Le divisioni e l'odio, le dispute religiose, linguistiche, culturali e
nazionali, il razzismo in tutte le sue varianti [1] sembrano essere una
vecchia ed efficace ricetta per dominare e sfruttare i popoli, il modo
di rovinarli, indebolirli e dividerli al fine di soggiogarli,
schiavizzarli o cancellarli dalle mappe a beneficio degli interessi di
colonizzatori e imperialisti. Questa politica, attuata durante la Guerra fredda contro l'Unione
Sovietica, la Cina e gli altri paesi socialisti, non è scomparsa con il
crollo dell'Urss e del campo socialista europeo.
In realtà, la guerra ideologica e le pratiche sovversive dei tempi della
Guerra fredda sono state adattate da oltre quattro decenni, agli
obiettivi egemonici dell'imperialismo Usa e dei suoi alleati della Nato,
al capitalismo che oggi chiamiamo neoliberismo, e da allora hanno
effetto su tutti i paesi e le regioni del mondo che rifiutano l'egemonia
imperiale.
E' in questo contesto che occorre inserire il terrorismo, sia quello
collegato al fanatismo religioso che all'ideologia neonazista, per
verificare come sia servito e serva oggettivamente a provocare quella
distruzione e caos di cui necessita l'impero per la sua espansione, ed è
così quando assassina innocenti in Iraq, Siria, Libia, Pakistan o
Yemen, o quando si rivolge contro i suoi protetti politici negli Stati
Uniti, a Londra o Parigi.
Il terrorismo servirà sempre gli obiettivi politici dell'impero, perché
la semplicità della spiegazione, l'esagerata mediatizzazione e la
ripercussione globale di questi atti abominevoli nei paesi occidentali,
come i recenti attentati in Francia, finiscono quasi sempre per
giustificare politiche sociali antidemocratiche e repressive, come si è
visto negli Stati Uniti con il Patriot Act, la cui sostanza sarà
probabilmente adottata dai progetti analoghi in via di definizione
nell'Unione europea.
Dico questo senza basarmi sulle varie teorie del complotto, bensì
riassumendo le mie prime esperienze giornalistiche importanti all'inizio
degli anni '70, di cui ho scritto solo una volta ma che hanno
rappresentato una guida importante per comprendere e analizzare la
propaganda e gli obiettivi politici dell'imperialismo.
E lo farò appoggiandomi alla memoria, giacché gli archivi cartacei mi
hanno da tempo abbandonato e non possiedo i mezzi per raggiungere quelli
di quotidiani come la Pravda a Mosca o il Granma a L'Avana, sui quali fu pubblicato integralmente lo studio originale.
Un incontro discreto a Montreal dell'apparato di propaganda Nato
Nel 1972, quando iniziai collaborare con Prensa Latina e scrivevo alcune note per i media messicani - El Día ed Excélsior
-, un collega canadese mi riferì di un incontro molto discreto fra i
responsabili delle politiche di informazione del sistema radio a onde
corte della Nato (Radio Free Europe / Radio Liberty , The Voice of
America, ecc.) che avrebbe avuto luogo in un albergo di Montreal.
In tale occasione sarebbe stato presentato "un nuovo piano" di lotta
ideologica contro l'Urss e gli altri paesi socialisti, ma ora si può
affermare che ciò che venne detto e pianificato in questo incontro
ampliò su scala globale e a tutti i terreni possibili la lotta
ideologica caratteristica del confronto bipolare della Guerra fredda.
Andai all'incontro senza molta fiducia, visto che ero accreditato come
giornalista, ma con mia grande sorpresa mi accettarono perché avevo le
credenziali di "corrispondente" del giornale messicano Excelsior.
La riunione era in realtà una lunga serie di presentazioni dei
responsabili della linea informativa ed editoriale di queste radio, in
particolare di Voice of America e Radio Free Europe / Radio Liberty, che
(usando un linguaggio moderno) formularono le modalità con cui
organizzare la narrazione e la credibilità della propaganda contro
l'Urss e il comunismo, ma in realtà anche contro tutti i paesi che a
quel tempo reclamavano una vera indipendenza, un nuovo ordine economico
mondiale, la fine del razzismo e della discriminazione razziale in tutte
le sue forme. In poche parole, contro quelli che assumevano posizioni
antimperialiste ed erano visti come alleati dell'Urss.
In che modo utilizzare la religione e il nazionalismo come armi?
La nuova offensiva ideologica dell'impero e il contenuto della sua
propaganda, secondo gli ideologi dell'apparato propagandistico della
Nato in quella riunione a Montreal, avrebbe dovuto raggiungere e
radicarsi nei settori della popolazione verso cui doveva essere diretta:
musulmani e nazionalisti radicali in alcune regioni dell'Urss e di
altri paesi socialisti; ebrei sionisti (i refusenik) russi che volevano
emigrare in Israele e cattolici conservatori nei paesi baltici, in
Polonia e altri ancora.
Ciò che in realtà si cercava di ottenere in quelle società socialiste e
laiche era di alimentare - quindi finanziare e organizzare - il
"rinascimento" delle credenze e delle pratiche religiose radicali che
entrano in conflitto diretto con la società e il potere politico, e con
il nazionalismo provocare rivendicazioni o contraddizioni nelle società e
nelle regioni suscettibili di separatismo, il che presupponeva la
creazione di situazioni di scontro civile, poliziesco e persino
militare.
"Scontro di civiltà" e neoliberismo
Il seme dello "scontro di civiltà" [2], piantato dalla propaganda della
Nato e adottato senza riserve dai sempre più concentrati mezzi di stampa
dei paesi capitalisti, giustificò la creazione di Al-Qaeda per
combattere i sovietici e i gli afgani progressisti in Afghanistan e, con
il crollo dell'Urss e del campo socialista europeo, è stato ampiamente
utilizzato nei Balcani per la divisione della (ex) Jugoslavia e in
seguito per fomentare gli attacchi terroristici e il conflitto in
Cecenia, in Daghestan e nelle altre regioni dell'ex Unione Sovietica,
incluso il recente caso dell'Ucraina.
Stato ufficialmente ateo, l'Urss era in realtà uno stato socialista
multinazionale e multiculturale, dove convivevano molte nazionalità e
religioni, dagli ortodossi cristiani ai musulmani, passando per gli
ebrei e i cattolici, tra gli altri. Questa era l' apparente forza
dell'internazionalismo proletario, come si diceva a Mosca, ma anche la
sua principale debolezza agli occhi della dirigenza imperialista.
Va ricordato però che il confronto creato dalle ambizioni imperialiste
degli Stati Uniti non si riduce alla Guerra fredda tra Mosca e
Washington, dato che in Medio Oriente e in Asia predominavano – a
cominciare dai primi anni '70 – e come risultato della decolonizzazione e
del consolidamento del movimento dei paesi non-allineati, gli stati
laici nei quali convivevano, sotto regimi politici differenti, le più
diverse culture, nazionalità e religioni.
In altre parole, si era all'apice della lotta per eliminare ogni forma
di discriminazione razziale, inclusi l'apartheid sudafricano e il
sionismo, che culminò nella votazione della risoluzione 3379
dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel novembre 1975, annullata
il 16 dicembre 1991, otto giorni dopo la dissoluzione dell'Urss, dalla
risoluzione 4866.
E' in questa congiuntura storica che i paesi non-allineati, con
l'appoggio del campo socialista, esigettero la creazione di un "Nuovo
ordine economico mondiale" che ponesse fine ai diseguali "termini di
scambio" per potere quindi accedere allo sviluppo socio-economico, e
lottarono presso l'Unesco per stabilire un "Nuovo ordine mondiale
dell'informazione e della comunicazione", iniziative che l'imperialismo
ed i suoi alleati riuscirono a sconfiggere.
Ma ora, a distanza di anni e documenti alla mano, possiamo comprendere
che questo fu anche il momento in cui gli Stati Uniti ed i loro alleati
in Europa e in Giappone lanciarono dai circoli di potere la narrazione
per giustificare economicamente e politicamente lo smantellamento del
sistema del welfare (l'intervento dello stato in economia per garantire
un certo sviluppo socio-economico), con l'obiettivo (alla fine raggiunto
negli ultimi due decenni) di porre lo stato al servizio esclusivo dei
capitalisti e poter così tornare al liberalismo del XIX secolo e alle
vecchie pratiche imperialiste e colonialiste [3].
Da questo punto di vista, era il momento propizio perché l'imperialismo
ed i suoi alleati della Nato ampliassero il contesto e la copertura
geografica della Guerra fredda, garantendo la continuità nel passaggio
dal confronto tra un sistema capitalista-imperialista e un sistema
socialista, alla preparazione dell'espansione imperialista del sistema
neoliberale che già stava "bollendo".
Non è un caso che sia stato nel 1973 che David Rockefeller, assistito da
Zbigniew Brzezinski, consigliere per la politica estera del presidente
democratico Jimmy Carter, creò la Commissione trilaterale [4], che
serviva per trasmettere ai più alti livelli la nuova offensiva
ideologica dell'impero e della Nato, né che in questo panorama già si
affacciasse Samuel Huntington, "intellettuale organico"
dell'imperialismo e autore dell'infame libro "Lo scontro delle civiltà".
I documenti della Commissione trilaterale, in particolare "The Crisis of
Democracy" del 1975, dovrebbero essere letti alla luce degli eventi
attuali e recenti, per provare, fuori da qualsiasi teoria complottista,
che fu allora e in modo piuttosto pubblico, che si stabilirono le linee
dell'offensiva politica e ideologica dell'imperialismo per stabilire
l'egemonia nella sua fase neoliberista, compresa la liquidazione della
democrazia liberale con un qualche contenuto reale nelle società dei
paesi del campo occidentale, come stiamo vedendo oggi.
Questo spiega anche la continuità, da allora fino ad oggi,
dell'offensiva ideologica e delle politiche destinate a minare le
società e distruggere gli stati dell'Unione Sovietica e dei restanti
paesi socialisti, e ora di Russia, Cina ed altri paesi in via di
sviluppo o emergenti, che possono costituire il principale ostacolo
all'egemonia neoliberale.
Fanatici ed estremisti convertiti in "combattenti per la libertà"
Mentre data 1979 il primo caso documentato in cui gli Usa ed i loro
alleati crearono, addestrarono e convertirono gli estremisti islamici in
"combattenti per la libertà" per combattere in Afghanistan contro i
sovietici e gli afgani progressisti, non passò molto tempo prima che gli
Stati Uniti effettuassero operazioni illegali con i narcotrafficanti in
America Latina per armare e finanziare i "combattenti per la libertà"
che lottavano contro i sandinisti in Nicaragua, politica che portò alla
creazione dei "cartelli" del narcotraffico e all'espansione della
criminalità, della corruzione e della violenza nella regione.
Politiche simili sono stati seguite da allora in decine di paesi in
Asia, Medio Oriente e Africa, spesso con l'assistenza e il finanziamento
dell'Arabia Saudita e il sostegno di Israele (come nel caso
Iran-Contras), il che conferma che il diabolico piano del "divide et
impera", del distruggere gli stati e le società che difendono la loro
sovranità nazionale, è stato sistematicamente applicato sia
dall'apparato della propaganda statunitense e Nato, come dalle sue
agenzie di sovversione e spionaggio.
Niente di nuovo o sorprendente se si pensa che dalla fine della Seconda
guerra mondiale, attraverso la "Operazione Gladio", Stati Uniti e Nato
mantennero contatti e legami con le forze ultra-nazionaliste che avevano
sostenuto o partecipato ai vari regimi nazi-fascisti europei e che ora
servono nei paesi baltici e in Ucraina - dove controllano gli apparati
statali di sicurezza - per la politica di scontro con la Russia.
André Vltchek sottolinea che "per l'impero, l'esistenza e la popolarità
dei dirigenti progressisti, marxisti, musulmani, al potere in Medio
Oriente o nell'Indonesia ricca di risorse, era qualcosa di chiaramente
inaccettabile. Se si fossero decisi ad utilizzare queste risorse
naturali per migliorare la vita dei loro popoli, cosa sarebbe rimasto
all'impero e alle sue imprese? Questa eventualità doveva essere
scongiurata con tutti i mezzi. L'islam doveva essere diviso, infiltrato
da quadri radicali e anticomunisti e da quelli che non sono minimamente
interessati al benessere del proprio popolo" [5].
Victoria Nuland, sottosegretaria di Stato di Washington, ha dichiarato
pubblicamente [6] che erano stati "investiti" cinque miliardi di dollari
per il "cambio di regime" in Ucraina, operazione senza dubbio molto più
costosa del frazionamento dello stato multinazionale della Jugoslavia. E
che dire del finanziamento o del sostegno dei paesi Nato agli
estremisti e terroristi islamici in Cecenia e Daghestan, che se ne
andavano in giro per l'Europa come "combattenti per la libertà"? O degli
estremisti islamici ricevuti dai responsabili politici europei e
statunitensi, finanziati e addestrati da questi governi per rovesciare i
governi in Libia e Siria, con molti altri esempi in Africa che restano
in cantiere?
"Il fondamentalismo non si vince con le armi"
Nel 1997 il grande intellettuale Edward Said tenne una conferenza [7]
sullo "scontro di civiltà", la cui lettura o rilettura è consigliata e
dal quale mi permetto di estrarre un lungo paragrafo: "In considerazione
della realtà deprimente intorno a noi e della presenza di conflitti
interculturali e interetnici, mi sembra irresponsabile suggerire che
noi, in Europa e negli Stati Uniti, si debba preservare la nostra
civiltà, quella che Huntington chiama Occidente, mantenendo e aumentando
le discordie tra i popoli per accrescere il nostro dominio. Questo è
infatti ciò che sostiene Huntington, ed è abbastanza semplice
comprendere il motivo per cui questo saggio sia stato pubblicato dalla
[rivista] Foreign Affairs e perché così tanti responsabili politici ne
sono stati attratti, consentendo agli Stati Uniti di estendere la
mentalità da Guerra fredda ad un'altra epoca e su un nuovo pubblico.
Molto più produttivo e utile è una nuova mentalità o coscienza globale
che veda i pericoli che abbiamo di fronte dal punto di vista del genere
umano nel suo complesso. Questi pericoli includono l'impoverimento della
maggioranza della popolazione del pianeta, la nascita di virulenti
sentimenti tribali, nazionalisti, etnici e religiosi in Bosnia, Ruanda,
Libano, Cecenia e altrove, il declino dell'alfabetizzazione e l'emergere
di un nuovo analfabetismo basato sui mezzi di comunicazione
elettronici, la televisione e le nuove reti dell'informazione globale, o
la frammentazione e la minaccia di sparizione dei grandi racconti di
liberazione e tolleranza. Il nostro bene più prezioso per far fronte a
questa terribile trasformazione della storia non è l'apparire di un
sentimento di scontro, ma di comunità, di comprensione, di solidarietà e
di speranza, le quali rappresentano l'opposto di ciò che promuove
Huntington".
E chiudiamo questo articolo con una recente [6] e importante riflessione
del filosofo Enrique Dussel: "Il fondamentalismo (cristiano, come
quello di G. Bush, islamico o sionista) è il ritorno di un dio (o
politeismo direbbe M. Weber) che giustifica e assolutizza una politica,
una economia, una cultura, una razza, un genere, ecc., e utilizza le
armi invece degli argomenti razionali, comprensibili dall'altro
interlocutore (nessuno come il fondamentalismo statunitense utilizza le
armi in luogo degli argomenti: pretende di imporre la democrazia con le
guerre invece di discutere aprendo alla tradizione altrui, per esempio,
con i credenti dell'Islam a partire del Corano). Il fondamentalismo non
si vince con le armi (e non dimentichiamo che è stata la Cia ad
insegnare al fondamentalismo islamico in Afghanistan ad usare le armi
contro l'Unione Sovietica, e ora raccogliamo le conseguenze della cui
origine nessuno parla), ma con argomenti razionali e con una prassi
onesta (come insegnava Bartolomé de las Casas riguardo la conquista). Ma
questo non rientra nell'orizzonte degli interessi dell'impero. Si
utilizza la violenza irrazionale islamista per giustificare e aumentare
la violenza irrazionale del neoliberismo politico-economico. La sinistra
onesta, al contrario, deve intraprendere una critica della teologia
come momento di una critica della politica liberale e dell'economia
capitalista, così come la praticò Karl Marx".
* Alberto Rabilotta è un giornalista argentino-canadese.
Note
1. El papel del racismo en la ofensiva imperialista, Alberto Rabilotta http://alainet.org/active/72395&lang=es
2. Anni dopo, leggendo Samuel Huntington (Lo scontro delle civiltà,
Foreing Affairs, 1993), mi si chiarì che questo intruglio di pregiudizi
carichi di odio rifletteva abbastanza bene quello che avevo ascoltato
nella riunione delle radio Nato a Montreal, e che costituiva le linee
della politica che da allora avrebbero seguito l'imperialismo ed i suoi
alleati.
3. Samir Amin, «Capitalisme transnational ou Impérialisme collectif?», Pambazuka News,
22 janvier 2011; Kari Polanyi Levitt, «The Power of Ideas»,
http://www.karipolanyilevitt.com/wp-content/uploads/2014/01/Kari-Polanyi-Levitt-intro-IJPE-FINAL.pdf
; The Powell Memo de 1971,
http://reclaimdemocracy.org/powell_memo_lewis/
4. The Crisis of Democracy, Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji
Watanuki. http://www.trilateral.org/download/doc/crisis_of_democracy.pdf
5. Empire Manufactures Muslim Monsters, di André Vltchek
http://dissidentvoice.org/2015/01/empire-manufactures-muslim-monsters/
Novellista e cineasta, Vltchek ha coperto guerre e conflitti in decine
di paesi. Recentemente ha pubblicato un libro con Noam Chomsky: On
Western Terrorism: From Hiroshima to Drone Warfare.
6. Victoria Nuland, 13 dicembre 2013: http://www.informationclearinghouse.info/article37599.htm
7. Edward Said, El Mito del Choque de Civilizaciones, parla
all'Università Columbia di New York nel 1997
http://www.libreria-mundoarabe.com/Boletines/N%BA79%20Feb.10/MitoChoqueCivilizaciones.htm
8. Enrique Dussel, "La crítica de la teología se torna en la crítica de
la política", http://www.jornada.unam.mx/2015/01/10/opinion/018a1mun
Fonte: Resistenze
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