Per uscire con Oliva si parte piuttosto presto al mattino. Il 28 settembre alle sette di mattina non c'è quasi nessuno per strada; al porto, invece, c'è gran fermento ed attività: alcuni tra i pescatori escono quando è ancora buio e alle sette già si affaccendano per vendere il pesce, portando casse troppo vuote sulle spalle. Molti però sono ancora in mare. Il mare è calmo, il sole picchia forte ed Oliva, con a bordo un'attivista tedesca, il capitano, me e due giornalisti parte dirigendosi direttamente verso le barchette pescatori palestinesi, a 2.5 miglia marine dalla costa. Il mare coi sui pesci e la terra coi suoi frutti sono le principali fonti di cibo tradizionali per le popolazioni di quest'area.
Silvia Todeschini da Gaza
Libera PalestinaIsraele, con le sue limitazioni di movimento (imposte unilateralmente agli abitanti della striscia di Gaza), impedisce l'accesso al 35% delle terre arabili di Gaza e all'85% di quelle che secondo Oslo dovrebbero essere acque territoriali palestinesi. Così i pescatori, sotto minaccia di armi da fuoco, devono rimanere all'interno delle 3 miglia marine, dove ormai quasi tutto il pesce è stato pescato (quando gli accordi di Oslo prevedevano potessero allontanrsi fino alle 20).
Le navi da guerra israeliane si trovano inizialmente alle 3 miglia, mentre quelle palestinesi sono costrette a fermarsi alle 2,5 miglia, sanno che se andassero più in la verrebbero attaccate.
A un certo punto la nave da guerra israeliana si dirige chiaramente verso di noi.