24 agosto 2010

MOSCHEA IN FIAMME

Salman Hamdani è morto l’11 settembre del 2001. L’assistente delle ricerche dell’Università Rockefeller aveva 23 anni ed era laureato in biochimica. Aveva ricevuto, anche, un master come tecnico in emergenze ed era allievo del Dipartimento di Polizia di New York. Ma quel giorno non è mai arrivato al suo posto di lavoro. Hadmani, un musulmano statunitense, è stato uno dei primi soccorritori ad arrivare quel giorno. Corse verso il Ground Zero per salvare altri. Il suo atto d’altruismo gli è costato la vita.
© 2010 Amy Goodman

Hadmani, più tardi, fu riconosciuto come un eroe dal Presidente George W.Bush ed il suo nome fu menzionato nella Patriot Law degli Stati Uniti. Ma non fu così da come lo descrissero i media immediatamente dopo l’11 settembre. Ad ottobre, i suoi genitori andarono alla Mecca a pregare per il loro figlio. Mentre erano fuori dal paese, il New York Post e altri media descrissero Hadmani come uno dei possibili terroristi che erano scappati. Il titolare del NYPost annunciava a caratteri cubitali: “SPARITO O NASCOSTO? IL MISTERO DELL’ALLIEVO PAKISTANO DELLA POLIZIA DI NEW YORK”. L’articolo sensazionalistico diceva che qualcuno molto simile alla descrizione data su Hamdani era stato visto vicino al Tunnel Midtown un mese dopo l’11 settembre. La sua famiglia fu interrogata, e sono state approfondite le ricerche su Internet e le inclinazioni politiche di Hadmani.

I suoi genitori, Talat e Saleem Hamdani, avevano cercato disperatamente negli ospedali, nelle liste dei deceduti e feriti. “Cercavamo solo, in ogni angolo degli ospedali. Siamo andati nel New Jersey, siamo andati in ogni ospedale. Alcuni pazienti avevano perso la memoria”, dice la madre, Talat. “Avevamo la speranza che fosse uno di loro e poterlo identificare”.

I sinistri documenti su Salman Hadmani sono stati significativi della crescente e aperta intolleranza contro gli arabo-statunitensi, i musulmani-statunitensi e le persone con discendenza sud-asiatica. Talat, che in quel momento lavorava come maestra, mi raccontò che i bimbi della sua famiglia dovettero cambiare i loro nomi per nomi anglosassoni per evitare discriminazioni:
“Abbiamo nipoti. Erano in seconda elementare. E, credetemi, hanno cambiato i loro nomi. Armeen si chiamò Amy, un altro si chiamò Mickey, l’altro Mikey ed il quarto Adam. E abbiamo chiesto: “Perché avete cambiato i vostri nomi? E dissero: “perché non vogliamo che ci chiamino terroristi a scuola”.

Il 20 marzo 2002, la famiglia Hadmani ricevette la notizia che il DNA di Salman era stato ritrovato nel Ground Zero, e che era quindi, una delle vittime ufficiali degli attacchi. Al suo funerale, che si svolse nel Centro Comunitario Islamico nella 96° strada nell’Est di Manhattan, parlarono il sindaco Micheal Bloomberg, il capo della Polizia Ray Kelly e il congressista Gary Ackerman.

Il che ci porta all’attuale polemica sulla proposta di costruire un centro comunitario islamico, progettato al numero 51 del Park Place nella bassa Manhattan. Vale la pena ricordare che il luogo non è una moschea e non è nel Ground Zero (è a circa 400 metri di distanza). L’iniziativa Cordoba,  il gruppo no profit che promuove il progetto, lo descrive come un “centro comunitario molto simile all’Associazione Cristiana dei Giovani o al Centro Comunitario Ebraico, dove persone di ogni fede possono usare le loro strutture. Oltre ad una palestra, la Casa di Cordoba avrà una piscina, un ristorante, un auditorio per 500 persone, un monumento commemorativo dell’11 settembre, una cappella per diverse religioni, uno spazio per uffici e sale per conferenze ed uno spazio per pregare”.

L’opposizione verso questo Centro iniziò nei blog marginali di destra, e da allora è arrivato ai mass media. Mentre i multimilionari agenti immobiliari discutono su cosa fare nel Ground Zero, il buco che è rimasto lì e che non è stato ancora riempito. Invece, il buco nelle notizie durante il mese d’agosto è stato riempito con la polemica della “Moschea nella Ground Zero”, come loro stessi la chiamano.

C’è un altro buco che deve essere riempito, e cioè: l’assenza di referenti negli Stati Uniti di tutte le professioni e ceti sociali e tutti gli schieramenti politici che difendano la libertà di religione e che si manifestino contro il razzismo.

Come una volta disse il Reverendo Martin Luther King Jr: “Alla fine non ricorderemo le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici”.
Qualcuno direbbe seriamente che non dovrebbe esistere una chiesa cristiana vicino all’edificio della città di Oklahoma dove Timothy McVeigh realizzò il suo attentato con l’auto-bomba, solo perché McVeigh era cristiano?

Le persone che sono contro l’odio non sono una minoranza marginale, né una maggioranza silenziosa. E’ una maggioranza silenziata. Silenziata dagli opinionisti e pseudointellettuali che portano avanti questo dibattito nei media.
L’odio provoca violenza. L' emarginazione di una popolazione intera, di un’intera religione, non una cosa buona per il nostro paese. Mette in pericolo i musulmani negli Stati Uniti, e crea rancore verso gli Stati Uniti nel resto del mondo.

Quando ho chiesto a Daisy Khan, direttrice esecutiva della Società Statunitense per l’Avanzamento Musulmano, una delle organizzazioni che co-finanziano il centro comunitario proposto, se aveva paura per la sua vita, per quella dei suoi figli o per i musulmani di NY, ha risposto: “Temo per il mio paese”.



Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da VANESA

3 commenti:

  1. Questo è un articolo in proposito, segnalatomi da un amico, su come anche Obama non veda di buon occhio un divieto che vedrebbe violata la costituzione.

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. @Roby
    E' molto interessante...
    Sembra che dopo aver piazzato Obama lì...l'èlite abbia cambiato idea...
    Nel mio blog ne ho "cantate" parecchie ad Obama, ma ultimamente mi fa quasi compassione...
    ;)
    Grazie per la segnalazione.

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