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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
3 marzo 2013
IL DEBITO INFINITO
Nell'anno 55 prima della nostra era, Cicerone scriveva:
«Il bilancio dovrebbe essere equilibrato,
le finanze pubbliche dovrebbero essere colmate, il debito pubblico
dovrebbe essere ridotto, l'arroganza della amministrazione dovrebbe
essere abolita e controllata e l'aiuto ai paesi esteri dovrebbe essere
diminuito per E il rischio che Roma cada nel falli- mento».
Da un bel
pezzo che la classe politica non legge più Cicerone! Dalla fine degli
anni Settanta, la maggior parte dei paesi industrializzati sono entrati
in un regime di debito permanente, dal quale nemmeno i periodi di forte
crescita economica hanno consentito di uscire. Il debito misurato è
quello delle amministrazioni pubbliche, che viene chiamato "debito
sovrano" o "debito pubblico". Di Alain De Benoist
Diorama Il debito pubblico "nel senso di
Maastricht", misurato in valore nominale (e non in valore di mercato),
viene definito come il totale degli impegni finanziari degli Stati
contratti sotto forma di prestiti risultanti dall'accumulazione, sul
filo degli anni, di una differenza negativa tra le loro entrate e le
loro spese o i loro oneri. Esso concerne tre settori: le amministrazioni
centrali, cioè lo Stato propriamente detto, le amministrazioni locali
(collettività territoriali, organismi pubblici, ecc.) e i sistemi di
Previdenza centrali. Il trattato di Maastricht del 1992 aveva adottato i
principi che il deficit degli Stati membri dell'Unione europea non
avrebbe dovuto superare il 3% del prodotto interno lordo (Pil) e che il
loro debito pubblico sarebbe dovuto rimanere al di sotto del 60% del
Pil. Quegli obiettivi non sono stati raggiunti. Globalmente, il debito
pubblico nella zona euro è aumentato del 26,7% dal 2007.
Oggi
rappresenta l'80% del Pil globale della zona. Ma in questo caso si
tratta solo di una media. Nel 2011, otto paesidell'Unione europea
esibivano un debito superiore all'80% del loro Pil: l'Ungheria e la Gran
Bretagna (80,1%), la Germania (83%), la Francia (85%), il Portogallo
(92%), il Belgio (97%), l'Italia (120%) e la Grecia (160%). Gli
americani non se la passano meglio: al momento, ogni spesa pubblica
effettuata negli Stati Uniti viene finanziata nella misura del 42% da
prestiti! In Francia, il debito pubblico nel 1980 rappresentava solo
il 20,7% del Pil, ovvero l'equivalente di 92,2 miliardi di euro. Nel
2007, quando Nicolas Sarkozy è stato eletto alla testa dello Stato,
aveva già raggiunto il 64,2% del Pil (1.211 miliardi di euro). Oggi
ammonta all'85,3% (1.688 miliardi di euro), con un 30% di aumento in
quattro anni. Il rapporto 2011 della Corte dei conti lascia prevedere
che potrebbe raggiungere il 100% del Pil nel 2016.
La parte essenziale
del debito è a carico delle amministrazioni centrali: 1.297 miliardi di
euro su 1.646 nel 2011 (le collettività locali erano indebitate solo per
un ammontare di 156 miliardi, la Previdenza sociale per una cifra di
191 miliardi). E il deficit delle finanze pubbliche, che si è fissato
nel 2011 a 98,5 miliardi di airo, continua a crescere al ritmo di 3.200
euro al secondo! Il servizio del debito rappresenta il pagamento annuale
dei prestiti sottoscritti giunti alla scadenza. Il carico del debito
costituisce il pagamento dei soli interessi, ovvero in Francia circa 50
miliardi di euro l'anno, il che corrisponde al 20% del bilancio dello
Stato, all'89% dell'imposta sul reddito, o ancora al 140% dell'imposta
sulle società. Poiché il rimborso del capitale del debito ammonta a
circa 80 miliardi di euro, il servizio totale del debito rappresenta
oggi per lo Stato 118 miliardi di euro, cioè l'equivalente della
totalità delle sue risorse fiscali dirette. Mentre il pagamento dei soli
interessi, sta per diventare la prima posta di bilancio dello Stato,
prima dell'Educazione nazionale, della Difesa o della previdenza.
Ma a
chi dobbiamo tutto questo denaro? Essenzialmente ai mercati finanziari,
ad istituti bancari, a compagnie di assicurazione, a fondi pensionistici
e a talune società acquistano. Sono loro che "aquistano" titoli del
debito francese, si tratti delle obbligazioni assimilabili del Tesoro
(Oat), le più importanti in volume, che sono prodotti a lungo termine,
dei buoni del Tesoro a interesse annuale (Btan), che hanno una durata da
due a cinque anni, o dei buoni del Tesoro a tassi fissi e a interessi
predefiniti (Btf), a brevissimo termine. Di fatto, oggi è attraverso la
gestione dei debiti degli Stati che i mercati finanziari sono
strutturati ed organizzati. Gli istituti finanziari scambiano poi il
debito che hanno "acquistato" in forme molteplici, come i prodotti
derivati, il che consente loro di speculare a propria volta sui mercati.
Il paese industrializzato più indebitato è il Giappone, con un debito
che supera il 195% del suo Pil, ma questo debito è essenzialmente
detenuto dagli stessi giapponesi, il che pone il Giappone relativamente
al riparo dalle alee della congiunture internazionali. Non è il caso
della Francia, dove il 68% del debito negoziabile dello Stato è nelle
mani di investitori "non residenti", cioè stranieri. Quali sono i paesi
che ne possiedono di più?
E impossibile saperlo con certezza, giacché la
legge proibisce di divulgare tale informazione. Come si è arrivati a
questo punto? Le cause ovviamente sono molteplici: deficit di bilancio a
ripetizione (la Francia è in deficit da quasi quarant'anni), incapacità
della maggior parte degli Stati di padroneggiare le spese pubbliche,
riforme fiscali e riduzioni di tasse demagogiche (se la fiscalità non
fosse cambiata dal 1999, il debito francese oggi sarebbe di circa 20
punti di Pil in meno), deindustrializzazione in parte dovuta alle
delocalizzazioni rese possibili dalla globalizzazione (nell'insieme dei
paesi appartenenti alla Ocde, qualcosa come 17 milioni di posti di
lavoro industriali sono stati distrutti nell'arco di soli due anni),
deregolamentazione, privatizzazioni e via dicendo. Una delle cause
immediate dell'innalzamento del debito risiede nei piani di salvataggio
della finanza decisi dagli Stati nel 2008 e nel 2009. Per salvare le
banche e le compagnie di assicurazioni, gli Stati hanno dovuto a loro
volta contrarre prestiti sui mercati, il che ha accresciuto il loro
debito in proporzioni enormi.
Somme astronomiche (800 miliardi di
dollari negli Stati uniti, 117 miliardi di sterline in Gran Bretagna)
sono state spese per impedire che le banche sprofondassero, decisione
che ha gravato in pari misura sulle finanze pubbliche. Complessivamente,
le quattro principali banche centrali (Riserva federale americana,
Banca centrale europea, Banca del Giappone e Banca d'Inghilterra) hanno
iniettato 5.000 miliardi di dollari nell'economia mondiale fra il 2008 e
il 2010. È il più grande trasferimento di ricchezze della storia dal
settore pubblico al settore privato! Un trasferimento che ha permesso
alle banche salvate dagli Stati di ritrovarsi creditrici dei propri
salvatori... Nel frattempo, il credito ha continuato a generalizzarsi.
La possibilità di contrarre prestiti per coprire le spese correnti o
acquistare un alloggio offerta ai nuclei familiari è stata la principale
innovazione finanziaria del capitalismo del dopoguerra. Indebitandosi
massicciamente, le famiglie hanno indiscutibilmente contribuito, fra il
1948 e il 1973, alla prosperità dell'epoca del Glorioso Trentennio,
poiché l'indebitamento ha consentito alla macchina dei consumi di
continuare a girare. E il credito si è ulteriormente sviluppato quando
le monete, divenute fiduciarie, hanno definitivamente smesso di essere
convertibili in oro.
Il debito è un contratto fra due entità che ha per
oggetto uno scambio scaglionato nel tempo. Il credito è definito come il
potere di acquistare in cambio di una promessa di pagare. Il sistema
ovviamente funziona solo se questa promessa è mantenuta. La crisi
attuale, come è noto, è iniziata negli Stati uniti nell'estate 2007, con
la vicenda dei subprimes. Le famiglie americane, incapaci di
risparmiare, sono state sistematicamente incitate ad indebitarsi
ipotecando il loro alloggio. Dal momento che il ricorso al prestito per
loro non era altro che un modo per mantenere artificialmente il livello
di vita malgrado il calo dei loro redditi, i fallimenti non hanno
tardato a moltiplicarsi. Le banche e le compagnie di assicurazione sono
state a loro volta minacciate, il che ha condotto gli Stati a concedere
massicciamente prestiti per salvarle. Così la crisi del
sovraindebitamento privato si è trasformata in crisi del
sovraindebitamento pubblico. Il concetto di debito è oggi fortemente
associato al meccanismo di creazione monetaria. L'apertura di crediti da
parte delle banche private è una creazione di moneta scritturale,
puramente contabile, vale a dire virtuale, che è il risultato di un
semplice gioco di scritture.Tramite la creazione monetaria, le banche
creano ex nihilo un "potere d'acquisto" che trasmettono ai clienti a cui
concedono prestiti. Questa moneta costituisce oggigiorno oltre il 90%
della massa monetaria. Il suo ruolo è amplificato dall'effetto
moltiplicatore del credito consentito dal sistema delle riserve
frazionarie, che permette alle banche di prestare varie volte
l'ammontare dei propri fondi. Una gran parte dei debiti pubblici si
trova quindi oggi nei conti delle banche, che non hanno mai smesso di
acquistare rifinanziandosi presso la Banca centrale europea ad un prezzo
quasi nullo. In altri termini, le banche hanno prestato agli Stati, ad
un tasso d'interesse variabile, somme che hanno avuto in prestito per
quasi niente. Ma perché gli Stati non possono procurarsi autonomamente
le somme in questione presso la Banca centrale? Semplicemente perché ciò
è loro proibito! La data chiave è quella del 3 gennaio 1973, data in
cui il governo francese, su proposta di Valéry Giscard d'Estaing,
all'epoca ministro delle Finanze, ha fatto adottare una legge di riforma
degli statuti della Banca di Francia, disponendo che «il Tesoro
pubblico non può essere presentatore dei propri effetti allo sconto
della Banca di Francia» (art. 25), il che significava che era ormai
proibito alla Banca di Francia accordare prestiti — per definizione non
gravati da interesse — allo Stato, che di conseguenza era obbligato a
contrarre prestiti sui mercati finanziari ai tassi che questi ritengono
adeguati. Tale disposizione è stata in seguito generalizzata in tutta
l'Europa, prima di essere ripresa nel trattato di Maastricht (art. 104) e
poi nel trattato di Lisbona (art. 123), che stabilisce il divieto per
la Banca centrale europea di prestare agli Stati, talché questi si
vedono costretti a sottoscrivere prestiti con i mercati o con istituti
privati pagando forti tassi di interesse. Le banche private, invece,
possono continuare a prendere a prestito denaro dalla Bce ad un tasso
risibile (meno dell'1%) per prestarlo agli Stati ad un tasso variabile
fra il 3,5% e il 7%. La legge del 1973 segna il momento in cui la
Banca di Francia ha abbandonato il ruolo di servizio pubblico e
spossessato lo Stato della sovranità monetaria. In origine, quella legge
si appoggiava sul fatto che i prestiti senza interessi accordati dalle
banche centrali agli Stati favorivano l'inflazione. Non era falso, ma si
è passati da un eccesso all'altro. Invece di conservare lo stesso
sistema pur istituendo una procedura che consentisse di limitare
l'inflazione, si è puramente e semplicemente decretato che le banche
centrali non avrebbero più potuto concedere prestiti agli Stati ma
avrebbero potuto farlo alle banche ad un tasso d'interesse ridicolmente
basso. Il maggiore privilegio degli Stati, che era il privilegio di
battere moneta, è stato così trasferito alle banche, e al settore
privato si è concesso il monopolio della creazione monetaria. Già nel
1999 Maurice Allais, Premio Nobel di economia, scriveva: «Nella
sostanza, l'attuale creazion monetaria ex nihilo da parte del sistema
bancari è identica, non esito a dirlo, alla creazione di mone da parte
dei falsari. Concretamente, sfocia nei me desimi risultati. L'unica
differenza è che sono diversi coloro che ne approfittano» (La crise
mondiale d'aujourd'hui). Ancora di recente Mario Draghi, nuovo
presidente della Bce, ha deciso di accordare alle banche prestiti in
euro ad un tasso dell'i % su tre anni, senza alcuna limitazione di
importo. Dato che il tasso Euribor, cioè il tasso al quale le banche si
prestano denaro, è dell'1,9%, le istituzioni finanziarie della zona euro
hanno in tale modo avuto accesso a finanziamenti due volte meno
costosi. Non sorprendentemente, 523 banche europee hanno immediatamente
sottoscritto la prima parte di questa offerta, datata 21 dicembre 2011,
per un ammontare di 489 miliardi di euro — che avrebbero potuto prestare
agli Stati al tasso da loro stesse deciso! A questo punto
intervengono le agenzie di rating, il cui ruolo è ormai ben noto. Più un
paese riceve una buona quotazione, più ha la possibilità di contrarre
prestiti a tassi ridotti (dalli% al 4%, in funzione della durata del
prestito contratto). Viceversa, un paese mal quotato deve far fronte ad
un innalzamento dei tassi d'interesse, che si suppone possa compensare
il rischio più elevato che gli istituti e mercati si assumono
prestandogli denaro. Le agenzie sono infallibili? Nient'affatto,
perché non è possibile per loro valutare in perfetta obiettività un
futuro che è, per sua natura, indeterminato. Nel dicembre del 2010,
l'agenzia di rating Standard & Poor's sottolineava ad esempio che
«la Francia è quotata AAA, cioè con il voto più alto, con una
prospettiva stabile, il che significa che non si vede questo voto avere
sbalzi nei prossimi due anni». Tredici mesi dopo, la Francia perdeva la
"tripla A". Dato più grave: le opinioni delle agenzie di rating possono
essere paragonate a termometri che, non contenti di registrare la
temperatura, la farebbero automaticamente innalzare quando constatassero
che è cattiva. Basta infatti che un paese sia "degradato" perché i suoi
prestiti divengano più costosi e di conseguenza la sua situazione si
aggravi. ssumiamo. Sin devonoo a tassi d'ine fissatai credit loro
pialute finanziQuegli inter Essendo i non e i mer (*) rimborsare né il
debito né gli interessi, gli Stati contraggono nuovi prestiti,
innanzitutto per far funzionare i propri paesi, poi per rimborsare
l'importo del debito precedente, infine per rimborsare gli interessi di
quest'ultimo, il che ha l'effetto di aumentare ancora il loro debito e
di appesantirne gli interessi. E dato che la loro situazione si aggrava,
anche i tassi di interessi che vengono loro imposti aumentano.
Risultato: più rimborsano, più prendono a prestito e più devono pagare.
Il debito viene così posto in una situazione di crescita esponenziale
per la semplice ragione che tutto il denaro messo in circolazione lo è
attraverso prestiti bancari e il contraente il prestito deve sempre
rimborsare più dell'importo riscosso. Una spirale infernale. Come
uscirne? La soluzione che gli Stati hanno scelto per risanare la
situazione consiste nell'intervenire sulle pensioni, sugli assegni
familiari o sugli stipendi dei dipendenti pubblici, nel ridurre i
programmi sociali, nel diminuire il numero dei funzionari, nel vendere o
privatizzare tutto ciò che può esserlo (il che riduce di altrettanto il
loro patrimonio), nell'instaurare ovunque rigore ed austerità. Il
problema è che quegli stessi Stati vogliono nel contempo "rilanciare la
crescita".
E i programmi di austerità comportano meccanicamente un
aggravio della disoccupazione e un deterioramento del potere d'acquisto,
quindi della domanda, il che non può che frenare la crescita e
diminuire ulteriormente la solvibilità degli Stati. Sotto l'effetto
dell'austerità, l'economia non può più essere trainata dal consumo, che è
inevitabilmente destinato a contrarsi. Le classi medie e le classi
popolari sono allora le prime a pagare l'imperizia della classe
dominante. Quando l'austerità raggiunge un livello mai visto in tempo di
pace, le conseguenze politiche e sociali minacciano di sfociare nel
caos. L'applicazione di programmi di austerità finisce con
l'«organizzare la recessione in Europa, con il risultato che i paesi non
usciranno mai dal sovraindebitamento», ha dichiarato di recente Hubert
Védrine, interrogato dal quotidiano del Québec «le Devoir». Per poi
esortare a «domare i mercati» piuttosto che a rassicurarli, «perché
questi mercati non sono una raccolta di vecchie persone inquiete, ma una
palude di coccodrilli». C'è un altro modo di comportarsi? Una
soluzione, perlomeno a breve termine, sarebbe che la Bce accettasse di
"monetizzare il debito", cioè di svolgere il ruolo di prestatore di
ultima istanza. Ma la Bce si rifiuta di farlo, la Germania anche e la
Commissione europea pure. Che fare, allora? Rinazionalizzare l'economia e
porre fine all'indipendenza delle banche centrali? E quel che ha fatto
il governo ungherese, con la conseguenza di esporsi a una denuncia per
«violazione del diritto comunitario» presentata dalla Commissione
europea.
Cancellare il debito? Sarebbe possibile se tutti i paesi
indebitati lo esigessero contemporaneamente (la Francia, con un tratto
di penna, ha cancellato nel giugno 2011 l'intero debito del Togo). Ma
nessuno vuol decidersi a farlo. Allora? Allora, in mancanza di una
rimessa in discussione dei fondamenti dell'attuale sistema, ognuno sega
coscienziosamente il ramo sul quale è seduto. I politici si lamentano di
dipendere dai mercati finanziari e dalle agenzie di rating, ma hanno
fatto tutto quel che occorreva per porsi sotto il loro controllo. Hanno
deregolamentato i mercati per decenni, hanno liberalizzato il credito,
hanno tollerato le delocalizzazioni, hanno consentito alle banche di
deposito e alle banche d'investimento di fondere le loro attività, hanno
proibito alle banche centrali di aiutare finanziariamente gli Stati,
hanno lasciato che la stretta azionaria si sviluppasse al di là del
ragionevole, hanno dato alle agenzie di rating il potere (che in
precedenza non avevano) di dare voti agli Stati, mentre questi si
indebitavano in modo duraturo. Oggi raccolgono i frutti della propria
cecità. Viene chiamato «usura» l'interesse di importo eccessivo
attribuito ad un prestito. Ma l'usura è altresì il procedimento che
consente di imprigionare il contraente un prestito in un debito che non
può più rimborsare e di impadronirsi dei beni che gli appartengono e che
egli ha accettato di dare in garanzia. È esattamente quel che vediamo
accadere attualmente su scala planetaria. Quello che Keynes chiamava un
«regime di creditori» corrisponde alla definizione moderna dell'usura. I
procedimenti usurari sono rintracciabili nella maniera in cui i mercati
finanziari e le banche possono fare man bassa degli attivi reali degli
Stati indebitati, impadronendosi dei loro averi a titolo di interessi di
un debito la cui componente principale costituisce una montagna di
denaro virtuale che non potrà mai essere rimborsata. In conseguenza
della crisi, l'Europa del Sud si trova oggi ad essere governata da
tecnocrati e banchieri formatisi in Goldman Sachs o in Lehman Brothers.
«Essere governati dal denaro organizzato è altrettanto pericoloso quanto
esserlo dal crimine organizzato», diceva Roosevelt. Non vi sarà
alcun riaggiustamento spontaneo del sistema. Nessun paese ha oggi i
mezzi per arrestare la crescita del proprio debito in percentuale del
Pil, nessuno ha i mezzi per rimborsare la parte principale del proprio
debito. Per questo motivo la crisi del debito è assai più grave della
crisi dell'euro, che in rapporto ad essa svolge esclusivamente il ruolo
di circostanza aggravante. Prova ne sia il fatto che i paesi
industrializzati che non appartengono alla zona euro sono altrettanto
indebitati quanto gli altri, se non di più. L'Europa si orienta verso la
recessione, gli Stati Uniti e il Regno Unito verso la depressione.
Malgrado tutte le manovre dilatorie, un'esplosione generalizzata appare
inevitabile di qui a due anni.
Fonte:
NDE: (*) Ci scusiamo per questo rebus...appena decifrato correggeremo!
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