22 marzo 2021

Le elezioni israeliane e palestinesi sono, ciascuna a suo modo, un'offesa alla democrazia

Per la prima volta in decenni, l'Autorità palestinese (AP) e Israele terranno elezioni parlamentari a pochi mesi di distanza l'una dall'altra. Molti nella comunità internazionale e nei media vedranno questo come un esercizio congiunto di democrazia, ma in realtà è una finestra sulla realtà di un sistema a due livelli che nega ai palestinesi la libertà e i diritti fondamentali che molti nel mondo danno per scontati.

Guidate lungo le strade tortuose della Cisgiordania questa primavera e vedrete cartelli elettorali che interrompono il bel paesaggio di ulivi e mandorli. Guardandoli da vicino, ci si può rapidamente rendere conto che il candidato mostrato non è un palestinese desideroso di fare campagna elettorale per un seggio parlamentare. Probabilmente è un candidato israeliano che corre per un seggio nel parlamento israeliano.

Questo solleva una domanda molto legittima: perché gli israeliani stanno facendo campagna elettorale in Cisgiordania, il territorio designato dal diritto internazionale a far parte di un futuro stato palestinese?

Israele occupa e controlla l'intera Cisgiordania e ne ha di fatto annesso ampie parti attraverso l'insediamento di 650.000-750.000 israeliani sulla terra palestinese. Secondo lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, un'impresa coloniale di questa natura non solo è illegale, ma è anche considerata un crimine di guerra. Eppure questi coloni illegali sono in grado di candidarsi, fare campagna elettorale e votare nelle elezioni israeliane - e sono arrivati ad occupare la posizione di esecutori nella politica di coalizione israeliana.

La famosa "democrazia" di Israele, come le sue politiche espansionistiche, non si ferma alla linea verde. Non la riconosce nemmeno e l'ha buttata nel dimenticatoio. In pratica, Israele esercita un controllo totale sul territorio tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.


I palestinesi in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est non possono votare per il regime che governa ogni aspetto della loro vita, mentre gli israeliani che vivono nello stesso territorio possono. Questi cinque milioni di palestinesi votano per l'AP, un organo amministrativo che oggi ha solo un controllo parziale sul 40% della Cisgiordania e dipende da Israele per la sua sopravvivenza. L'AP doveva esistere per cinque anni mentre i palestinesi facevano la transizione verso uno stato, ma lo stato non è mai arrivato. I successivi governi israeliani se ne sono assicurati, usando gli insediamenti e l'annessione per trasformare la Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme in un arcipelago di popolazioni palestinesi scollegate.

Le elezioni legislative dell'AP del 22 maggio arrivano dopo anni di repressione politica e una recente ondata di leggi antidemocratiche che sono state introdotte da decreti presidenziali palestinesi e hanno preso di mira l'indipendenza della magistratura e della società civile. Molti vedono le prossime elezioni come un mezzo per approvare la condivisione del potere tra i due partiti al potere, Fatah e Hamas, permettendo loro di consolidare i guadagni delle ultime elezioni parlamentari del 2006. La realtà è che in una società in cui l'età media è di 21 anni, la maggior parte, se non tutte, le posizioni di leadership sono occupate da persone la cui età media è di 70 anni.

Nonostante la genuina sete dei giovani palestinesi di partecipare a un processo democratico e di scegliere i rappresentanti, i recenti cambiamenti apportati dall'AP alle leggi elettorali hanno reso praticamente impossibile competere e rompere il monopolio delle fazioni al potere in Cisgiordania e a Gaza. Per esempio, il requisito di età per i candidati è di 28 anni, uno dei più alti al mondo, ed esclude molti palestinesi dalla candidatura. Per essere accettati nella lista elettorale, i candidati devono pagare una tassa di 20.000 dollari (in euro 16.800) e dimettersi se lavorano in certi settori, il che è estremamente difficile in un'economia con tassi di disoccupazione molto alti. Infine, le elezioni sono state annunciate solo pochi mesi prima, con un nuovo sistema di voto, basato sulla rappresentanza proporzionale, che favorisce i partiti affermati con una forte presenza nazionale rispetto alle giovani ambizioni politiche.

Oltre alle limitazioni strutturali c'è l'impatto schiacciante dell'occupazione militare sulla partecipazione politica palestinese. Israele ha costantemente negato ai palestinesi il diritto di tenere elezioni a Gerusalemme e ha arrestato membri eletti del parlamento. I palestinesi sotto occupazione vivono sotto gli ordini militari israeliani e quindi non hanno diritti civili; non hanno libertà di riunione, associazione o espressione, ed è illegale fondare un partito politico palestinese.

La storia di queste due elezioni non è quindi una storia di democrazia, ma una storia che dà una patina di legittimità a un sistema che mantiene la supremazia e il dominio di un popolo su un altro. In questa realtà, i palestinesi sono spogliati della loro sovranità e della loro capacità di modellare le loro vite, il loro futuro e di sfidare questa oppressione. Questo sistema non può offrire una vera democrazia e deve essere smantellato. Bisogna costruire un nuovo contratto sociale in cui ogni persona abbia il diritto all'autodeterminazione, alla libertà e all'uguaglianza.

I palestinesi hanno bisogno di una spinta istituzionale per rienergizzare il loro movimento nazionale in modo che possa sfidare lo status quo. La strada verso il futuro inizia con un sistema politico riformato che sia democratico e rappresentativo e che possa dare voce ai 13 milioni di palestinesi nel mondo. La strada verso la libertà comincia da noi.

Salem Barahmeh سالم براهمة


Traduzione per TLAXCALA di Alba Canelli
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