25 febbraio 2010

CHI PAGA I COSTI DELL'EURO?


di Vicenç Navarro

La creazione e l' istituzione dell’Unione Europea e dell’euro, è stato un passo positivo nel processo di costruzione di un mondo bipolare, permettendo all’Europa di trasformarsi in un punto di riferimento per la sua dimensione sociale.  Bene, l' istituzione dell’UE e dell’euro ha originato anche alcuni elevati costi, che sono stati assorbiti, per maggior parte, dalle classi popolari, e dei quali poco si parla nei nostri mass media.
Nei miei lavori ho mostrato con dati- che nessuno ha ribadito- che il modo in cui la Spagna ha conseguito l’adesione all’euro è stato in base al ritardo nella correzione dell’enorme deficit sociale, ereditato da 40 anni di una delle dittature più repressive e con minor sensibilità sociale che sia esistita in Europa.
La riduzione del disavanzo dello Stato,  richiesta per raggiungere l’unità monetaria, si ottenne in Spagna (durante il periodo 1993-2004) a costo di ridurre la spesa pubblica sociale per abitante in termini assoluti durante gli anni 1993-1995, e in termini relativi a partire dal 1996. Questo ha implicato che il deficit della spesa pubblica pro-capite tra la Spagna ed la media dell’UE-15 crescesse enormemente (di un 24%). Dato che le classi popolari sono quelle che beneficiano di più della spesa pubblica sociale (sanità, pensioni, servizi sociali, case, e altri trasferimenti e servizi pubblici), questo ha implicato che fossero le classi popolari quelle che pagassero i costi per raggiungere le condizioni per ottenere l’integrazione monetaria della Spagna all’euro.

Bisogna chiarire che la riduzione del disavanzo dello stato, chiesta secondo i criteri di Maastricht, potrebbe essere stata raggiunta attraverso l’aumento delle tasse dei gruppi più potenti della società, cosa che non è stata fatta. In realtà, durante quel periodo le tasse sono state abbassate a questi settori della popolazione, forzatamente in modo che la riduzione del deficit di Stato si ottenesse riducendo la spesa pubblica sociale.

Siamo adesso in una situazione simile. Una volta ancora si sta cercando di ridurre il deficit ed il debito dello stato (con lo scopo di salvare l’euro) attraverso politiche di austerità della spesa pubblica che colpisce principalmente le classi popolari. Da lì la logica impopolarità di tali politiche. Ma la situazione della Spagna non è l’unica. I criteri monetari e fiscali vigenti nell’eurozona e nell’UE stanno causando un enorme sacrificio alle classi popolari dei paesi dell’Est Europa (che stanno prendendo le misure chieste dall' UE per permettere la loro integrazione), come la Lettonia il paese che è nelle peggiori condizioni in Europa. Vediamo i dati.

L' austerità fiscale: La condizione dell’Unità Monetaria: il Caso della Lettonia.
La Lettonia sta soffrendo un’enorme depressione economica. Negli ultimi due anni il suo PIL è sceso di un 25% e si prevede che scenderà di altri 4 punti durante quest’anno. La disoccupazione è più del 22% e continua ad aumentare. Solo gli USA, nel periodo 1929-1933 hanno sofferto una simile depressione. Ed il motivo per cui questo succede è che il governo sta portando avanti politiche liberali necessarie per l’integrazione alla UE, politiche supervisionate dal FMI.

Queste politiche sono le politiche standard che i paesi devono seguire per integrarsi all’eurozona. E che la Spagna ha sofferto negli anni '90 ed inizio del XXI secolo. Includono la riduzione del deficit di Stato attraverso la riduzione della spesa pubblica, includendo la spesa pubblica sociale. Le misure di austerità di tale spesa hanno incluso, secondo le pagine economiche del New York Times (12-2-2010) un taglio del 50% degli stipendi degli impiegati pubblici, ed un 40% delle spese nei centri ospedalieri del Servizio Nazionale della Salute. Il problema di queste misure non è solo la diminuzione della qualità della vita della cittadinanza, ma la diminuzione del consumo domestico- come riconosceva il NYT, creando un grave problema per la domanda interna, responsabile dell’enorme riduzione del PIL, una caduta senza precedenti in Europa.

Un altro fattore che contribuisce alla caduta della domanda interna è la riduzione degli stipendi, promossa anche dall’FMI (con l’appoggio dell’UE). In teoria la riduzione degli stipendi si giustifica con il fine che l’economia possa competere meglio ed esportare i prodotti fatti nel paese, considerando che le esportazioni salveranno il paese. Tale argomento si sta usando anche in Spagna. Si sottolinea che l’unico modo di uscire da questa crisi- dato che non è permessa che la moneta venga svalutata, perché fissata all’euro- è diminuire gli stipendi. Raccomandazione fatta anche per la Spagna da Paul Krugman. Come conseguenza di queste politiche, l’economia del paese è in una situazione disperata. Come c’era da aspettarsi, il desiderio popolare di integrarsi all’euro sta scomparendo molto velocemente, dato che non credevano che Europa avrebbe significato soffrire tutto questo. Un simile fatto sta succedendo in altri paesi dell’eurozona. L’ultimo caso è la Francia, dove il rifiuto all’euro è molto grande in quel paese. La percentuale della popolazione contro l’euro è passata dal 39% nel 2002 al 69% quest’anno (fonte Financial Times- 17-02.10)

Un altro euro ed un’altra UE è possibile.
Tutti questi casi dimostrano che il modo in cui si è costruita l' UE sta creando dei grandi sacrifici per le classi popolari, sacrifici che potevano essere evitati, se l’euro fosse stato costituito in un altro modo, con un cambiamento molto profondo delle politiche che stanno guidando la costruzione dell’UE. Questi cambiamenti avrebbero dovuto includere:
  • -1) Lo sviluppo di una struttura federale europea, autenticamente democratica e partecipativa, nella quale ci fosse un’istanza di gestione economica e fiscale a livello europeo. Oggi non c’è neanche un coordinamento delle politiche economiche e fiscali.
  • -2) Una finanziaria europea che, così come hanno suggerito i primi fondatori della Comunità Europea, dovrebbe rappresentare un minimo da un 7% ad un 9% del PIL di tale comunità. 
  • -3) Una BCE dipendente dalle autorità politiche, le cui politiche monetarie sarebbero dettate dal governo europeo e approvate dal Parlamento. 
  • -4) Un patto sociale a livello europeo tra il mondo manageriale ed il mondo sindacale sviluppato in convegni colettivi-finanziari in un quadro legale europeo. 
  • -5) Un cambiamento dei criteri di Maastricht e del Patto di Stabilità, che dovrebbe prendere sul serio la componente dello Sviluppo, dando più protagonismo alla crescita economica e al lavoro. 
  • -6) Cambiare il limite autorizzato che il deficit di stato sia minore ad un 3% del PIL, ed il debito minore al 60%, permettendo maggiore flessibilità e facilitando l'esistenza di una differenziazione nel calcolo del deficit dello stato tra le spese d’investimento e spese ordinarie. 
  • -7) Istruire la BCE ad avere come funzione lo sviluppo dei buoni europei che servano ad aiutare gli stati a risolvere le crisi del deficit in momenti di recessione. 
  • -8) Non permettere che uno stato possa essere in condizioni di non poter pagare il suo debito, presentando un fronte comune che protegga qualsiasi paese dell’UE di fronte alla speculazione dei mercati finanziari. 
  • -9) Stabilire una tassa europea che alimenti un fondo comune per spese di livellazione del consumo, attraverso politiche ridistributive dentro l’UE, che stimolino la crescita economica, la creazione del lavoro e la redistribuzione a livello continentale e dentro ogni paese.
E’ troppo utopico?
Sono cosciente che queste proposte possono essere percepite, da ampi settori, come utopiche o irrealizzabili. E nel clima attuale, hanno ragione. Ma devono rendersi conto che queste proposte sono state fatte quando si pianificava l'istituzione dell’UE e dell’euro da parte di forze politiche nell’Europa di allora (dentro e fuori la socialdemocrazia, così come da altri partiti di sinistra), così come sindacati e movimenti sociali, che sono stati ignorati, scegliendo al loro posto politiche liberali che hanno danneggiato le classi popolari, che sono state quelle che hanno pagato i costi della costruzione di questa UE. C’è stata una lotta ideologica e politica forte nella quale alcuni hanno vinto (i liberali) ed altri hanno perso. I primi sono esistiti non solo nei partiti conservatori e liberali, ma anche nelle squadre economiche e finanziari della socialdemocrazia, arrivando, anche, ad essere il pensiero maggioritario nelle loro politiche economiche e fiscali. 

In realtà, l’enorme crisi della socialdemocrazia dell’UE si deve precisamente a questa dominazione liberale della socialdemocrazia. Di fatto, la gran maggioranza delle persone centrali in questa trama, dai Presidenti della BCE, Duisenberg e Trichet, fino ai commissari d’Economia, Solbes o Almunia, erano tutti socialisti (e alcuni continuano a considerarsi tali) ed erano stati e/o continuano ad essere membri attivi o simpatizzanti di partiti socialisti. Il problema è stato ed è, che il socialismo nella maggior parte dei paesi ha accettato il liberalismo, con le corrispondenti conseguenze che stiamo vedendo oggi.
Ma la situazione paradossale è che senza quelli elementi esposti prima, l’unità monetaria è insostenibile. Da lì, la salvezza dell’UE passa precisamente attraverso la riconduzione dell’UE, in senso opposto a come è stata sviluppata, raccogliendo le proposte di allora abbandonate, con lo scopo di poter costruire un’Europa non sulle spalle delle classi popolari, ma a loro servizio.


Traduzione a cura di VANESA

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