15 ottobre 2017

A 30 anni dalla morte di Thomas Sankara:
Sulle tracce della rivoluzione africana

Il nome di Thomas Sankara ancora oggi viene invocato in Africa quando si parla di riscatto e riaffermazione del continente: l'ex leader burkinabé tuttavia, a distanza di 30 anni è conosciuto anche in Europa e sono i suoi amici ed i suoi familiari a lavorare ogni giorno per farne conoscere la sua personalità ed il suo pensiero politico.
E' il 15 ottobre del 1987: nelle strade di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, blindati e carri armati presidiano ogni incrocio ed i militari fanno irruzione in tutte le sedi governative; in una stanza di un palazzo del centro della città, due compagni d’armi discutono animatamente: si tratta di Thomas Sankara e Blaise Compaoré, rispettivamente presidente e vice – presidente del paese africano e, ad un certo punto, il secondo spara al primo due colpi di pistola che gli risultano fatali. E’ la fine della rivoluzione africana per eccellenza, ma è l’inizio anche di un mito che ancora oggi nel continente nero è sinonimo di speranza mentre, al di là del Sahara e del Mediterraneo, nella vecchia Europa per alcuni inizia ad avere un valore più universale e non solo legato all’Africa; da quella sera di quasi trent’anni fa, sono cambiate molte cose sia nel Burkina Faso che nell’intero contesto internazionale ma, per certi aspetti, quei quattro anni di presidenza di Thomas Sankara sembrano in realtà ancora attuali e squisitamente contemporanei, per non dire forse futuristici.
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Alla sua morte l’ex presidente burkinabé ha lasciato soltanto un conto in banca di 150 Dollari, la sua vecchia casa di famiglia ed una chitarra: sembra, quest’ultima, un oggetto frutto di una formazione non africana, di un Sankara che, al pari di molti suoi conterranei, ha appreso le nozioni della sua rivoluzione nella Parigi del 1968 (lui che, in effetti, essendo nato nel 1949 entrerebbe a pieno nella generazione sessantottina) prima di portare nel cuore del Sahel le sue idee sull’uguaglianza e sull’importanza per il suo popolo di affrancarsi dal colonialismo; ed invece no: l’unica grande città che Sankara ha conosciuto fino ai 20 anni è quella di Bobo-Dioulasso, la seconda del paese, lì dove è riuscito ad ottenere il diploma e, successivamente, la sua adolescenza non è trascorsa tra corsi di laurea e master in college del vecchio continente bensì, ad inizio degli anni 70, nei campi d’addestramento militari del Madagascar e l’unica capitale che ha avuto modo di frequentare è quell’Antanarrivo sconvolta dalle proteste popolari contro Philibert Tsiranana. 

E’ qui che viene a contatto con le idee marxiste, è qui che sente gli echi provenienti dal non tanto lontano SudAfrica dove i neri iniziano a rivendicare i propri diritti ed è qui, probabilmente, che la sua formazione inizia ad incastrarsi perfettamente con il suo carattere tipico dell’etnia Moussi, caratterizzata da un forte attaccamento al territorio ed alle tradizioni figlie dell’antico omonimo impero distrutto dall’avanzata coloniale francese.


Addis Abeba, 29 luglio 1987: Thomas Sankara, davanti l’assemblea dell’Organizzazione per l’Unione Africana, dichiara esplicitamente di non voler pagare il debito del suo paese. Il leader burkinabé verrà ucciso due mesi dopo questo discorso

Il percorso di affrancamento dal colonialismo, prima ancora di farlo intraprendere al suo paese, Sankara lo affronta da solo e lo compie nella sua gioventù: l’Africa, la rivalutazione dei suoi costumi, della sua popolazione, la sua emancipazione dall’Europa e da un debito verso i paesi occidentali che ne impedisce qualsiasi sviluppo e qualsiasi tentativo di ritrovare una via autonoma interna al continente, sono le tematiche che il leader burkinabé ha perennemente nei suoi pensieri e che si trasformano in azioni quando il generale raggiunge il potere dopo anni nei quali, all’interno dell’esercito a cui apparteneva, ha lavorato per formare un gruppo di compagni d’armi con cui condividere stesse visioni del mondo e dell’Africa. Tra di loro, anche Blaise Compaoré: Sankara e Compaoré si conoscono da tempo, dal 1971 secondo i bene informati, i due vengono descritti come amici tanto da condividere anche serate tra cene e musiche suonate da quella chitarra che diventerà poi tra i pochi oggetti lasciati dallo stesso Sankara dopo la sua morte; ma i due sono anche a capo del ROC (Regroupement des Officiers Communistes), nato nel 1976 e che da quel momento inizia a far pressioni al resto dell’esercito ed al potere politico per attuare importanti riforme ispirate al socialismo.

Ed ecco che si ritorna a quel 15 ottobre 1987: Sankara è al potere da quattro anni, da tre ha trasformato il suo paese da Alto Volta a Burkina Faso, nome che si distanzia da quello coloniale e che nelle lingue Moussi e Bobo si traduce in ‘Territorio degli uomini integri’, ma in quella sera è proprio Compaoré ad ordinare la fine di quell’esperienza rivoluzionaria guidando il colpo di Stato fatale all’esecutivo di Sankara; i due vengono visti all’interno di un palazzo governativo della capitale e l’unica cosa non chiara è soltanto la dinamica: c’è chi dice che Compaoré abbia sparato appositamente, il diretto interessato ha sempre invece parlato di colpi partiti accidentalmente, fatto sta però che la stessa vita di Thomas Sankara finisce in quel momento.

Thomas Sankara gioca a calcio con alcuni ragazzi di Ouagadougou nei pressi del palazzo presidenziale

Il suo ex compagno d’armi va al potere e cerca di cancellare ogni ricordo di quell’esperienza, ma se il suo governo ritorna ad attuare misure volte ai pagamenti dei debiti ed all’avvicinamento con l’ex madrepatria francese, allo stesso tempo però il mito di Sankara continua a vivere e ad alimentarsi nella società burkinabé ed in quella africana; cosa resta quindi della rivoluzione del generale che ha scosso improvvisamente la politica del suo paese? E’ una domanda che sono in tanti a porsi oggi, sia tra i sostenitori che tra i detrattori dell’ex presidente; da quella tragica serata del 15 ottobre 1987, non sono solo cambiate le vite di tanti burkinabé ma, soprattutto ed in primo luogo, quelle degli amici e dei familiari più stretti di Thomas Sankara. Etienne Zongo è stato fino alla fine un servitore fedele dell’ex presidente: dopo quel giorno, lui assieme alla sua famiglia ha fatto i bagagli ed ha lasciato il paese rifugiandosi in Ghana da dove ha provato ad organizzare un contro colpo di Stato, senza però grandi esiti; pur tuttavia, il fido aiuto del rivoluzionario burkinabé ha avuto nei decenni a seguire un ruolo di primo piano per la diffusione del mito di Sankara nel resto del mondo. 

E’ stato lui a rivelare molti aneddoti della sua vita, delle sue passioni ma anche dei progetti futuri, fino ai pensieri inquietanti a pochi giorni dal golpe: “Io avevo intuito che Compaoré stava organizzando qualcosa – ha dichiarato in un documentario curato da Christophe Cupelin – Lo sapeva anche Thomas, ma alla fine forse non ha voluto crederci fino in fondo”. Zongo è tornato nel suo paese, ma soltanto dopo esser passato di recente a miglior vita: riposa in un cimitero a pochi passi dalla capitale, portando con sé tanti suoi aneddoti come quello inerente i primi anni 90 quando, sapendo di essere in pericolo anche in Ghana per via delle tante verità da lui sapute, l’allora presidente ghanese Rawlings lo nascose facendolo lavorare come pilota della Ghana Airways.


Come Zongo, anche la moglie di Sankara è subito partita verso l’esilio dopo la morte del marito: Mariam Sankara, assieme ai figli Philippe ed Auguste, sono subito andati in Gabon per il timore di ritorsioni della nuova leadership e poi, da lì, hanno raggiunto Montpellier nel sud della Francia; la moglie per anni ha vissuto nell’anonimato, tutelando anche la privacy dei figli che al momento della morte del padre avevano cinque e tre anni. Mariam è tornata due volte in Burkina Faso, la prima nel 2007 e la seconda nel 2015 ed in entrambi i casi è stata accolta in aeroporto da migliaia di burkinabé; oggi lei, che ha salutato positivamente le proteste che nel 2014 hanno tolto il potere a Compaoré, vive in primo luogo con l’obiettivo di ottenere giustizia per il marito a partire dalla battaglia per la reale identificazione del corpo dell’ex presidente ufficialmente seppellito ad Ouagadougou. Nei mesi scorsi, dalla tomba di Sankara sono stati prelevati i resti dell’ex leader ma né in Francia e né in Spagna gli esiti delle nuove analisi hanno potuto fare chiarezza circa l’identità del corpo seppellito nella capitale burkinabé; Mariam spera di poter tornare a vivere definitivamente nel suo paese, escludendo però qualsiasi ipotesi di partecipazione ed attività politica.


Mariam Sankara, moglie del leader burkinabé, accolta da migliaia di cittadini all’aeroporto di Ouagadougou nel maggio 2015 

Philppe ed Auguste Sankara invece, vivono negli USA dove entrambi risultano essere laureati; intervistati da un quotidiano africano qualche anno fa, i due figli dell’ex presidente hanno dichiarato di non avere intenzione di far politica, anche se non dimenticano le proprie origini e sperano di poter visitare in tranquillità un giorno il Burkina Faso. Vive ancora nel paese africano invece Valentin Sankara, uno dei fratelli di Thomas; è lui a curare la casa di famiglia, a conservare i ricordi e le foto più care del fratello, così come è lui ogni tanto a strimpellare con la chitarra dell’ex presidente burkinabé. Ma in tutto erano dieci tra fratelli e sorelle: oltre Thomas, negli anni è venuta a mancare  anche Mary, mentre Pascal, Paul, Lydia e Pauline lavorano negli USA, con Lydia che, secondo quanto riportato da Jeuneafrique.com, alcuni anni fa avrebbe anche lavorato per la Banca Mondiale. In Burkina Faso, oltre Valentin, vivono Colette, Odile Blandine; Odile è un’attrice, in passato ha anche recitato in Europa, mentre Blandine è forse la sorella più impegnata in giro per l’Africa e per il mondo per far conoscere la storia del fratello, alcune volte è stata anche in Italia durante conferenze dedicate alla figura di Thomas.


Valentin e Blandine Sankara nella casa di famiglia mostrano le foto ed i ricordi del fratello Thomas

Amici, parenti, figli, tutti accomunati dal ricordo di quella tragica serata del 1987, in giro poi tra Africa, Usa ed Europa dopo l’omicidio del loro familiare più famoso: una dispersione che, al tempo stesso, è riuscita però a mandare avanti il nome di Sankara tanto da alimentarne il mito e farlo sopravvivere ai tentativi di Compraoré di cancellare ogni traccia di quei quattro anni di rivoluzione. A differenza dei Gheddafi in Libia, è difficile che in Burkina Faso in futuro un Sankara possa avere nuovamente un ruolo attivo in politica, pur tuttavia l’unione di questa grande famiglia sopravvissuta nonostante esili e lontananze forzate sta contribuendo a far diffondere l’opera dell’ex leader africano e tutto il continente e non solo, ancora oggi, guarda a quell’esperienza di quel governo come un riferimento per il futuro. Lo stesso Burkina Faso, a distanza di trent’anni, porta nel proprio animo le tracce di quella rivoluzione: il paese nel 2014 è sceso in piazza per cacciare Compraoré, la sua opinione pubblica è tra le più attive della regione con decine di quotidiani e giornali nati negli ultimi anni e con, soprattutto, l’orgoglio burkinabé di poter annoverare tra i suoi figli uno degli uomini politici più importante del secondo dopoguerra.

Mauro Indelicato - L'Intellettuale Dissidente

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