12 febbraio 2011

LA STRATEGIA DEL DOMINIO CON IL CONSENSO

Né “rivoluzione islamica” né “ribellione popolare”: L’Egitto marcia verso la “democratizzazione” imperiale USA.
L’obiettivo è finire con il burattino e preservare la continuità del burattinaio. L’uscita democratica” non è un’opzione islamica come predicano il “progressismo e la sinistra, ma un’opzione concertata tra la Casa Bianca di Obama, i falchi del Complesso Militare Industriale e la loggia bancaria di Wall Street. I padroni dell’Egitto.
Di Manuel Freytas

Né “rivoluzione musulmana” né “ribellione popolare”, dopo quasi tre settimane di proteste nelle strade, l’Egitto comincia a sparire dagli schermi e dai titoli dei grandi mass media.
Nessuno, né gli USA né le potenze imperiali “alleate” vogliono Mubarak (un burattino consumato e in disuso da Washington) nel governo visto che ha già compiuto il suo ciclo e dovrà ritirarsi per godersi la sua pensione.
In uno scenario montato dal Pentagono e dal Dipartimento di Stato (le linee principali che controllano l’Egitto e il resto degli Stati Arabi “alleati”), Washington sta negoziando dietro le quinte la “democratizzazione” dell’Egitto con un ampio ventaglio di “forze oppositrici “ tra le quali è inclusa la Fratellanza Musulmana, il bastione storico della resistenza contro Mubarak.


In pratica, e dopo tre settimane di proteste in massa, e con l’esercito senza l’ordine di reprimere, solo circa mille oppositori resistono trincerati nella piazza Tahrir di El Cairo e chiedono la rinuncia di Mubarak, trasformato (con la benedizione degli USA e dell’UE) nel timone della “transizione verso la democrazia”.
Con l’ex direttore dell’OIEA, Mohamad Mustafa el-Baradei, dell’”ala di sinistra” con il Dipartimento di Stato, con il braccio locale della CIA, Omar Suleiman, e con l’ala destra del Pentagono, tutta l’”opposizione” politica egiziana ha già il suo posticino sotto il sole nel nuovo disegno del controllo dell’Egitto con la “uscita democratica”.

In questo modo, il paese dei faraoni s' integra al dispositivo strategico (aggiornato e corretto) del progetto di “rimodellare il Medio Oriente” iniziato dai falchi della lobby ebrea neocon dell’era Bush con Runsfeld e Cheney in testa.
L’idea della Casa Bianca, oggi controllata dalla lobby ebrea “liberale” con Obama come gerente, è di plasmare nell’orbita dei suoi satelliti arabi il “progetto di democrazia” rinnovando la faccia del vecchio “ordine armato” e terminando con la figura consumata dei dittatori dello stile di Mubarak che generano odio e resistenza popolare.

Dal punto di vista strategico, le rivolte nelle strade scatenate contro Mubarak in Egitto, possono avere varie letture. Incluse quelle che ingenuamente alimentano le ipotesi di una “rivoluzione musulmana” o della “rivolta popolare” che installi in Egitto un regime lontano dal dispositivo di controllo imperiale che vige in Medio Oriente.
Nei fatti e oltre ai proclami volontari della sinistra, in Egitto non c’è una “rivoluzione musulmana” contro gli Stati Uniti, ma una protesta sociale per finirla con Mubarak, un burattino usurato che non serve più all’asse USA-UE-Israele nelle loro strategie per il controllo regionale.

L’obiettivo è far cadere il burattino e preservare la continuità del burattinaio. L’”uscita democratica” non è un’opzione islamica come predicano il “progressismo” e la sinistra, ma un’opzione creata tra la Casa Bianca di Obama, i falchi del Complesso militare industriale e la loggia bancaria di Wall Street. I padroni dell’Egitto.

Come sostiene giustamente il prof. Micheal Chossudovsky in un articolo su Global Research : “Gli slogan in Egitto sono “Fuori Mubarak, fuori il regime”. Non si parla di slogan contro gli USA….L’influenza decisiva e distruttiva degli USA in Egitto e in tutto il Medio Oriente continuano a non essere menzionate”.
Cioè, nella pratica più rigorosa dello scenario egiziano, nessuno vuole sconfiggere il proprietario del circo (USA) ma far cadere il pagliaccio di turno, togliendo dalla scena apparente il potere militare, e sostituendolo con il raffinato meccanismo (anche apparente) del dominio con il potere “democratico”.

Secondo Chossudovsky, “Le potenze estere che operano tra le quinte sono protette contro il movimento di protesta- L’ambasciata USA al Cairo è un’importante entità politica che  invariabilmente toglie importanza al governo nazionale. L’ambasciata non è un obiettivo del movimento di protesta”.
E’ chiaro allora, e guardando oggettivamente ogni aspetto risolutivo, che in Egitto non c’è alcuna “rivoluzione musulmana”, del tipo iraniano di Komeini alla fine degli anni 70 (né nulla che gli assomigli) ma un processo digitato in tutte le sue linee dall’ambasciata nordamericana e gli impianti operativi della CIA e del Pentagono che controllano la polizia e le forze armate egiziane.

Come sempre, il clima sociale e politico della ribellione di strada contro Mubarak è alimentato dalle linee convergenti della politica imperiale nordamericana in Medio Oriente con le sue ramificazioni e terminali in Israele e nell’UE.
L’Egitto è un paese chiave nel dispositivo strategico regionale dell’asse USA-UE-Israele. Non soltanto perché è il paese arabo islamico “alleato” con maggior potenziale militare per controbilanciare l’influenza ed il potere militare dell’Iran, ma perché il paese dei faraoni è stato costruito nella maggior base militare terrestre del Pentagono collocata nella zona rossa del Medio Oriente.

L’obiettivo della “democratizzazione” (che comincia in Tunisia ed Egitto) è quello di finire con i regimi vecchi dell’era della “dottrina della sicurezza nazionale” ed installare governi burattini legittimati alle urne. Lo scopo evidente è di “lavare la faccia” alle basi del dominio imperiale nel Medio Oriente, per neutralizzare focolai di resistenza armata in alleanza con l’Iran che possano destabilizzare il dominio imperiale della regione.
La BBC afferma : “I giovani che hanno cominciato a stimolare le proteste su internet, animati dalla caduta del governo in Tunisia, non hanno ottenuto l’uscita di Mubarak, ma alcuni cambiamenti sono evidenti. Nelle parole del Presidente degli USA, Barack Obama: L’Egitto non tornerà ad essere quello che era”.

O come afferma M. Chossudovsky: “Sia Hosni Mubarak che Ben Ali sono rimasti al potere perché i loro governi hanno obbedito ed hanno rispettato ed applicato i dettami del FMI. Da Pinochet e Videla a Baby Doc, Ben Alì e Mubarak, i dittatori sono stati messi lì da Washington. Storicamente in America Latina, i dittatori furono messi ai loro posti attraverso una serie di colpi militari patrocinati dagli USA. Nel mondo attuale viene fatto attraverso “elezioni libere e limpide” sotto la supervisione della “comunità internazionale”.

“Sotto gli auspici della Freedom House- continua- dissidenti egiziani e oppositori di Hosni Mubarak furono ricevuti a maggio 2008 da Condoleezza Rice al Dipartimento di Stato e al Congresso degli USA. Si sono riuniti anche con il Consigliere della Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Stephen Hadley, che fu il “principale consigliere della politica estera della Casa Bianca”, durante il secondo periodo di George W.Bush.
“La cattura dei dirigenti dei grandi partiti dell’opposizione ed organizzazioni della società civile  in previsione del crollo di un governo fantoccio autoritario è parte dei calcoli di Washington, applicata in diverse regioni del mondo", aggiunge il professor Chossudovsky. 

E si chiede: “I burattinai appoggiano il movimento di protesta contro i loro burattini?”
“Rimuovere Hosni Mubarak è da anni nell’agenda della politica estera degli USA. La sostituzione del regime serve per assicurare la continuità, mentre fornisce l’illusione che ha avuto luogo un cambiamento politico significativo”, afferma Chossudovsky.

A suo parere, “L’agenda di Washington per l’Egitto è stata quella di “sequestrare il movimento delle proteste” e sostituire il presidente con un altro capo burattino dello Stato, che sia docile”.
In questo scenario, la sostituzione di Mubarak, non è nient’altro che la concretizzazione di una strategia con una doppia uscita- Creare da una parte una facciata di “apertura democratica” con elezioni libere e partecipative. E dall’altra parte, legittimare e rafforzare l’apparato militare e della polizia egiziana come rafforzamento interno ed esterno contro l’influenza islamica irradiata dall’Iran e dai paesi dell’“asse del male”.

In termini strategici, la sostituzione del regime “militarista”di Mubarak per un governo democratico eletto alle urne significa la combinazione del “potere duro”(Il Pentagono) con il “potere morbido” (Il Dipartimento di Stato) in un dispositivo convergente di controllo sia da “sinistra” che da “destra”.
In altre parole, controllare l’Egitto senza opposizione, e con tutti i gatti nel sacco.


Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da VANESA

2 commenti:

  1. Dall'Egitto all'Europa..
    http://nwo-truthresearch.blogspot.com/2011/02/dallegitto-alleuropa-possibile.html

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  2. Ciao Alba.

    Purtroppo me lo ero immaginato che sarebbe potuto finire così. Già quando "baracca" Obama parlava di una transizione "buona" in Egitto, non mi sconfifferava nulla di positivo. Infatti Mubarak era il loro pupazzo, possibile, quindi, non preoccuparsi della sua cacciata?

    Era giunto all'idea che forse era un modo, diverso da quello a cui ci avevano abituati, di sostituire un fantoccio con un altro. Il tutto, perciò, in maniera soft e democratica.
    Le mie perplessità, le avevo già scritto sul forum di Confederatio, qui.

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