutti.


La casa del popolo di Rosarno è intitolata a Peppe Valarioti, che ne era segretario nel 1980, quando lo ammazzò la 'ndrangheta. A cinquanta metri da qui c'è anche una piazza che gli è stata intitolata: non lontano da quella piazza un paio d'anni fa hanno ucciso un ucraino che ripartiva per il suo paese con un pulmino, come d'uso i suoi connazionali gli avevano affidato i soldi da portare alle famiglie, quei soldi guadagnati nelle campagne raccogliendo arance e mandarini, conviene far così, mandarli col pulmino ché la commissione della Western Union è più alta e il pulmino i soldi li porta direttamente a casa, ma le voci corrono, e in questa zona sono velocissime, tanto veloci che le cose qui si sanno prima che accadano, così l'ucraino lo hanno aspettato che era buio e stava per partire, dev'essere andata che gli si sono presentati davanti con una pistola e lui ha fatto resistenza, così la pistola ha declinato il suo verbo e lui è caduto al suolo, crepato, accanto al nome di Peppe Valarioti, crepato anche lui per una pistola mafiosa, in un ristorante, accanto al suo compagno sindaco Peppino Lavorato, che per festeggiarlo, la notte di capodanno dopo il suo insediamento, gli avevano regalato una pioggia di fuoco, cinquantanove attentati in una notte, fucili mitragliatori che sparavano contro le serrande dei negozi, contro i vetri del comune, contro i portoni delle case, e poi il botto finale, con Peppe Valarioti, giovane intellettuale, crepatogli in faccia, al tavolo di un ristorante, un'altra pietanza da offrire all'altare del sacrificio.Io ho paura, mi dice Giuseppe (c'è un'eccedenza di Giuseppi qui, almeno nei nomi la tradizione ancora resta), Ho paura perché non sono da solo, perché c'è la mia famiglia con me. Un giorno davanti alla sezione hanno appeso delle teste di vitello mozzate, e qui il senso di queste cose ce l'abbiamo chiaro.


Quando hanno ucciso Valarioti la gente aveva paura anche di pensare. C'erano trecentocinquanta iscritti alla sezione, allora, e dopo l'omicidio in questo stanzone erano in quattro. Uno di loro era il vecchio compagno che guarda la televisione, il vecchio compagno che tutti chiamano mastro Melo.


Avevo quattordici anni, dice mastro Melo, Non un mese in più non un mese in meno. E oggi a quello di trent'anni, anche di quaranta, lo chiamano "u' figghiolu". Ma quale figghiolu, dice mastro Melo, figghiolu ero io a quattordici anni, quello a trent'anni è vecchio! Oggi c'è corruzione, dice mastro Melo. Non mi piace affatto.


Rosarno, dove la famiglia Pesce che è la cosca più potente del luogo ha fatto pure l'impianto di condizionamento in chiesa, comincia da qui, dalla casa del popolo Peppe Valarioti, e proprio dietro l'angolo, affacciato su piazza Valarioti, c'è l'ambulatorio di Medici Senza Frontiere, dove forse era andato a visitarsi anche l'ucraino ammazzato lì vicino. Quelli di MSF, prima, stavano nel palazzo dell'Azienda Sanitaria Locale, ma poi li hanno cacciati, La cittadinanza non li vuole qui, dicevano, Hanno paura per l'igiene, le mamme vengono con i bambini e si trovano tutti questi neri, non è igienico, loro hanno paura, giustamente hanno paura. La paura è reciproca, signora mia. Solo che per i neri è elevata alla milionesima potenza.


Lo sport più praticato dai giovani di Rosarno è la caccia al nero. Dove "nero" non designa un subasahariano, ma indica indistintamente - senza discriminazione - un africano: di pelle scura o chiara è lo stesso. Il lunedì mattina, sugli autobus che portano a scuola, i ragazzi si fanno i reportage dei rispettivi pestaggi, sono motivi di vanto, di onore, a misurare il valore, tante croci sul petto. Ci sono delle tecniche, per linciare un nero. Anzitutto, evidentemente, essere in gruppo. Poi appostarsi nei luoghi strategici, dove sei obbligato a passare se vuoi andare da un punto all'altro del paese. Luoghi come via Carrara, via Roma, via Convento. Su via Convento, ad esempio, c'è un muraglione da dove si ha a portata di sasso chiunque passi di sotto. Ma anche sul corso (il corso, nei paesi come Rosarno, non ha un altro nome: è il corso e basta) - anche sul corso ci sono i presìdi, si aspetta che passi un nero per dargli la caccia. Appena due mattine fa, dice Antonino (ha i capelli alle spalle, un maglione colorato, un giubbotto di pelle scamosciato - "pure io quando cammino, mi sento dire drogato, frocio, come sei combinato."), un ragazzino maghrebino correva, terrorizzato, lo rincorrevano in tre, con delle verghe in mano, l'ho fatto salire in macchina e l'ho portato via. E lo stesso ha fatto qualche tempo prima Giuseppe con un ragazzo algerino, a inseguirlo erano dei ragazzi più giovani di lui, avranno avuto dodici o tredici anni.


Io, quando li vedo passare, mi metto sul ciglio della strada, e lancio un sasso in aria, un bel sasso grosso, così gli faccio vedere che non ho paura, che sono pronto a reagire. Così mi dice Michael James, liberiano, che ho già incontrato all'ex zuccherificio di Rignano, vicino a Foggia, dove raccoglieva i pomodori, e che incontro di nuovo all'ex cartiera di via Spinoza, un posto che il miglior scenografo hollywoodiano saprebbe difficilmente restituire in tutto il suo scenario apocalittico, entri e ti trovi in mezzo a una cortina di fumo, e l'abbaglio di fuochi in mezzo a questo lucore tagliato da fasci di luce che entrano dalle feritoie del tetto coperte da plastica gialla ondulata, come fosse una cattedrale della desolazione, questa è la vera, realissima wasteland che nessuno spettacolo illumina, fuochi per cucinare accanto alle baracche di assi di legno inchiodate, con pareti di cartone e plastica e ancora cartoni a far da tetto, fissati da scarpe, sassi e stivali. Cumuli di terra. Rifiuti. Ethernit. Detriti. Laterizi. Sul grande muro in fondo al capannone ci sono scritte, e numeri di telefono.Tra le scritte, Procrastination is a thief of time. By Goding King, Prisoner of conscience mess.

A giugno dell'anno scorso sono entrati nella cartiera, hanno bruciato le baracche, le fiamme sono arrivate fino al tetto. Un'altra volta dei ragazzini , "bad guys" hanno detto i ragazzi della cartiera, sono entrati in macchina nel cortile, Ve ne dovete andare, hanno gridato, agitavano le pistole, e anche stavolta le pistole hanno declinato il loro verbo ad altezza d'uomo, nessuno però stavolta è caduto sui detriti.

E se qualcuno fosse caduto, si sarebbe trattato di un regolamento di conti tra questa gente clandestina e dunque portatrice di colpa, gente che la propria innocenza deve sempre e solo dimostrarla. Come è successo quando hanno fatto in piazza la festa per la fine del ramadan, un vero e proprio gesto politico, un gesto forte, una manifestazione d'esistenza. A notte se ne sono andati a gruppetti, per non restare soli, ma qualcuno è stato costretto a fare un tratto di strada da solo, gli pareva che non ci fosse nessuno alle spalle, e invece sono sbucati all'improvviso, loro sì davvero uomini neri, clandestini, gli si sono parati davanti e gli hanno detto Negro di merda devi andartene di qua, e giù botte, il ragazzo (anche lui un nero di quelli chiari) è rimasto a terra, il viso coperto di sangue, qualcuno ha chiamato la polizia, e la polizia al nero chiaro gli ha detto, Ma tu che ci facevi in giro a quest'ora? Il terzo giorno d'ospedale, il ragazzo, appena ha avuto un po' di forze per alzarsi dal letto, è scappato. Ché il clandestino, per la legge, è lui.

Mi inoltro nella cartiera, cammino tra le baracche. Luogo di fantasmi. Fantasmi realissimi, però. Che stanno attorno a un fuoco e si cucinano un pezzo di carne. E' tarda mattinata, e oggi non si lavora che fino a poco fa pioveva. Mi avvicino al fuoco, per scaldarmi. Un ragazzo mi saluta, ci presentiamo. Lui si chiama Charles, è liberiano. E' venuto l'anno scorso col barcone, non parla ancora italiano. Qui aveva degli amici. Le sue venticinque euro a giornata, a cui vanno sottratte le due e cinquanta da dare al guidatore del pulmino, non riesce a guadagnarsele tutti i giorni. A volte sono solo tre in una settimana, a volte cinque. Dice che non vuole tornarci in Liberia, in Italia ormai si sta ambientando, ha da lavorare. Finita la raccolta delle arance tornerà a Castelvolturno, nel casertano, dove fa base. E dove ogni tanto riesce pure a trovare qualcosa da fare, nella campagna. Il suo amico che sta cuocendo la carne, invece, è togolese, è qui da un anno e mezzo, e anche lui fa base a Castelvolturno.

Esco dal teatro di fantasmi, nel piazzale. Un ragazzo camerunense mi si avvicina, è disperato perché gli hanno rubato il portafoglio e dentro c'era il foglio di via. Non sa di preciso cosa sia, sa solo che è un documento, l'unico peraltro che attesti la sua esistenza qui,. Gli dico che non si deve preoccupare se l'ha perso, al limite è meglio così. Si fa felice d'un tratto, il volto risplende di un sorriso, Thank you! E' sollevato, sa che non ha perso un'occasione, un rimpianto non gli sta più sullo stomaco, basta poco per riaprire il tempo.

Poi comincio a spiegare come funzionano le regolarizzazioni, e si forma un capannello. Nessuno sa niente. E tutti mi ringraziano, strano essere ringraziati per informazioni che dovrebbero scontate, e che per loro sono vitali. Poi mi raccontano dei loro problemi, siamo in trecento qui, e tutti senza documenti. "Ci mandano via con un decreto di espulsione, ma noi non abbiamo soldi, dove andiamo? E poi è assurdo che il comune ci fa docce e bagni, poi il giorno dopo arriva la polizia e ci lascia per strada, o nella migliore delle ipotesi ci prende i soldi dalla tasca." Un ragazzo nero, lo sguardo teso, si fa largo con la voce e chiede di essere ascoltato. Mi chiamo Mohamed Bashir, dice, vengo dal Niger. "Ho bisogno di aiuto." Parla un po' in inglese e un po' in italiano. "Sono un musulmano, sposato a una cristiana. Do you understand what i'm telling you? My foliodivia is here, I can give you right now! Ma se io torno, muoio. Ho trent'anni. I can die anytime, I don't care, 'cos I'm tired." Mia moglie è morta, dice. "Lei mi disse che non poteva sposarmi se non ero cristiano. Io volevo questa donna, e avrei fatto qualsiasi cosa che potesse soddisfarla. Così mi sono convertito. Because of my woman. Hanno avvelenato il cibo: i miei genitori, tutta la mia famiglia, sono stati loro. Hanno avvelenato mia moglie e mio figlio."

Mi mostra l'orecchio accartocciato - they beated me - ed è evidentemente dovuto a una ferita. Ha anche una cicatrice vistosa sul labbro. "Sono venuto via dal Niger lo scorso anno, poi sono stato quattro mesi in Libia. Sono sbarcato a Pozzallo, poi mi hanno portato a Trapani. Lì mi hanno fatto l'intervista per l'asilo. Ma me l'hanno negato. Quando sono uscito da lì sono andato a Palermo, al centro di Biagio Conte. Ho avuto un contatto con un avvocato, ma voleva quattrocento euro per il ricorso, e io non li avevo. Ma io al commissioner che mi faceva l'intervista gli avevo spiegato tutto. Mi aveva anche chiesto se so cos'è la comunione. Yes: the bread is the body of Christ and the wine is the blood of Christ. .and the glory of god. Io non posso più essere un musulmano. Io ho chiesto al commissioner di cambiare nome, non più Mohamed Bashir, ma un nome cristiano. Ha rifiutato. I don't worry, I can die anytime, I give my life to God."

Telefono subito all'avvocato, la mia amica Alessandra, gli espongo il caso. Ed è dura dire a Bashir "There is nothing you can do". "Ok, I go back to Niger." E' dura sostenere il suo sguardo che mi oltrepassa e va a infilarsi in un vuoto che solo lui sa. E' dura vederlo girarsi e rientrare nel teatro dei fantasmi. Quando ripassiamo dalla cartiera, nel pomeriggio, Bashir mi saluta. Ma il suo sguardo è spento, l'espressione incupita, cammina a testa bassa.

Prima di scendere a Rosarno avevo telefonato a Michael James, il liberiano incontrato a Rignano, dove ci eravamo scambiati i numeri, anche perché gli avevo promesso di informarmi a che punto era la sua domanda per lo status di rifugiato. Mi aveva detto che al tempo della mia discesa non ci sarebbe più stato - invece lo trovo dentro la cartiera. Quando mi vede mi si fa incontro con un cinque. Ma come, gli dico, Non dovevi già essere partito? Lui risponde con un sorriso, Ho trovato lavoro tutti i giorni quest'anno! - e chi se l'aspettava. Ehi che cappellino, gli dico. E' un cappellino da baseball rosso e bianco con una foglia di marijuana sul davanti. Ma ho smesso di fumare, dice, anche le sigarette, guarda qui. E mi fa vedere un dente, marrone dal fumo. Eh, il nervoso dice. Mi racconta che a Monrovia era un taxi driver, e che i suoi genitori sono scappati da qualche parte in Ghana ma non sa dove.

Poi racconta che molti dei suoi amici stanno andando in Spagna, che proprio ieri un suo amico gli ha telefonato, lavora in campagna, come qui, ma guadagna quaranta euro al giorno. E poi molti altri vanno in Inghilterra, e Andama, quello che era con lui a Rignano, è riuscito ad arrivarci, nascosto in un camion, e adesso lavora in una piccola azienda. Ci vado anch'io, dice, appena ho un po' di soldi per il viaggio.

"Devi avere i soldi anche per pregare - dice. Se hai i soldi allora preghi e dici, Grazie Dio! Se non li hai, la tua mente non riesce a pregare, e allora dici, Oh Dio perché mi hai punito." Quando ci salutiamo, con un abbraccio, fa l'ultima invocazione: "Dio dei documenti!" Non riesce a pregare Dio, ma invoca un dio che potrebbe salvargli la vita.

Qualche settimana fa nella cartiera c'era anche Philip, un ragazzo ghanese. Me ne racconta Antonino. Al nord aveva avuto problemi con lo spaccio, e qui lavorava nei campi. Stava andando dal padrone a riscuotere la paga, lo accompagnava un amico con la sua auto. Un trattore esce da una stradina laterale d'improvviso e colpisce l'auto, che resta danneggiata. Che facciamo adesso? Il signore del trattore sembra disponibile, venite cinquanta metri più avanti, lì sulla destra c'è la campagna mia, ci fermiamo e parliamo. Ma appena all'ingresso del fondo, quello prende un badile e li colpisce sulla testa. L'amico riesce a scappare, Philip resta tramortito a terra, sul bordo della strada, finché una macchina passa e, guardandosi bene dallo scendere per aiutarlo vedendolo tutto sanguinante con uno squarcio sulla testa, chiama la polizia. Un'ambulanza lo porta in ospedale, dove gli danno dei punti di sutura, e insieme la polizia gli consegna il foglio dell'espulsione. Philip non ha voluto far denuncia, per paura di quello che l'aveva picchiato. Non si sentiva protetto per farlo, né sentiva di avere qualche chance per avere giustizia. Del resto la polizia non aveva proceduto nemmeno alla denuncia d'ufficio.

La polizia, agli abitanti della cartiera, si era fatta conoscere nel gennaio 2006 arrivando con le camionette, facendo uscire tutti e disponendoli in fila sul bordo della strada. Trattati con i guanti, nel senso che tutti i poliziotti avevano i guantini da infermieri, e il messaggio che passa è quello di infezione. Quando all'indomani del blitz Antonino era entrato nella cartiera, aveva incontrato chi aveva la macchina spaccata e gli erano state portate via le chiavi, chi diceva che i poliziotti gli avevano preso le borse con dentro telefonino e documenti, chi diceva che gli avevano preso cento euro. Tutto era stato sfondato, le baracche dove dormivano, le porte del bagno, un televisore con la parabola unica ricchezza, i due piccoli chioschi interni al luogo, e anche le stanze dove si esercitava la prostituzione. Perché questi sono come eserciti di uomini, e come tutti gli eserciti di uomini non manca mai il battaglione delle donne che vendono piacere.

La cartiera non è l'unico luogo abitato da questi braccianti. Ce ne sono almeno altri cinque. L'ex fabbrica della Rognetta, il ponte dei maghrebini, il ponte dei neri, il casolare della Fabiana, il casolare in collina dei senegalesi. Ci vado con Antonino e Giuseppe, che distribuiscono vestiti. Se alla cartiera ci sono solo subsahariani, alla Rognetta ci sono anche egiziani, marocchini, tunisini. Mi fermo a parlare con un egiziano di Alessandria che è stato due anni e mezzo a Milano, abitando in un appartamento con molti amici nella zona di Loreto, facendo il carpentiere. Dopo l'obbligo del cartellino voluto dal decreto Bersani ha avuto grosse difficoltà per lavorare, finché è stato trovato in metropolitana, dove oltre alla multa gli hanno dato il foglio di via. Così ha deciso di scendere. Solo che se lavorando tanto a Milano riusciva, col padrone che aveva, a guadagnare anche 120 euro al giorno, adesso non supera le 25. E in Egitto ha una moglie e due figli da mantenere.

Alla Fabiana c'è un casolare isolato dove ci stanno regolari. Lui si chiama Michael, è del Burkina Faso dove ha moglie e tre figli, e quando gli nomino Marcella della Campagna Tre Titoli si stupisce, Come fai a conoscerla! Poi, condividiamo anche un altro nome - onorato non solo dai burkinabé: quello del presidente Thomas Sankara, rivoluzionario e martire.

Ci sono quelli più fortunati che stanno in affitto, per la maggior parte esteuropei, otto persone per stanza, anche cento euro a persona. Una manna per i padroni di casa di qui, dove gli affitti sono molto bassi. Gli esteuropei tendono spesso a risiedere sul territorio per tutto l'anno, un po' meno i maghrebini: negli ultimi anni sono rimasti in meno ad abitare in queste zone, e qualcuno dice che dietro a questo decremento c'è la mano della 'ndrangheta. Si tratta di due tipi di migrazioni differenti, del resto: la maggior parte degli esteuropei viene con la famiglia, le donne cercano posto come badante, ma lavorano anche nella raccolta (non solo le arance, ma anche le fragole nelle serre di Lamezia, o le cipolle a Tropea); i maghrebini invece - le cui case si riempiono a rotazione, per far festa con tè alla menta, violino e tamburello - sono giovani soli. I subashariani, poi, sono legati al circuito della stagionalità, e arrivano a Rosarno tra ottobre e novembre. Come Michael, come Charles.

Rosarno veniva chiamata Americanicchia, una volta, quando i braccianti della Jonica ci andavano a lavorare, e i grandi commercianti amalfitani e napoletani aprivano negozi, empori. Oggi la 'ndrangheta si è mangiata tutto, si sta comprando le terre stabilendo i prezzi con minacce e intimidazioni, il mercato delle arance e dei mandarini è in mano a un oligopolio criminale, le cooperative dei produttori a cui i singoli agricoltori devono rivolgersi sono legate con le mafie, e sono loro che gestiscono il denaro dell'integrazione dell'Unione europea, il cui sostegno non era indirizzato alle strutture o alla qualità del prodotto, ma al prezzo: questo ha favorito truffe organizzate su vasta scala (le cosiddette "arance di carta"). Così, si trovano agrumeti ovunque, a Rosarno, anche dove dovrebbero essere gli alvei di fiume, riempiti appositamente per strappare incentivi europei.

Come mi racconta Peppino Lavorato, l'ex sindaco che era al ristorante con Valarioti quando venne ucciso, i nuovi agrari, soppiantando i baroni, sono diventate le cosche - che si sono arricchite col traffico di droga e di armi, e hanno fatto investimenti in attività immobiliari al nord sia d'Italia che d'Europa. Gli investigatori stimano che l'80% della cocaina d'Europa arriva dalla Colombia attraverso il porto di Gioia Tauro, insieme a consegne di Kalashnikov e Uzi, e il commercio è controllato dal centinaio di famiglie delle cosche.

I capitali accumulati, poi, vengono reinvestiti. Immobiliari e finanza anzitutto. Ma anche gli anelli più bassi della catena mafiosa riescono a reinvestire: Don Giuseppe Demasi, referente dell'associazione Libera in questa zona, mi racconta, quando lo vado a trovare a Polistena nella sua canonica, che molte persone legate alla 'ndrangheta e che lavorano nell'edilizia si sono spostate al nord, tra Reggio Emilia e Modena, una zona piena di affiliati. Hanno un piccolo capitale accumulato che reinvestono in quel modo, utilizzando manodopera e distribuendo lavoro, e possono farlo in territori dove possono godere di una sostanziale anonimità.

I migranti sono l'anello debole di questa catena: è anzitutto su di loro che si riversa la crisi generalizzata prodotta sul territorio dall'egemonia criminale (che ovviamente non esita a usarli al gradino più basso della catena, per spaccio o prostituzione). Un latifondista ha raccontato a don Giuseppe che la 'ndrangheta stabilisce anche la paga giornaliera dei migranti, che impone una sorta di calmiere: Tu non puoi dare più di questi soldi, dice all'agricoltore. La crisi generale del settore ha aumentato la concorrenza sul mercato del lavoro per i braccianti immigrati, dell'est Europa o africani. I subsahariani - i neri più neri - sono quelli che ci hanno rimesso di più, e lavorano di meno.

La cifra normale per una giornata di lavoro è di 25 euro, ma trattandosi di clandestini capita più o meno regolarmente che qualche caporale non paghi. C'è chi fa parte di una squadra in maniera continuativa facendo riferimento a un caporale "compaesano" e - per la maggior parte - c'è chi cerca lavoro giorno per giorno, trovandosi prima dell'alba sulla strada principale di Rosarno, radunandosi per gruppi "etnici": i maghrebini, i rumeni e i bulgari, i rom (rumeni anche loro, ma a distanza), i subsahariani. Come Michael.

Sono le cinque di mattina, sul lungo viale. Davanti all'International Phone Center c'è un gruppo numeroso di marocchini. Sono quelli che, per la pelle chiara, hanno più facilità a trovare lavoro. Più avanti un gruppo di Craiova, un signore anziano, con un berretto tipico, è in Italia con la moglie da un anno e mezzo: dice che sono qui da tre mesi ma lavorano poco, una giornata a settimana per 25 euro. Ho già conosciuto diverse persone di Craiova, e sono rom. Gli chiedo se anche lui lo è. Risponde con un sì sottovoce, come se fosse sorpreso di essere scoperto, e in quella voce che si abbassa risuona la paura. I rumeni, suoi connazionali, sono a distanza.

Più avanti parlo con un tunisino che è qui da 17 anni, ed è regolare. Dice con orgoglio di gestire una squadra di sessanta persone. Io dò di più degli altri, dice, 32 euro al giorno. I miei sono solo marocchini, tunisini, algerini - gli altri non mi piacciono. Ma oggi la mia squadra non lavora perché piove, per me va bene, allora vengo a reclutare altri lavoratori. Incontro anche dei nigeriani, loro abitano a Napoli e mi chiedono notizie sulle leggi sull'immigrazione, vogliono sapere se una sanatoria la fanno o no. Macché nuova legge, gli rispondo.

I pulmini arrivano, si sale in fretta e in fretta si riparte. La donna che sta seduta davanti è rumena ma ha l'accento napoletano. Che cazzo guardi guaglio'? Sul parabrezza una busta di pane e il giornale Business. Sui sedili di dietro, giovanissimi maghrebini.

Sono clandestini, senza di loro le arance resterebbero sugli alberi. Di loro hanno bisogno i padri nei campi, ma di loro hanno bisogno anche i figli per prenderli a sassate, che nelle loro figure espiatorie trovano il bersaglio ideale della loro cultura modellata dalla mafiosità, che di sacrifici si nutre, come Peppe Valarioti sacrificato su un tavolo di ristorante, quella mafiosità che fa cultura, che sempre più spesso fa rispondere, alla domanda Cosa vuoi fare da grande? - Il boss.

Fonte: Resistenze.org
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