Gli investigatori della Commissione d'inchiesta hanno individuato uno stabile in zona Balduina, proprio vicino via Mario Fani. Pubblicata la seconda relazione: trattativa aperta grazie all’Olp di Yasser Arafat, con l’intermediazione del famoso colonnello Giovannone, ma ai primi di maggio qualcuno la fa saltare. Occhi puntati su via Massimi, zona Balduina, proprio vicino via Mario Fani. Lì c’è una elegante palazzina, nel ’78 proprietà delloIor, la Banca vaticana, dove gli investigatori della Commissione Moro hanno individuato uncovo delle Bre dove assai probabilmente fu organizzata la prigione di Moro. E’ su quest’ultima ipotesi che si allungano le ricerche. Le novità più ‘pesanti’, da quel che si apprende, non sono state pubblicate nella II Relazione sull’attività della Commissione d’inchiesta: tutta roba che resta secretata per tutelare il lavoro istruttorio ma che è già sul tavolo dellaProcura di Roma.
I punti di partenza delle indagini sono stati tre: una nota della Guardia di Finanza che nell’immediatezza dei fatti parlava di una sede ‘extraterritoriale’, vicina al luogo dell’agguato, come possibile punto di primo riparo; alcuni accertamenti compiuti a suo tempo dalla polizia anche in seguito alla pubblicazione di un noto articolo di Pietro Di Donato pubblicato sul numero di dicembre 1978 della rivista statunitense Penthouse, nel quale venivano forniti precisi e inediti particolari; la ricostruzione delle modalità con cui sono state abbandonate le auto usate per l’agguato: i brigatisti le hanno parcheggiate tutte lì, in via Licinio Calvo, tornando su luogo del delitto, ma non dopo pochi minuti, come vuole la loro versione, ma in varie tappe nelle successive 48 ore.
«La decisione di far uccidere Moro non venne presa alla leggera. Ne discutemmo a lungo, perché a nessuno piace sacrificare delle vite. Ma Cossiga mantenne ferma la rotta e così arrivammo a una soluzione molto difficile, soprattutto per lui. Con la sua morte impedimmo a Berlinguer di arrivare al potere e di evitare così la destabilizzazione dell’Italia e dell’Europa».
Così parlò nel 2006 Steve Pieczenik, il consigliere di Stato USA, chiamato al fianco di Francesco Cossiga per risolvere la condizione di crisi, in un’intervista pubblicata in Francia dal giornalista Emmanuel Amara, nel libro Nous avons tué Aldo Moro. Ancora prima il 16 marzo del 2001 in una precedente dichiarazione rilasciata a Italy Daily, lo stesso Pieczenik disse che il suo compito per conto del governo di Washington era stato quello
«di stabilizzare l’Italia in modo che la Dc non cedesse. La paura degli americani era che un cedimento della Dc avrebbe portato consenso al Pci, già vicino a ottenere la maggioranza. In situazioni normali, nonostante le tante crisi di governo, l’Italia era sempre stata saldamente in mano alla Dc. Ma adesso, con Moro che dava segni di cedimento, la situazione era a rischio. Venne pertanto presa la decisione di non trattare. Politicamente non c’era altra scelta. Questo però significa che Moro sarebbe stato giustiziato.
Avvertenza per i lettori: non è intenzione dell'autore dell'articolo imporre il proprio punto di vista ricorrendo a trucchetti ed espedienti retorici, ma piuttosto fornire chiavi di lettura e di interpretazione che possano stimolare letture e ricerche per approfondire la storia di questo nostro più o meno recente passato che non è certamente scollegato dal nostro presente. Se l'interpretazione si presta forse ad essere tacciata di "complottismo",sono comunque autentiche le cornici e lo sfondo in cui si consuma la tragedia della narrazione italiana. Spetta a tutti noi uno sforzo ulteriore per sondare i dettagli e metterli in relazione fra loro... Buona lettura.
A proposito delle canzoni di Rino Gaetano, una "doppia chiave" di lettura ad ispirazione più o meno massonica è suggerita nei libri dell'avvocato Bruno Mautone "La scomparsa di un eroe" e "Chi ha ucciso Rino Gaetano?" nei quali si sostiene la tesi che il cantautore crotonese sia stato fatto fuori perchè con la sua produzione discografica intendeva denunciare l'ingerenza dei "poteri forti" americani e della NATO nel nostro paese, nonchè della Loggia P2 e della massoneria. A mio parere, se il giovane cantautore avesse voluto essere più efficacie ed incisivo nei suoi attacchi, avrebbe dovuto adoperare uno stile molto più diretto e meno allusivo ed evitare di infondere ai suoi testi la proverbiale vena troppo votata al nonsense e al grottesco per cui è più probabile che, venendo a conoscenza di certi fatti e situazioni, lui stesso si fosse in qualche modo reso disponibile a veicolare messaggi ed avvertimenti che potevano essere compresi solo in determinati ambienti. Oltre alla figlia del medico di Gelli, Gaetano annoverava fra le sue conoscenze un funzionario d'Ambasciata di nome Enrico Carnevali che lavorava a stretto contatto con certi ambienti diplomatici americani. Il fatto sconvolgente è che pure questo suo amico perirà qualche tempo dopo in un incidente d'auto...
Con
una formula felice i periti della Commissione Parlamentare stragi
Silvio Bonfigli e Jacopo Sce intitolarono un loro vecchio saggio "Il
delitto infinito" (Edizioni KAOS) ad indicare un caso di delitto
politico che sembra non esaurire mai "sorprese" e
retroscena inediti. In circa quarant'anni di pubblicazioni dedicati
all'affaire Moro – a partire dall'omonimo saggio licenziato dal
grande scrittore siciliano Leonardo Sciascia, sono stati scritte
decine e decine di testi caratterizzati da notevoli differenza per
stile ed ipotesi.
Secondo
il politologo Giorgio Galli – uno dei maggiori studiosi della
storia del Partito Armato – ogni vicenda, ogni singolo dettaglio o
episodio del caso Moro è così denso di quesiti ed implicazioni da
meritare un volume a parte, corposo per capitoli ed argomenti. In
effetti, in tutti questi decenni abbiamo letto e visionato svariati
libri relativi ai più importanti e scabrosi risvolti sul caso Moro,
senza mai incontrare il testo definitivo, quello capace di
ricostruire i "misteri" del caso Moro nella sua essenza,
facendo sintesi di quanto accadde nei più tragici e funesti giorni
della nostra singolare Repubblica. Perchè – e non bisogna
dimenticarlo – ogni singolo episodio, ogni dettaglio, ogni risvolto
più o meno segreto va a formare quelle tessere che potrebbero
conferire una forma comunque completa e definita a questo enigma che,
certo, non combacia con la semplice storia di un gruppo di intrepidi
guerriglieri metropolitani che rapisce il più eminente esponente
della classe politica ed istituzionale democristiana, ma, forse, è
una storia molto meno complicata di quella che qualcuno vorrebbe
raccontare, magari cercando di confondere le idee a qualcuno.
La maglietta mostra due sgocciolature di sangue; il corpo non è stato sempre riverso nel bagagliaio
Cancellate la sequenza di Aldo Moro ucciso da due terroristi delle Brigate Rosse in un garage, la mattina del 9 maggio 1978 all'interno del portabagagli di una Renault 4 di colore rosso e con targa falsa. Dimenticate la mitraglietta Skorpion ritrovata sotto il letto di un terrorista a Roma in Viale Giulio Cesare. Dimenticate anche l'ora della spietata esecuzione perché non è nell'intervallo di tempo che è stato sempre dato per certo. Dimenticate i colpi sparati verso il corpo di Moro mentre è avvolto in una coperta.
I documenti giudiziari delle indagini sottoposti a un'analisi incrociata rivelano una dinamica diversa. Completamente divergente dalla "verità ufficiale" e che non è mai stata raccontata dallo Stato e neanche dalle Brigate Rosse fino ad oggi. La ricostruzione dei fatti divulgata è peggiore del lavoro svolto dalla Commissione Warren che si occupò dell'omicidio di John Fitzgerald Kennedy. Sottoposte al vaglio di un'accurata analisi critica le tessere del puzzle non combaciano. I primi a chiedere rigore nelle indagini erano stati proprio i terroristi Morucci e Faranda nel 1980, chiedendo una nuova perizia sulle armi usate per l'esecuzione. La loro richiesta rimase inascoltata, nessuno ha mai saputo il perché.
Ascoltato in Commissione l’ex agente di Pubblica Sicurezza Adelmo Saba. Senatore Federico Fornaro: "Per la prima volta abbiamo appreso che esisteva questa prassi e che sicuramente quel giorno non fu garantita" Sedici marzo 1978: in via Mario Fani nessuna delle auto civetta del commissariato di zona svolge le consuete operazioni di ‘bonifica’ del territorio. Il servizio di controllo, che precede il passaggio di personalità importanti, viene misteriosamente sospeso. Lo ha detto davanti alla commissione d’inchiesta sul ‘caso Moro’ l’ex agente di Pubblica Sicurezza Adelmo Saba che quella mattina si trova inaspettatamente libero perché il suo capo, Enrico Marinelli, ha deciso, senza avvisarlo, di metterlo in ferie forzate.
«Il libro “Morte di un Presidente”, scritto dal giornalista Paolo Cucchiarelli, contiene tra l’altro due perizie depositate in Commissione Moro/2 insieme a tante novità: quella balistica del perito Gianluca Bordin e quella medica del prof. Alberto Bellocco, relative al decesso di Aldo Moro. Contengono rivoluzionarie verità a suffragio di alcune tesi da noi pubblicamente sostenute nel tempo», è quanto afferma Gero Grassi, vicepresidente del Gruppo Pd alla Camera e componente commissione d’inchiesta. Bellocco e Bordin provano che l’ora del decesso, a differenza di quanto sostenuto dai brigatisti e dalla perizia dell’epoca, è riconducibile alle 4,35 del 9 maggio 1978. Per quanto attiene la direzione dei proiettili, si dimostra che lo sparatore è accanto al conducente dell’auto e che Moro è seduto dietro il conducente.
«E’ impossibile - dice Grassi - che il Presidente Moro sia sdraiato nel bagagliaio, come sostengo da oltre due anni, in quanto sono presenti tracce ematiche sul lato interno del finestrino laterale posteriore sinistro e sul tettuccio interno, a livello del sedile posteriore dell’autoveicolo.
Segreti di Stati Cap.13 - L'ammiraglio Falco Accame
"A questo punto si impone una precisazione sull'organigramma della "Organizzazione". In alto vi sono i servizi segreti (italiani ed americani) e importanti militari, ma al vertice, contrariamente a quanto si potrebbe credere, non vi sono uomini politici che dettano legge a loro discrezione, bensì alcune potenti società multinazionali (in questo caso molte americane, una tedesca, diverse italiane). Sono queste organizzazioni finanziarie che manovrano, questa volta sì a loro discrezione, certi uomini politici italiani."
La commissione parlamentare: temeva per sé, presto nuove rivelazioni
Più si scava sul caso Moro, più aumentano le scoperte spiazzanti, quelle capaci di riscrivere interi capitoli di una delle storie più misteriose della Repubblica. Trentotto anni dopo il rapimento del leader democristiano da parte delle Brigate rosse, la apposita Commissione parlamentare di inchiesta sta svolgendo un lavoro al “ralenti” su singoli segmenti, per ingrandire ogni dettaglio. Come dimostrano anche i tempi di “lavorazione”: dopo un anno di indagine sono state passate al setaccio le prime due ore del rapimento, oltre ai tanti segnali che lo precedettero. Un metodo pragmatico che ha consentito diverse scoperte, alcune clamorose e ora accessibili grazie ad una prima relazione, completata nei giorni scorsi. Scoperte favorite dal clima nel quale ha lavorato la Commissione, «senza la volontà di riscrivere la storia, senza tesi precostituite, senza clamori», dice il presidente Giuseppe Fioroni.
Un piano segreto per uccidere l'artefice del centrosinistra.
Lo aveva scoperto Mino Pecorelli.
«L'Europeo» riapre un caso clamoroso
Aldo Moro è sopravvissuto fino a quel 9 maggio 1978,
quando le Brigate Rosse decisero la sua esecuzione. Sì,
sopravvissuto: perché Moro doveva morire 14 anni prima,
nel 1964, in pieno centrosinistra nascente, per mano di
un ufficiale dei paracadutisti, il tenente colonnello
Roberto Podestà.
È stato Mino Pecorelli a rivelare questo piano per rapire
e ammazzare il leader DC. Già, ancora Mino Pecorelli:
giornalista legato a doppio filo ai servizi segreti più
deviati, iscritto alla loggia P2 di Licio Gelli,
sospettato di ricatti, ucciso con quattro pallottole in
bocca e una al cuore nel 1979. (…)
Perché tanto silenzio intorno a quel giornale? Il piano del 1964 per eliminare Moro fu rivelato da
Pecorelli il 19 novembre 1967. Ma nessuno, dei pochi che
lesserò il suo articolo (non firmato) su Il Nuovo Mondo
d'Oggi, ne parlò e neppure smentì. Quell'articolo fu
ignorato completamente e forse deliberatamente anche
quando, 11 anni dopo, Moro fu rapito e ucciso.
La denuncia di Pecorelli nel 1967 era clamorosa, perché
si riferiva a un episodio cruciale di uno degli anni più
torbidi della storia della Repubblica: durò 204 giorni,
dal 5 dicembre 1963 al 26 giugno 1964, il primo governo
con ministri socialisti.
Presidente del Consiglio Aldo Moro, vicepresidente Pietro
Nenni, Giuseppe Saragat agli Esteri, Giulio Andreotti
alla Difesa e Paolo Emilio Taviani agli Interni.
La procura generale presso la corte d’Appello di Roma tornerà a indagare sulla presenza in via Fani di una moto Honda su cui la mattina del 16 marzo 1978, quando un commando delle Brigate Rosse sequestrò l’ex presidente della Dc, Aldo Moro,
annientando la sua scorta, viaggiavano due persone mai identificate. Ad
annunciarlo è stato lo stesso procuratore generale facente funzioni, Antonio Marini, nel corso di un’audizione davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro.