21 febbraio 2018

Sei Otto: memorie di un anno in rivoluzione (1)
21 ottobre - 20 dicembre 1967: Viva la vittoriosa guerra del popolo!

No, 50 anni dopo, non rimpiango nulla. Non ho rubato, ucciso, violentato o mentito. E penso di non aver mai tradito, né le nostre idee e sogni, né i miei compagni. Tutti quelli della mia età non possono dire altrettanto. Ma prima di tutto, poniamo alcuni punti sulle i.
I sessantottini, quelli che erano davvero attivi quell'anno, erano solo una piccola parte della generazione del baby boom, nati tra il 1945 e il 1950. 
In Francia eravamo al massimo una decina di migliaia di militanti di gruppi politici rivoluzionari, in Italia e in Germania non molto di più, negli Stati Uniti molti di più. In Brasile, Tunisia, Senegal, Messico, Grecia, Cecoslovacchia o Irlanda, i nostri compagni erano poche centinaia all'inizio dei movimenti. Ma ovunque, abbiamo visto lo stesso fenomeno: centinaia di migliaia di persone si sono unite all'ultrasinistra una volta che i movimenti sono stati lanciati. La maggior parte di queste persone erano giovani studenti e liceali, con la presenza di una forte minoranza di "giacche nere", "teppisti" e altra gentaglia. Erano giovani lavoratori, apprendisti, figli dei poveri e di pendolari.
L'origine sociale dell'ultrasinistra era nella loro grande maggioranza borghese e piccolo borghese. Non c'è da stupirsi: nel 1968, in Francia, solo l'8% degli studenti proveniva da famiglie operaie. Ma questi figli di borghesi e piccolo-borghesi hanno espresso un chiaro e radicale rifiuto: si sono rifiutati di diventare i "cani da guardia del capitale", gli aguzzini della prigione sociale, i vigili di supermercato della società dello spettacolo e del consumo. 50 anni dopo, è giocoforza constatare che la maggior parte di noi è diventata quello che si era rifiutata di diventare: insegnanti, architetti, avvocati, psichiatri, funzionari pubblici, deputati e senatori, star del piccolo schermo, giornalisti, scrittori.

Pier Paolo Pasolini, che per noi era un "vecchio" (all'epoca aveva 46 anni), ci aveva sparato una freccia avvelenata in aprile, pubblicando un poema sulla rivista di Moravia, Nuovi Argomenti, che voleva essere l'equivalente italiano dei Tempi Moderni di Sartre. Sotto il titolo di Il PCI ai giovani, scriveva più o meno: "Dietro le vostre barbe vedo le facce dei vostri padri; gli unici veri proletari in questa faccenda sono i carabinieri che affrontate". Quanti dei barbuti che allora si indignarono per questo basso attacco al movimento, non seguirono le orme del loro padre?

Non eravamo proletari. Volevamo diventarlo, fonderci nelle masse fondamentali che, da sole, potevano dare vita al mondo sognato. Quando, alla fine di gennaio 1968, i lavoratori immigrati del cantiere Schwartz-Hautmont, che stavano costruendo la futura Facoltà di scienze di Jussieu sul sito dell'ex Mercato dei Vini, scioperarono, chiedendo un aumento di 50 centesimi sul loro salario orario, che andava dai 3,10 ai 4,20 franchi, gli studenti maoisti e i trotskisti lanciarono una campagna di raccolta fondi solidale che raccolse 1,5 milioni, più di quanto i lavoratori avrebbero guadagnato se non avessero scioperato. I comunisti dell'università denunciarono immediatamente questa provocazione "per dividere la classe operaia", arrivando addirittura a prtendereche questi soldi ... provenissero dai padroni. Fecero anche di tutto per prevenire l'estensione dello sciopero di solidarietà con i lavoratori, iniziato da 50 insegnanti. L'argomento principale degli studenti solidari era semplice e chiaro: "Voi lavoratori e noi studenti, abbiamo lo stesso nemico: il capitale, che vuole fare di noi i vostri capi". Più tardi, nel maggio del 1968, andammo un giorno a Renault-Billancourt, la "fortezza  operaia", per unirci ai lavoratori che la occupavano. Abbiamo portato uno striscione che proclamava: "La classe operaia riprenderà dalle deboli  mani degli studenti la bandiera della rivoluzione. (Firmato) Stalin". Cosa che mise gli stalinisti che chiamavamo PCGT in una furia nera, e i loro scagnozzi misero un muro insormontabile di muscoli e grasso tra noi e la classe.

Ma non disperdiamoci.

Quindi comincio a raccontarvi i momenti salienti di un anno del secolo scorso che ha scosso il mondo senza realmente cambiarlo, così come l'ho vissuto. Un anno in una società prima dei computer, senza telefono, quasi senza TV. Una società in cui i giovani leggevano libri, ascoltavano la radio e si parlavano a lungo. E si ascoltavano l'un l'altro. Il mio racconto  sarà costituita da dieci capitoli dall'ottobre 1967 all'ottobre 1968.

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21 ottobre-20 dicembre 1967: Viva la vittoriosa guerra del popolo!

Avevo appena compiuto 18 anni. Ero ancora lontano dalla maggioranza che all'epoca era 21 anni. Ero nella Khâgne* in un liceo nella periferia sud di Parigi. Hypokhâgne e khâgne erano le classi preparatorie per il concorso di ammissione alla scuola normale superiore della via Ulm. Ero khâgneux (studente di liceo letterario) perché maoista e non maoista perché khâgneux. Dopo il diploma di maturità, ottenuto nel 1966, avevo scelto questo percorso con i miei tre amici dell'ultimo anno di liceo - eravamo i quattro "neo-hegeliani di sinistra" che si schieravano con il nostro insegnante di filosofia nietzschiano - secondo l'unico criterio politico.

L'ENS (Scuola Normale Superiore) in via Ulm, che aveva visto tante glorie - come Sartre e Nizan - era la culla dell'Unione delle gioventù comuniste (marxiste-leniniste), UJCml, creata nel 1966 dai militanti dell'Unione dei studenti comunisti che avevano rotto con il PCF e che seguivano l'insegnamento di Louis Althusser. Il partito comunista francese, strettamente allineato con Mosca, era bloccato: ufficialmente contrario a De Gaulle dopo la presa del potere del 13 maggio 1958, fu confinato a un'opposizione verbale, dato che il fratello maggiore sovietico considerava il generale come un alleato nella lotta contro l'imperialismo USA, che si era trasformata, sotto la guida di Krusciov, in "convivenza pacifica". Questa collaborazione con l'odiata potenza che devastava il Vietnam dal 1963, occupando il Sud e bombardando il Nord, era stata denunciata dalla Cina di Mao, che aveva rotto con i "revisionisti" di Mosca nel 1964. Mao e i suoi seguaci avevano quindi scatenato la lotta contro i filo-sovietici nel partito e nello stato cinese, rappresentato da Liu Shaoqi e dalla sua "linea nera", mobilitando le masse. La rivoluzione culturale scoppiò nel 1966 tra gli studenti cinesi, trasformati in guardie rosse che sventolavano il Libretto rosso delle citazioni di Mao. I militanti comunisti di via Ulm, Sorbonne e Nanterre avevano deciso di seguire le loro tracce.

Quando arrivammo al liceo, nel settembre del 1967, sapevamo già dove saremmo andati. I maoisti erano l'unico gruppo politico strutturato in questa scuola, la cui popolazione era per noi una "pagina bianca" su cui scrivere il nostro discorso (come aveva detto Mao del popolo cinese). Siamo finiti nella cellula Lou Hsin (un grande scrittore cinese che era stato un compagno di strada del PC) con una mezza dozzina di altri liceali. Organizzati sul modo comunista, avevamo 3 strutture: la cellula, che riuniva i militanti, il cerchio, destinato alla formazione dei simpatizzanti, e il Comitato Vietnam di base, equivalente mao del Movimento della Pace per il PCF.

I mao avevano lanciato i Comitati Vietnam di base fin dalla creazione dell'UJCml. Nel marzo 1968, se ne conteranno 120 nella regione di Parigi e 150 nel resto della Francia. Questi comitati avevano lo scopo di fornire sostegno popolare alla guerra condotta dal popolo vietnamita contro l'imperialismo USA. Erano in rottura e in disaccordo, sia con il Comitato Vietnam Nazionale, composto da personalità e controllato dalla JCR, il gruppo guevaro-trotskista che diventerà la LCR poi l'NPA, che con il Comitato Nazionale d'Azione, creato e controllato dal PCF, tramite il suo Movimento per la Pace.

Per i mao, la guerra del Vietnam dimostrava la correttezza delle posizioni cinesi, dando torto sia ai sovietici e ai loro seguaci, che ai guevaristi e i loro sostenitori. Per noi, la morte di Che Guevara in Bolivia l'8 ottobre 1967, simboleggiava il fallimento della teoria del "foco(laio)" rivoluzionario acceso da un piccolo gruppo di guerriglieri paracadutati e totalmente isolati dalle masse. Questo tentativo di ripetere l'esperienza cubana fallì in Bolivia come altrove, dal Congo all'Argentina. I comunisti vietnamiti avevano scelto l'altra opzione: la guerra popolare prolungata, l'accerchiamento delle città partendo dalle campagne, contando principalmente sulle proprie forze, come i loro compagni cinesi avevano fatto con la lunga marcia e la Repubblica di Yenan. La vittoria vietnamita sull'esercito francese nel maggio 1954 a Dien Bien Phu diede il segnale ai militanti algerini, che lanciarono 6 mesi dopo la loro insurrezione, nota come la "Toussaint rouge", l'Ognissanti rosso. La loro guerra contro l'esercito degli Stati Uniti e le sue marionette del Sud Vietnamita era, ai nostri occhi, una lezione per tutti i popoli del mondo: è possibilile affrontare vittoriosamente l'impero più potente, purché ci affidiamo al popolo e lo aiutiamo a organizzarsi per questa lotta.

I più anziani di noi avevano vissuto la guerra algerina in età già adulta. Avevano vissuto nella loro carne il vero tradimento del Partito Comunista che, dopo aver votato i poteri speciali a Guy Mollet nel marzo 1956 (prima di tacere di fronte all'attacco franco-anglo-israeliano di Suez in ottobre e sostenere lo schiacciamento  dell'insurrezione di Budapest dai carri armati sovietici a novembre), ha rifiutato di organizzare la disobbedienza e/o la diserzione di giovani chiamati o richiamati** per andare alla sporca guerra coloniale. Risultato: Dei 1.800.000 soldati francesi inviati in Algeria, solo 886 disertarono, mentre 5.000 membri della Legione Straniera, principalmente tedeschi, lo hanno fatto. Lo slogan del PCF, "Pace in Vietnam", asse di questa "propaganda lacrimevole, disfattista e smobilitante" era solo un remake del sinistro "Pace in Algeria" che aveva giustificato i peggiori compromessi.

Ecco come il rapporto politico presentato nel primo congresso dei CVB nel marzo 1968 descriveva la situazione creata dai "pacifisti" comunisti: "Da sfilate inprocessioni, da processioni in passeggiate, di petizioni in firme, di appelli a versare qualche lacrima e qualche pullover in un vergognoso piagnisteo che tende a far passare l'eroico e combattente popolo vietnamita per un popolo martirizzato, un "povero" popolo che sopravvive ai colpi dell'invincibile macchina bellica americana solo con il "miracolo" di chissà quale stoicismo asiatico e aiuti materiali da paesi amici; dalle proteste tremolanti contro l'aggressione al belato impaurito in favore della pace, non importa di quale pace, di pace a qualsiasi prezzo: americana, divina o negoziata, purché sia ​​una pace, in breve: di male in peggio, la lotta antimperialista, il sostegno politico per il popolo vietnamita, l'avanguardia dei popoli che lottano per la loro liberazione, sprofonda in una palude di confusione, falsificazione e smobilitazione, dove tutti coloro che, spontaneamente, volevano unire le forze in una lotta veramente anti-imperialista, per un vero sostegno ai popoli oppressi trovavano  solo disgusto e fatica".

Il 21 ottobre 1967 era una giornata di azione contro la guerra americana in Vietnam decisa dai movimenti contro la guerra negli Stati Uniti. I movimenti francesi dovevano partecipare. Ognuno a modo suo: il CVN con un incontro di personalità, il Comitato Nazionale di Azione con una parata Repubblica-Bastiglia. Sotto un cielo grigio, ci siamo ritrovati quel sabato pomeriggio ai piedi della statua della Repubblica, comunisti, maoisti, cristiani ed altri. Volevamo davvero sfilare dietro gli striscioni chiedendo la "Pace in Vietnam"? Fuori discussione. Ad un certo punto, la consegna è passata nei ranghi dei maos: ci ripiegamo alla stazione della metropolitana di Temple. Detto, fatto. Arrivati ​​all'altezza del Monoprix di Rue du Temple, ci siamo voltati: ritirandoci, avevamo lasciato la piazza della Repubblica vuota come un giorno senza pane, i "revisionisti" sconcertati, si guardavano sbigottiti e si contavano, le masse li avevo appena abbandonati. Eravamo non so quante volte più numerosi di loro. In cinque mesi, dalla loro sfilata del 17 giugno, le loro truppe si erano sciolte come neve revisionista al sole rivoluzionario. Siamo poi partiti in corteo di corsa, abbandonando i belatori alla loro parata trascina scarpe - verso la Bastiglia, con Yves Montand e Simone Signoret.

Questa vittoria ci ha stimolati a prepararci per la prossima grande azione: la celebrazione del settimo anniversario della creazione del Fronte Nazionale per la Liberazione del Sud Vietnam, nato nella macchia nel 1960. Nel CVB del nostro liceo, avevamo creato un coro. C'era una ragazza vietnamita, con la quale abbiamo tradotto e adattato le canzoni della resistenza vietnamita. E il 20 dicembre, sul palco di una Mutualité stracolma, tutti vestiti di bianco e nero, abbiamo cantato queste canzoni: "Il nemico è accanito sul nostro paese / Per abbatterlo, uniamoci tutti! / Insieme, andiamo alla vittoria / Insieme, liberiamo il Sud Vietnam ! "

Quel 20 dicembre, un mercoledì, segnava l'inizio delle vacanze scolastiche. Avevo posticipato la mia partenza per tornare dalla mia famiglia il giorno dopo, a causa del comizio. Questo mi è valso una ramanzina di famiglia nel soggiorno. Uno dei miei zii ha riassunto la filosofia della tribù: "Gli operai, gli operai, che cosa ti frutterà sostenerli? Sai, sono degli ingrati". Tutto ciò mi ha lasciòimpeterrito. Avevo definitivamente scelto la mia famiglia: era il popolo delle risaie,  che era subentrato a quello dei gebel, le montagne  algerine.
Continua

N.d.T.
(*) L'hypokhâgne: il primo corso annuale, seguito da khâgne, del ciclo biennale accademico francese (chiamato «classe preparatoria alle grandi scuole», sezione di studi umanistici) il cui obiettivo è preparare gli studenti al concorso d'ingresso alla Scuola Normale Superiore di Parigi.
(**) Il servizio militare di leva in Francia era di 12 mesi dal 1946. Nel 1950 fu prolungato a 18 mesi. Durante la guerra di Argelia, fu esteso a 30 mesi e una parte dei coscritti (“appelés”= “chiamati”) che avevano già compiuto i loro 18 mesi furono richiamati in servizio (“rappelés”) per fare un anno in più.

Le ragazze dei nostri sogni










Fausto Giudice Фаусто Джудиче فاوستو جيوديشي Di madre tedesca e padre italiano, Fausto Giudice vive attualmente in Tunisia. Giornalista indipendente, scrittore e traduttore, si definisce militante zapatista. Partecipa come membro attivo a Tlaxcala (di cui è uno dei fondatori), la rete di traduttori per la diversità linguistica, di cui è stato uno dei co-fondatori. Da giovane ha fatto della canzone di Pietro Gori "Nostra patria è il mondo intero/nostra legge è la libertà/ed un pensiero/ribelle in cor ci sta" il suo inno personale e ha fatto suo il motto di Antonio Gramsci "Pessimismo della ragione, ottimismo della volontà". Nel 2012, ha creato le edizioni workshop19 a Tunisi.


Traduzione per TLAXCALA di Alba Canelli

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