Parlando
della tragedia di Lampedusa, c’è poco da aggiungere ai lamenti
ipocriti delle autorità europee e alle giustissime denunce degli
attivisti, delle organizzazioni e dei migranti. Anni fa, il teologo
costaricano di origine tedesca, Franz Hinkelammert,
riassunse in due parole questa routinaria abbondanza di cadaveri
raccolti nei mari e nei deserti nelle frontiere d’occidente:
“genocidio strutturale”. L’idea di “genocidio
strutturale”, certamente implica un’accusa: le strutture non si
impongono da sole, bensì necessitano di decisioni politiche che le
facciano funzionare; decisioni politiche che, eventualmente,
potrebbero disattivare. Quando una struttura alla propria fonte è
incompatibile con la Dichiarazione dei Diritti Umani e con la più
elementare dignità umana, le decisioni che vengono prese per tenerla
in attività acquisiscono un’aura necessariamente truculenta, un’ aria
di ludica crudeltà infantile, la forma di un grande sbadiglio
nichilista. Penso che Barroso e Letta non
avranno gradito di venire ricevuti a Lampedusa al grido di
“assassini”. Non si sentono “assassini”e, probabilmente, la pila di
cadaveri accumulati ai loro piedi gli trasmette un orrore sincero. Ma
devono ingoiare gli insulti e i rimorsi di coscienza rispondendo in
modo responsabile ai propri compromessi con la “struttura”.
Compromessi da cui, in certa misura, dipendono anche i voti dei loro
elettori.
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