20 aprile 2020

Glifosato: studi truccati per “salvare” il diserbante di Bayer-Monsanto

Il glifosato, storico prodotto della Monsanto (recentemente acquisita dalla farmaceutica Bayer), nato nel 1974 e commercializzato con il nome Roundap, attualmente prodotto da varie aziende essendo scaduto il brevetto, si manifesta come l’erbicida in assoluto più utilizzato nel mondo e sicuramente anche il più discusso. Classificato come cancerogeno dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ma poi declassato a “potenzialmente cancerogeno” dietro forti pressioni dell’organismo per la sicurezza alimentare della UE (EFSA). In grado di compromettere l’equilibrio ormonale e renale, nonostante l’EFSA tenti di negare l’evidenza degli studi scientifici compiuti in materia. 

E stando agli studi più recenti portati avanti dall’Università della California potenzialmente in grado di danneggiare gravemente il fegato, il glifosato non si presenta certamente come un toccasana per la nostra salute, ma piuttosto come un “mostro” acquattato nell’ombra di legislazioni compiacenti e gruppi di pressione disposti a tutto pur di evitarne la messa al bando, nonostante negli USA migliaia di persone abbiano già intentato una causa per risarcimento danni e in alcuni casi Bayer-Monsanto sia già stata condannata a pagare....

In Europa, grazie all’enorme potere di condizionamento di cui godono le lobby dell’agrochimica, nulla è ancora stato fatto concretamente, dal momento che la UE, nonostante il glifosato sia stato classificato come “probabile cancerogeno” dalla IARC già nel 2015, ha deciso nel 2017 di prorogarne l’impiego per altri 5 anni e restano ancora fondati dubbi sul fatto che nel 2022 sia davvero disposta a metterlo definitivamente al bando. Alla base di tale proroga, dal momento che il sistema di autorizzazione per le sostanze chimiche si basa sul principio che le aziende devono dimostrare scientificamente che i loro prodotti non presentino rischi per la salute pubblica e l’ambiente, sono stati fondamentali gli studi tossicologici commissionati ai laboratori certificati che dovrebbero rappresentare una garanzia contro qualsivoglia manipolazione o falsificazione degli stessi. Purtroppo, proprio per quanto concerne gli studi sul glifosato, il Laboratorio di Farmacologia e Tossicologia Lpt di Amburgo risulta attualmente sotto accusa per avere commesso frodi nell’ambito dei risultati delle proprie ricerche. Le accuse riguardano la sostituzione di animali morti con animali vivi, tumori riscontrati nelle cavie e derubricati come semplici infiammazioni e svariate altre distorsioni dei dati finalizzate a compiacere il cliente.

Insomma si sta facendo sempre più forte la sensazione che la proroga concessa dalla UE, oltre a essere stata indotta dalla pressione dell’industria agrochimica possa essere figlia di una vera e propria frode, compiuta con l’ausilio di laboratori compiacenti.
Nel frattempo, sulla spinta delle proteste portate avanti dalle associazioni ambientaliste, alcuni stati, regioni e realtà locali si sono mossi in ordine sparso per contrastare l’utilizzo del diserbante killer come meglio potevano. L’Austria ha votato un divieto totale del glifosato, ma l’entrata in vigore dello stesso è stata ritardata dai gruppi di pressione di cui sopra, il Belgio e l’Olanda ne hanno vietato esclusivamente l’uso non professionale, la Francia ne ha ventilato il divieto senza ancora averlo messo in atto, la Danimarca e la Repubblica Ceca hanno imposto limitazioni legate al momento del raccolto.

In Italia, dove è vietato usare glifosato in luoghi pubblici e impiegarlo in agricoltura prima del raccolto, alcune regioni come la Toscana (che lo ha bandito a partire dal 2021) e il Veneto si sono espresse per il bando, mentre alcune aree agricole d’eccellenza, come quella del “Consorzio di tutela del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene” che ne ha vietato l’uso dal gennaio 2019, stanno affrontando la questione indipendentemente da quello che deciderà la UE.
Qualcosa insomma sembra si stia muovendo, nonostante il peso economico e politico dei vari gruppi di pressione, ma si tratta ancora di una risposta scomposta che si diffonde a macchia di leopardo. Occorre applicare al più presto il principio di precauzione, mettendo al primo posto la salute dei cittadini e quella dell’ambiente, dal momento che non è più accettabile mettere a repentaglio la vita delle persone e l’equilibrio della biosfera esclusivamente per tutelare i profitti di poche multinazionali senza scrupoli. Le alternative esistono ed è giunta l’ora di metterle in atto.

Fonte: DolceVita

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