21 settembre 2011

A COSA SERVE UNO STATO PALESTINESE SENZA SOVRANITA' PALESTINESE?

L'Express intervista Julien Salinge
Mahmud Abbas giurò che sarebbe arrivato fino alla Fine. Sarà il 23 settembre all’ONU al momento della presentazione della domanda di riconoscimento di uno stato palestinese.
Professore e dottore in Scienze Politiche, specializzato sulla situazione palestinese, Julien Salinge ha appena pubblicato “A la recherce de la Palestine, au-delà du mirage d’Oslo”. E spiega il suo pensiero sulla richiesta d’incorporare la Palestina all’ONU. Cosa che secondo lui non avverrà. 

Perché l’Autorità Palestinese chiederà all’ONU l'adesione a tale organismo la settimana prossima?

La richiede all’ONU perché ha la sensazione che tutto ciò che ha intrapreso finora non è riuscito. I negoziati sono in stallo da più di 10 anni, e il tentativo di costruire uno Stato "dal basso", che era la linea del governo Fayyad, ha in gran parte fallito.
L’idea alla base di questa originale dottrina era questa: nonostante la continua occupazione costruiamo l'infrastruttura che di fatto diventa uno Stato che la comunità internazionale può riconoscere immediatamente come tale. Non è la fine dell'occupazione, che permette la creazione dello stato, ma la fondazione dello stato che finisce l'occupazione. Ma lo Stato, anche di fatto, non c'è ancora.
Non resta che l’ONU. Questo fallimento ha infatti creato la necessità di un passo in più, che è quello di affrontare le Nazioni Unite per guadagnare legittimità internazionale in qualità di rappresentante di uno Stato. Consapevole della virtualità dello Stato palestinese, i funzionari palestinesi ritengono che questo approccio avrebbe dato peso alle loro argomentazioni.

Contro quelle di Israele?

Ciò che motiva questo approccio è la speranza di essere in condizioni di parità con Israele, i negoziati tra Stati sotto il patrocinio degli Stati Uniti.
Ma gli Stati Uniti hanno già annunciato che porrà il veto questo riconoscimento di uno stato palestinese all'interno delle Nazioni Unite. Questa iniziativa non è come se fosse l’ultima chance dell’Autorità Palestinese?

Effettivamente è l’ultima chance per l’autorità palestinese che ha scommesso sulla soluzione di due Stati negoziata sotto il patrocinio statunitense. Sollecitando tale riconoscimento cerca di rianimare una prospettiva che è sempre più messa in discussione, specialmente dagli stessi palestinesi, a causa della sparizione delle basi materiali dello Stato e con la continuità della colonizzazione e l’intransigenza israeliana su argomenti essenziali. Si deve osservare anche una discrepanza tra la leadership palestinese, ossessionata dai negoziati, e la popolazione, che cerca di resistere all'occupazione e ai suoi effetti. 

E’ possibile parlare di un fallimento dell’Autorità Palestinese?

La sua missione era quella di scomparire con l'istituzione dello Stato. Salvo che il suo arrivo ad essere Stato non si proclami e non abbia alcuna realtà materiale. Il bilancio di 20 anni mette in dubbio la legittimità e l’esistenza stessa dell’Autorità Palestinese che “amministra” alcune delle zone autonome senza aver conquistato alcuna indipendenza reale.
I rappresentanti dell’Autorità Palestinese sono caduti in importanti contraddizioni dalla firma degli accordi ad Oslo nel 1993-94. Avevano scommesso sulla costruzione di uno stato palestinese come parte di un processo di negoziato nel corso del tempo con lo Stato di Israele, nella speranza di dimostrare che possiamo dare loro la gestione finale di tutti i territori palestinesi. Ma questo progetto è un fallimento.
L’Autorità Palestinese è stata intrappolata nel suo stesso gioco. Inizialmente non pensava di portare fino alla fine la richiesta all’ONU. Ho guardato qualche cavi di Wikileaks che sono venuti fuori di recente. Lì appaiono specialmente le dichiarazioni di un responsabile palestinese, Saeb Ereckt, che garantiva ai rappresentanti statunitensi un anno e mezzo fa che non sarebbero arrivati fino alla fine e che si sarebbero fermati quando si sarebbero riallacciati i negoziati. Solo che i negoziati non sono ripresi.

Lo Stato Palestinese corre il rischio di non essere riconosciuto da una maggioranza degli Stati dell’ONU quando sarà presentata la richiesta il 23 settembre?

Certamente. Lo Stato palestinese sarà riconosciuto da una grande maggioranza degli Stati delle Nazioni Unite. Ma non sarà ammesso come membro. Gli USA hanno annunciato dall’inizio che non accetteranno la richiesta palestinese: loro metteranno il veto. Non vi è alcun motivo perché questo cambi.
Penso che l’Autorità Palestinese si aspettava che le attuali rivolte nella regione avessero costretto gli USA ad essere meno seguaci dello Stato d’Israele. Ma la scommessa era molto rischiosa. L’OLP ha fatto la stessa scommessa per più di 30 anni credendo nel ruolo di arbitro degli USA tra Israele e la Palestina. Ma gli USA non possono essere arbitri dato che sono gli allenatori di una delle squadre, Israele continua ad essere il suo principale alleato nella regione.

Il governo statunitense sta cercando di evitare che si voti a New York?

Il veto annunciato dagli USA  sarà visto sicuramente male dal mondo arabo. Una situazione che fissa già un malessere nell’amministrazione statunitense. E' quindi certo che le discussioni sono attualmente in corso tra Stati Uniti e i palestinesi per dissuaderli ad arrivare fino alla fine. In ogni caso, la Palestina non sarà un membro delle Nazioni Unite. 

Se lo Stato Palestinese non sorge sotto l’egida dell’ONU o degli USA: è possibile che il padrino possa essere qualcun altro, la Turchia ad esempio?

Ma cos'è uno Stato? Ci sono stati che non sono membri dell’ONU e sono comunque stati, come Taiwan o Kosovo. E mantengono rapporti economici, diplomatici con la maggior parte dei paesi della “comunità internazionale”.
La sfida principale della Palestina è la sua sovranità politica e territoriale. Può essere riconosciuta da 191 stati ma non sarà sovrana: una parte del suo territorio continua ad essere occupato da Israele e il fatto di essere uno Stato non porrà fine al problema dei rifugiati né dei palestinesi discriminati da Israele.

Se la dichiarazione come Stato non cambia la situazione, le rivolte arabe possono avere qualche impatto sulla vita dei palestinesi ?

Quello che potrebbe alterare i lineamenti sono certamente i movimenti iniziati nel mondo arabo, che potrebbero condurre all’isolamento di Israele dalla scena regionale. Da quando i popoli arabi hanno la possibilità di far pressione sui governi, la questione palestinese torna a regionalizzarsi e può trasformarsi in una causa araba. Ma questo è ancora molto lontano. Però la mobilitazione egiziana dopo l’attacco a Eilat il 18 agosto ha certamente impedito ad Israele di continuare ad attaccare duramente la Striscia di Gaza. Gli incidenti registrati all’ambasciata dell' Egitto a Il Cairo sono l’ultima rivelazione che i cambiamenti sono in atto: alcuni regimi arabi non possono far tacere le proteste.

Cosa comporterà questa votazione all’ONU alla fine?

Porterà alla conferma di quello che già si sa da anni: Israele è sempre più isolato dalla scena internazionale. E’ per questo che né gli USA né Israele vogliono questo voto dato che esso stesso materializzerà in un determinato momento l’isolamento dello Stato ebraico nel recinto dell’ONU, questa sessione confermerà l’evoluzione che è in atto da molti anni ma che si è accelerata dopo i bombardamenti su Gaza. Ma questo voto non cambierà i rapporti di forze riguardo la questione della sovranità territoriale e la politica dei palestinesi.  

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