Su Epoch Times Paul Adams denuncia l’attacco costante alle istituzioni da parte di una
parte politica. Si tratta del populista Trump? No, al contrario, sono
i progressisti che stanno distruggendo le fondamenta della nostra
società: dall’attacco costante all’istituzione più vicina
all’individuo (la famiglia) al sovvertimento costante delle
istituzioni democratiche per perseguire l’agenda politica di coloro
che si credono superiori. La denuncia di quanto sta avvenendo nella
tormentata società americana avrebbe potuto essere riferita
altrettanto bene a quanto succede nella nostra Italia.
In un nuovo,
importante libro, lo scienziato politico Yuval Levin sostiene che
abbiamo perso la fiducia nelle nostre istituzioni – pubbliche,
private, civiche e politiche.
Noi abbiamo bisogno
delle istituzioni, incluse le famiglie, le associazioni, le chiese,
le corporazioni, i sindacati, i partiti politici, gli ordini
professionali come quelli degli avvocati e dei medici, così come le
istituzioni formali del governo come il Congresso, la presidenza e i
tribunali.
Esse rappresentano,
come dice Levin, “le forme durevoli della nostra vita comune”.
Svolgono compiti o missioni come l’istruzione dei giovani, la
soluzione delle controversie o la difesa del Paese. Danno senso alla
vita assegnando ruoli, insegnando l’autocontrollo, e applicando le
norme. Nel frattempo, formano il carattere di coloro che ne fanno
parte.
Tuttavia, non ci
fidiamo più di loro. Che cosa è andato storto?
Da fucine a
piattaforme
C’è stato un
grande cambiamento nella maniera in cui le élite, coloro che
occupano i ruoli di leader delle nostre istituzioni, le trattano.
Anziché vedere le loro istituzioni come fucine che formano e
modellano i loro caratteri e comportamenti, le trattano come
piattaforme per propagandare se stesse.
Pensate a un nuovo
membro del Parlamento, che è meno interessato a imparare e
conformarsi alle tradizioni e alle aspettative della Camera piuttosto
che a utilizzarla come una piattaforma per ottenere fama e celebrità.
Il Parlamento – per sua stessa volontà, secondo Levin – è
diventato sempre più debole e inefficace. I suoi membri cercano
pubblicità e fama attraverso i social media e altre vie ancor prima
di avere imparato o di avere realizzato qualcosa di significativo nel
Parlamento stesso.
In realtà, fa
notare Levin, i leader politici spesso si vantano del loro status di
outsider – sostenendo di non far parte della cupola di Washington o
della “palude” – in modo da aumentare il loro potere. Anche da
leader, criticano le loro stesse istituzioni come se non ne fossero
essi stessi i responsabili o alla loro guida.
L’unica eccezione
al crollo di fiducia nelle istituzioni è l’apparato militare. In
quel caso, la formazione del carattere – che si addice a colore che
servono con senso del dovere, della propria missione e con
l’auto-affondamento del proprio interesse personale – viene
riconosciuto e valorizzato. È raro che un soldato in uniforme usi
l’apparato militare come piattaforma per promuovere se stesso, non,
perlomeno, fino a quando si è congedato o ritirato dal servizio. Ci
fidiamo del fatto che i militari, rispetto alle altre istituzioni,
facciano il loro lavoro di formare coloro che servono.
Levin mostra la
necessità di ricostruire le istituzioni e formare élite che possano
guidarle meglio. Utilizza molto spazio per criticare il populismo
anti- élite.
Ma le élite sono il
problema
Il problema di
questo ragionamento è che sottovaluta il grado in cui le nostre
istituzioni più importanti sono state sistematicamente sabotate
dalle stesse élite che avrebbero dovuto guidarle e rappresentarle.
Il presidente Donald
Trump, un intrattenitore, piuttosto che un costruttore di istituzioni
disposto a mettere in secondo piano se stesso, ha sfruttato la
perdita di fiducia nelle nostre istituzioni e ha promesso di cambiare
la politica in modo da rafforzarle. Ha parlato di “bonificare le
paludi” della burocrazia federale, che era diventata una
“amministrazione statale” che persegue i propri interessi e le
proprie politiche.
Nel caso della
presidenza Trump, una profonda ostilità è stata evidente non solo
nelle violente dimostrazioni degli Antifa, ma anche in tutte le
istituzioni principali della società. L’amministrazione statale
stessa è stata un centro di resistenza al presidente eletto –
gestendo il proprio governo non eletto, anche mentre professava la
propria professionalità e l’impegno per la Costituzione.
L’abbiamo visto
fin dall’inizio, all’interno stesso della Casa Bianca di Trump.
Un editoriale di un funzionario esperto dell’amministrazione Trump
rende chiara questa posizione. Si intitola “Sono parte della
Resistenza all’interno dell’Amministrazione Trump”.
L’autore, che si
firma come Anonimo, si vanta di lavorare diligentemente per
ostacolare le politiche del presidente, nonostante lavori per lui.
Trump, secondo l’autore, è ignaro della misura in cui “molti dei
funzionari più anziani della sua amministrazione stanno lavorando
diligentemente dall’interno per vanificare la sua agenda politica”.
Il punto è che
Trump è stato eletto ed è sostenuto da decine di milioni di
americani perché metta in atto la sua agenda, non quella
dell’establishment Repubblicano o dei “Mai con Trump” o delle
vedove di Obama ancora all’interno della sua amministrazione.
Il Wall Street
Journal ha recentemente riportato un parere di una di quelle rare
figure, un (ex) funzionario all’interno dell’amministrazione
Trump, direttore della pianificazione strategica del Consiglio di
Sicurezza Nazionale (NSC), che sosteneva le politiche di Trump.
L’autore, Rich
Higgins, conferma: ma deplora l’opposizione al presidente che
domina tra gli impiegati del ramo esecutivo. Da come dipinge la
situazione all’interno dello staff dell’NSC, coloro che cercano
lealmente di attuare le politiche del presidente in carica, tra cui
lo stesso Higgins, venivano isolati o licenziati proprio a causa
della loro lealtà.
I media liberal
hanno denunciato quello che hanno definito il “licenziamento” del
Tenente Colonnello Alexander Vindman, l’ufficiale dell’esercito
dedicato a servire il NSC, dipingendo come una ritorsione per la sua
testimonianza alla Camera sulle telefonate ucraine di Trump. Higgins
dà una versione differente. Sostiene non che Vindman non sia stato
in effetti licenziato o posto sotto inchiesta, ma che era lui a
essere sleale.
Il compito di
Vindman, sostiene, “era di servire lealmente fino a quando non
avesse sentito di non poterlo più fare, e a quel punto dare le
dimissioni. La resistenza attuata mentre si è in uniforme mina il
buon ordine e la disciplina ed è particolarmente disonorevole”.
Non è stato Higgins, ma Vindman, che è stato applaudito dai media
liberal, a danneggiare le istituzioni che aveva giurato di servire.
Le élite
distruggono le istituzioni
Ma il problema è
ben più ampio e profondo di questa specie di “resistenza”
interna descritta da una parte da Anonimo e dall’altra da Higgins,
la cui stessa esistenza viene bollata dai progressisti come “teoria
complottista dello Stato profondo”.
Levin inizia la sua
analisi con le istituzioni del nostro governo nazionale e termina con
l’istituzione fondativa che ci riguarda tutti, la famiglia. Ma
immaginiamo di guardare al problema dalla parte opposta.
Nessuna istituzione
è più fondamentale o importante della famiglia nel formarci, da
quando nasciamo. C’è ampia letteratura da parte di studiosi di
tutto lo spettro politico che ha stabilito l’importanza della
struttura della famiglia, del crescere in una famiglia di due
genitori sposati, come fattore protettivo per ogni indicatore sociale
– la nostra salute e longevità, l’aspettativa di vita, il
rapporto con la criminalità, l’istruzione, il reddito, e il
successo coniugale.
Recenti ricerche
indicano che la famiglia e la fede (frequentare la chiesa o qualche
altro luogo di culto e autodefinirsi una persona molto religiosa)
svolgono un ruolo più ampio nel successo scolastico rispetto agli
sforzi scolastici per colmare le lacune tra i gruppi razziali ed
etnici.
Una meta-analisi
(uno studio di studi) ha esaminato 30 ricerche sui tentativi di
colmare il divario di prestazioni tra gli studenti bianchi da una
parte e neri o latinoamericani dall’altra. Esso “ha rivelato che,
se uno studente afroamericano o latinoamericano è una persona di
fede e viene da una famiglia che comprende i due genitori biologici,
il divario di prestazioni scompare completamente, anche quando si
rifanno i conti tenendo conto dello status socioeconomico” [il
corsivo è mio]. Tuttavia, le élite progressiste all’interno
dell’amministrazione statale – nelle università, nei tribunali,
nei media, nello sport, nelle grandi aziende e nell’intrattenimento
– hanno messo nel mirino, senza sosta, proprio le istituzioni che
sono più importanti nella vita delle persone comuni.
Sono i sostenitori
delle politiche identitarie che hanno attaccato l’istituzione del
matrimonio e della famiglia, non i populisti. Questi ideologi hanno
usato le loro stesse istituzioni come piattaforme per formare altri,
nella psicologia, nel lavoro sociale e in altri campi. L’obiettivo
non è di sostenere quelli che servono, aiutandoli a fortificare le
famiglie e i matrimoni, ma di liberare gli individui dalla presa di
queste istituzioni.
La rivoluzione
sessuale è andata ben oltre la ricerca di un riconoscimento
giuridico per le forme e le definizioni alternative di matrimonio e
famiglia. I suoi aderenti cercano di stigmatizzare ed espellere dalla
vita pubblica coloro – individui, genitori, aziende, e comunità
religiose – che difendono queste istituzioni fondamentali.
Attaccano, dando
loro dei bigotti ed odiatori, coloro le cui idee erano considerate il
buon senso per quasi tutte le comunità in ogni parte del mondo
appena qualche decennio fa. Queste persone, secondo la nuova
ortodossia, non sono degne del diritto alla libera espressione, al
libero esercizio della religione, o al diritto di perseguire in pace
la loro vocazione professionale o di condurre la loro impresa
commerciale.
Guardiamola in
questo modo: sono le élite progressiste che stanno distruggendo le
nostre istituzioni, opponendosi ai loro obiettivi e alle loro
missioni, e di conseguenza distruggono anche il significato e la
struttura delle nostre vite. È Trump, un performer che non si fa
modellare o intimidire dagli usi e costumi delle istituzioni e uffici
politici, che sta guidando la difesa delle nostre istituzioni
fondamentali.
Le sue politiche
tendono a difendere le famiglie e i loro diritti, a sostenere la
scelta scolastica, la libertà di religione e la protezione della
coscienza, e il diritto dei bambini nel grembo materno, i più
innocenti e vulnerabili componenti di tutte le famiglie umane, a non
venire uccisi.
Trump e le sue
politiche forniscono perlomeno un momento di tregua e di
controffensiva nei confronti degli impulsi totalitaristi dei
progressisti che tentano di politicizzare e controllare ogni aspetto
della vita.
17 febbraio 2020
Paul Adams è un
professore emerito di Lavoro sociale presso l’Università delle
Hawaii ed è stato professore e preside associato per gli affari
accademici presso la Case Western Reserve University. È coautore di
“La giustizia sociale non è quello che pensi” e ha scritto molto
sulle politiche di assistenza sociale e sull’etica professionale e
personale.
Tradotto e pubblicato da vocidallestero.it
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