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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
5 agosto 2019
La Catastrofe della "buona scuola"
L’eliminazione della tradizionale traccia di storia dalla prima prova dell’esame di Stato ha sollecitato alcuni intellettuali a pubblicare un appello preoccupato per la decadenza della cultura storica in Italia. Ne è seguita un’audizione alla Commissione Istruzione Pubblica – Beni Culturali del Senato, nella quale il prof. Settis ha pronunciato un’appassionata apologia degli studi storici come pilastri della sovranità della nazione e della libertà del cittadino, e il prof. Serianni, responsabile dell’ultima versione della prima prova dell’esame di Stato, ha smentito che la nuova formula dell’esame emarginasse la storia, sostenendo, al contrario, che “la storia è […] ‘privilegiata’”. L’opinione del prof. Settis si nutre della fiducia che la Costituzione sia restata un in questi anni la Costituzione non ha potuto difendere la scuola italiana quando la riforma l’ha trasformata in scuola europea, quando cioè essa è stata sganciata dallo Stato e agganciata agli organismi internazionali in un processo che ha preso il falso nome di . Proprio dall’autonomia deriva la stessa regionalizzazione del sistema scolastico che il prof. Settis paventa e accusa di anticostituzionalità. Riceviamo e
volentieri pubblichiamo. Marino Badiale,
Università di Torino; Fausto Di Biase, Università di
ChietiPescara;Paolo Di Remigio, Liceo Classico di Teramo; Lorella
Pistocchi, Scuola Media di Villa Vomano L’eliminazione della
tradizionale traccia di storia dalla prima prova dell’esame di
Stato ha sollecitato alcuni intellettuali a pubblicare sul quotidiano
‘Repubblica’ un appello preoccupato per la decadenza della
cultura storica in Italia[1]. Ne è seguita un’audizione alla
Commissione Istruzione Pubblica – Beni Culturali del Senato[2],
nella quale il prof. Settis, sulla base dell’etica implicita nella
Costituzione, ha pronunciato un’appassionata apologia degli studi
storici come pilastri della sovranità della nazione e della libertà
del cittadino, e il prof. Serianni, responsabile dell’ultima
versione della prima prova dell’esame di Stato e quindi chiamato
direttamente in causa dall’appello, ha smentito che la nuova
formula dell’esame emarginasse la storia, sostenendo, al contrario,
che ‘la storia è e resta fondamentale come dimensione culturale e
anche come elemento di verifica di competenze e conoscenze degli
studenti arrivati alla fine’, che ‘la storia, proprio come
dimensione che innerva tutti gli altri saperi, è largamente
presente’, anzi è addirittura ‘privilegiata’. Il prof. Serianni,
preoccupato soprattutto di difendere il nuovo esame di Stato e di
assumere un atteggiamento complessivamente rassicurante, è molto
lontano dal rilevare che il cambiamento subito dalla scuola italiana
negli ultimi venti anni vi ha posto la cultura storica, come pure la
cultura in generale, in una posizione di estrema precarietà; non
evita però di menzionare due ‘criticità’: la prima che nel
biennio degli istituti professionali l’insegnamento della storia è
ridotto a un’ora alla settimana, la seconda che in futuro esso
potrebbe essere ridotto in tutte le scuole affinché vi abbia spazio
la nuova disciplina ‘Cittadinanza e Costituzione’, che il
Parlamento non potrà non approvare (non si capisce se per
deliberazione dello stesso prof. Serianni)[3]. Non emerge dal suo
intervento, e invero neanche dagli altri, che queste ‘criticità’
sono gli ultimi episodi di una lunga vicenda di ostilità, i cui
precedenti risalgono alla riforma Moratti del 2003 e alla riforma
Gelmini del 2010. Mettendo fine alla tradizione che alle elementari
affidava una prima esposizione di tutta la storia e alle medie una
sua più approfondita riesposizione, la prima riformatrice destinò a
quelle la storia dalle origini fino alla tarda antichità e a queste
la storia dalla tarda antichità fino al presente, eliminò cioè la
sua ripetizione, come se i bambini memorizzassero le conoscenze con
un facile clic sul comando ‘Salva’; distribuì inoltre gli
argomenti in modo che il tempo concesso alla terza elementare fosse
dilapidato a favoleggiare dei dinosauri. In seguito l’altra
riformatrice diminuì di una o due unità le ore dedicate alla storia
nel biennio dei licei e le accorpò alla geografia nel pasticcio
della geostoria, a cui dobbiamo l’attuale estraneità degli alunni
alle minime nozioni dell’una e dell’altra disciplina; inoltre
diminuì di una unità il monte ore di storia dell’ultimo anno del
liceo scientifico. Per avere un quadro realistico della situazione
attuale, è infine opportuno considerare che questi atti legislativi,
essendo percepiti come manifestazioni particolari di una tensione
istituzionale a ridurre le fatiche dell’acquisizione della cultura
storica, hanno indotto tra i docenti un atteggiamento rinunciatario
destinato ad amplificare e a rendere irreparabili i danni provocati
dalla semplice decurtazione delle ore. Il tono serafico
dell’intervento del prof. Serianni porta con sé due pericoli:
relega nell’oblio un ventennio di umiliazioni della cultura
storica; rende poco avvertibile la contraddizione implicita nel
sostenere che una disciplina in corso di atrofizzazione, ‘innervi’
l’intera didattica, anzi vi sia addirittura privilegiata. La
condizione della scuola italiana è però così catastrofica che
perfino gli allarmi per problemi particolari, risparmiando la
considerazione generale, rischiano di diffondere la stessa aria di
ingiustificabile rassicurazione delle apologie dirette. Così anche
l’appello per la salvezza della cultura storica di Segre, Camilleri
e Giardina, nel denunciare la scomparsa del tema di storia,
acquisisce contro le sue intenzioni un pericoloso tono rassicurante;
esso presuppone infatti la fiducia che, dopo un ventennio di
rimaneggiamenti, sotto la sigla ‘esame di Stato’ ci sia ancora
qualcosa di sostanziale; esso può nascere cioè soltanto
dall’ignorare la sua riduzione a una farsa durante la quale i
commissari, invitati a valorizzare ogni espressione dei candidati,
minacciati dai ricorsi dei loro genitori in caso di esiti severi,
rinunciano a rilevare le lacune, gli errori e le assurdità nelle
prove e si sforzano soltanto di inventare pretesti per regalare
punti, dopo che i consigli di classe hanno spesso aumentato i voti
per la mera esigenza di superare le soglie numeriche fissate dalle
norme sui crediti scolastici. Il prof. Settis
intuisce qualcosa della catastrofe della scuola italiana: egli vede
‘in corso in tutto il mondo una sorda lotta fra due concezioni
dell’istruzione: come segmentato addestramento ai singoli mestieri,
fondato sulle competenze; o invece come apprendimento di un orizzonte
di conoscenza puntato sulla creatività individuale e collettiva”.
Nella fase finale dell’audizione sembra però esprimere il
convincimento che la lotta volga ormai alla fine e che la conoscenza
prevalga sul suo avversario, che la scuola italiana, in quanto frutto
delle riforme di Croce e Gentile, resti dunque la migliore al mondo e
che il nostro peggiore istituto professionale resti migliore della
migliore scuola pubblica statunitense. Se sapesse quanti nostri
licei, dopo un ventennio di tenaci riforme fondate sull’ideale
esplicito dell’addestramento segmentato, siano diventati
indistinguibili dai peggiori istituti professionali, il professore
non proferirebbe simili valutazioni. Poiché i pochi difensori della
conoscenza teorica, come Massimo Bontempelli, Giorgio Israel, Lucio
Russo, sono stati subito tacciati di essere dei retrogradi incapaci
di far fronte alle ‘nuove sfide’ del presente e privati di
influenza, tra competenze e conoscenza non c’è mai stata vera
lotta; la sua esistenza, anzi la sua flagranza, è un mito che
sopravvive per un motivo strumentale, in quanto consente ai
riformatori di imputare l’attuale catastrofe dell’istruzione,
anziché all’attuarsi della loro iniziativa, a immaginari residui
della didattica, come usano dire, ‘trasmissiva’. L’opinione in sé
giusta del prof. Settis che la scarsa popolarità del tema storico
non doveva indurre alla rassegnazione il legislatore tenuto a
ispirarsi alla Costituzione, ma doveva sollecitarlo a reagire,
rischia innanzitutto di sfumare come semplice rassegnazione una
precisa, anzi vantata responsabilità, ma soprattutto si nutre della
fiducia che la Costituzione sia restata un rocher de bronze proprio
in questi anni in cui, assoggettata a una legislazione come quella
della UE in forte contrasto con il suo impianto ideale, non poteva
opporre argine a nessuna esondazione, tanto meno a quella che ha
sommerso la cultura storica. Proprio perché assoggettata alla
legislazione della UE, la Costituzione non ha potuto difendere la
scuola italiana quando la riforma l’ha trasformata in scuola
europea, quando cioè essa è stata sganciata dallo Stato e
agganciata agli organismi internazionali in un processo che ha preso
il falso nome di attuazione dell’autonomia scolastica dalla
finzione di un suo problematico collegamento alle realtà locali.
Proprio dall’autonomia deriva la stessa regionalizzazione del
sistema scolastico che il prof. Settis paventa e accusa di
anticostituzionalità. La trasformazione, spacciata per progresso, è
consistita propriamente nel diffamare l’alto livello di
preparazione teorica garantito dalla scuola italiana e nell’imporre
un’istruzione senza fatica dell’apprendere, gestita non più da
docenti, ma da animatori, orientata alle abilità professionali, sul
modello fallimentare e profondamente classista della scuola
anglosassone. Così la decadenza della cultura storica si rivela
essere un momento particolare della decadenza delle istituzioni e
della politica italiana. La forma stessa
della nuova scuola rende impossibile lo studio della storia. Essa è
scienza dell’individuale: non solo argomentazione, ma anche
narrazione, quindi sforzo di memoria; ma la scuola delle competenze è
orientata alla leggerezza, abolisce il racconto e atrofizza la
memoria – come lo stesso prof. Serianni riconosce con il suo breve
omaggio alla ‘Vispa Teresa’. Che poi l’atrofia della memoria
indebolisca il senso di cittadinanza, questa conseguenza, che
angoscia il prof. Settis, è un fine tenacemente perseguito dai
fautori della nuova scuola. Essi lavorano infatti alla dissoluzione
della cittadinanza italiana e alla formazione della cittadinanza
europea. Poiché è stato alimentato non solo dagli europeisti, ma da
ben più influenti élite neoliberali, questo cambiamento non ha un
significato formale, non consiste nel sostituire la lealtà
all’Italia con la lealtà alla UE, che è una compagine sui generis
e non uno Stato; ma ha un significato sostanziale: la cittadinanza
garantita dalla Costituzione italiana contiene il diritto al lavoro,
quella garantita dall’Unione Europea contiene invece il diritto
alla stabilità dei prezzi, compensato, per così dire, dal diritto
delle persone alla mobilità. Così la nuova scuola, in quanto scuola
europea, non mira né a educare il cittadino né ad addestrare il
lavoratore; il suo vagabondare tra disperate improvvisazioni dimostra
che le è affidato il compito esclusivo di adattare il disoccupato
all’emigrazione. E poiché l’esercizio del ‘diritto’ a
emigrare non postula affatto la pietà per il passato, che potrebbe
intensificare la nostalgia, ma l’urgenza di masticare le lingue
straniere, ecco che proprio la storia e le materie storiche non
soltanto sono ghermite dalla furia dell’evanescenza, ma perdono
l’inviolabilità dei confini e diventano campo di applicazione
preferito della metodologia CLIL, devono essere cioè insegnate in
lingua straniera: soprattutto ai docenti di queste materie,
quantunque monoglotti non meno degli altri, è richiesto di insegnare
ex abrupto in inglese, con il risultato che mentre non favoriscono i
progressi linguistici degli alunni, sono ancora una volta costretti a
ridimensionare i propri obiettivi. Tutta
l’articolazione della nuova scuola congiura all’estinzione della
cultura storica. È evidente che possono svolgere il tema di storia
solo gli alunni i cui docenti hanno completato il programma; questa
espressione suona però come una blasfemia nella nuova scuola, che
vuole dare competenze senza conoscenza. Per amore di quelle, i
dirigenti scolastici, attenti a turbare con qualunque pretesto la
regolarità delle lezioni, tenuti a premiare solo chi innova e
sperimenta, restano indifferenti all’umile esigenza del
completamento dei programmi, anzi, se questo obiettivo può far
sembrare il loro istituto non abbastanza à la page, le sono proprio
ostili. È irrilevante dunque che il programma di storia si
interrompa a Mazzini, alla prima o alla seconda guerra mondiale o che
svolazzi qua e là a capriccio – contano solo le competenze
storiche. Se poi il tema di storia assegnato all’esame di Stato è
tratto regolarmente dal secondo Novecento, ciò non solo testimonia
la confusione del MIUR che come Arlecchino porta gli ordini sotto un
braccio e sotto l’altro i contrordini, ma è anche utile a dare una
parvenza di normalità alla situazione della scuola, a fingere che
l’animazione non abbia sostituito l’insegnamento, che il gioco
non abbia bandito l’apprendimento, ma vi si sia aggiunto, l’abbia
arricchito. C’è un’ultima
difficoltà nello studio della storia, di ordine più generale: nulla
è più artificialmente oscuro della storia del Novecento.
L’abitudine ereditata dalla guerra fredda di rappresentare con
accenti rassicuranti l’egemonia anglosassone impedisce ai manuali
in vendita di esporre con franchezza le guerre orientali e arabe, i
regimi in America Latina; la stessa storia della repubblica italiana,
avviluppata nell’intreccio tra le istituzioni democratiche sovrane
da un lato, le organizzazioni segrete eterodirette dall’altro, si
risolve in un esercizio di disprezzo dell’Italia; l’ignoranza a
volte imbarazzante delle nozioni macroeconomiche più elementari
impedisce ogni intelligenza della causalità profonda degli
avvenimenti. Si tratta di un’altra espressione di quella estraneità
di tanta cultura italiana alla realtà di cui la stessa audizione al
Senato reca non poche tracce e che non potrà essere superata se non
con un doloroso sforzo collettivo di illuminazione. [1] Cfr.:
https://www.repubblica.it/robinson/2019/04/25/news/la_storia_e_un_bene_comune_salviamola-224857998/ [2] Cfr.: http://webtv.senato.it/4621?video_evento=1345# [3] Un
contegno tecnocratico, quello del prof. Serianni, che degrada il
Parlamento della Repubblica a un organo di ratifica di decisioni
prese altrove. Segue il testo dell’audizione del prof. Settis in
VII Commissione Permanente del Senato. Settis https://www.roars.it/online/settis-serianni-e-la-catastrofe-della-scuola/
Buona scuola: decine di docenti senza arte né parte a scaldare le sedie in sala professori, tutt'al più seduti in classe come uditori di lezioni che non rientrano nelle loro competenze. Esonerati da riunioni, da ricevimento genitori, da consigli, da correzione compiti, da uda,presentazione di piani di lavoro, programmi svolti, ecc. Dopo tanti anni di lavoro, io ho chiesto un partime per avere una classe in meno e questo lusso mi costa 300€. I potenziatori, senza stress e obblighi particolari, possono avere uno stipendio pieno garantito.
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RispondiEliminaEsonerati da riunioni, da ricevimento genitori, da consigli, da correzione compiti, da uda,presentazione di piani di lavoro, programmi svolti, ecc.
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