23 febbraio 2016

Haiti: In strada contro i corrotti e gli invasori


La ribellione popolare haitiana ha impedito il "golpe elettorale" che aveva preparato il Governo di Michel Martelly, con l'appoggio della Casa Bianca, per perpetuare al potere gli eredi del regime di François Duvalier. Il secondo turno doveva realizzarsi il 22 gennaio - inizialmente previsto per il 27 dicembre - per eleggere il successore di Martelly che ha concluso il suo mandato domenica 7 febbraio. L'opposizione di sinistra denuncia l'occupazione coloniale che patisce l'isola dall'intervento militare di Stati Uniti, Canada, Francia e Cile che rovesciò il presidente eletto Jean-Bertrand Aristide, il 29 febbraio 2004. Mesi dopo le Nazioni Unite, che non condannarono l'intervento militare, insediarono la Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti (MINUSTAH) con più di 7.000 militari effettivi, in maggioranza appartenenti a paesi latinoamericani come Brasile, Uruguay e Argentina (che apportano metà del contingente), ma anche di Bolivia, Cile, Ecuador, El Salvador, Colombia, Paraguay, Perù e Guatemala.

La popolazione haitiana rifiuta decisamente una presenza militare che non ha richiesto e che genera situazioni di violenza permanenti.

Le truppe di occupazione sono state accusate in reiterate occasioni di violenze su bambine e bambini haitiani, di reprimere azioni di protesta, di proteggere la brutale corruzione imperante e gli interessi degli Stati Uniti. Uno dei fatti più gravi è stata l'epidemia di colera causata dai soldati nepalesi della MINUSTAH, con un saldo di 900.000 haitiani infettati e 9.000 morti.

Nel 1697 la Spagna cedette alla Francia la parte occidentale dell'Isola La Española in cui era arrivato Colombo tre secoli prima, costituendo la colonia Saint Domingue. I francesi stabilirono un ferreo sistema coloniale dove 500.000 schiavi africani lavoravano nelle piantagioni di canna da zucchero. L'isola fu anche un centro del traffico di schiavi per altre colonie americane. La colonia era responsabile di un terzo degli introiti della Francia.

Durante tutto il periodo coloniale ci furono rivolte di schiavi che scappavano dalle piantagioni verso le montagne, dove stabilirono comunità libere «cimarronas» resistendo agli schiavisti. Poco dopo la Rivoluzione francese prese il via nell'isola un movimento di liberazione degli schiavi guidato da Toussaint-Louverture (considerato il più importante dirigente della rivoluzione haitiana), che conseguì importanti vittorie militari. La lunga lotta di emancipazione iniziata nel 1791 culminò nel 1804 quando Jean-Jacques Dessaline dichiarò l'indipendenza, chiamando l'ex colonia Haiti. Fu la prima rivoluzione dell'America Latina che riuscì a sradicare la schiavitù.

Ma le potenze dell'epoca non erano disposte ad accettare una rivoluzione di schiavi. Al nuovo paese imposero blocchi economici e l'isolamento politico affinché l'esempio non si diffondesse nella regione. Gli Stati Uniti riconobbero l'indipendenza di Haiti nel 1861. La Francia lo fece in cambio di un sostanzioso «indennizzo» per i suoi coloni.

Tuttavia, i creoli che lottavano per l'indipendenza dalla corona spagnolo ebbero l'appoggio dei rivoluzionari haitiani. Nel 1816 S.Bolivar organizzò, con il sostegno del Governo Haitiano, la spedizione con la quale giunse nell'isola Margarita per iniziare la sua campagna di liberazione.

La lunga storia coloniale si aggiornò con l'occupazione degli USA, dal 1915 fino al 1934, per evitare che il dirigente rivoluzionario Rosalvo Bovo prendesse il potere. La presenza dei marines ad Haiti facilitò il saccheggio delle casse haitiane (la Banca nazionale si convertì in succursale della Citybank) e la repressione contro i contadini, mentre le imprese statunitensi approfittarono dei bassi salari dei coltivatori di canna.

Con l'appoggio della Casa Bianca, Duvalier giunse alla presidenza nel 1957, fino a quando gli successe suo figlio Jean Claude (Baby Doc) nel 1971. Il suo fu un regime dittatoriale sostenuto da gruppi paramiltiari («tonton macoutes») e da una borghesia nata al suo riparo. La repressione assassinò circa 150.000 haitiani. Ma nel 1986 una insurrezione lo obbligò all'esilio, dando inizio a un periodo di instabilità con forti lotte popolari. Il sacerdote salesiano Aristide vinse le elezioni del 1991 alla testa del movimento Lavalas, ma fu rovesciato sei mesi dopo da un golpe guidato dal generale Raoul Cedrás.

Aristide ritornò al governo nel 1994, «protetto» da truppe multinazionali guidate dagli Stati Uniti (che avevano finanziato il golpe contro di lui) e consegnò il potere al suo amico René Preval che vinse le elezioni del 1995. Nel 2000, Aristide vinse una nuova presidenza con oltre il 90% dei voti. Ma il suo governo si avvicinò a Cuba e al Venezuela di Hugo Chávez, guadagnandosi il veto di Washington. Gruppi armati di militari duvalieristi si sollevarono nel 2003 e a febbraio 2004 giunse l'invasione militare che lo cacciò e aprì le porte alla MINUSTAH.

Il terremoto del 20 gennaio 2010, nel quale morirono oltre 300.000 persone, mise allo scoperto la brutale corruzione dell'aiuto internazionale e il ruolo militarista degli Stati Uniti, che hanno mobilitato centinaia di navi da guerra e migliaia di soldati per affermare il loro controllo dell'isola.

Dopo undici anni di occupazione sotto mandato delle Nazioni Unite, la comunità internazionale può esser sicura del suo fallimento ad Haiti. E' un fallimento soprattutto dei governi progressisti della regione, in particolare quello brasiliano, che si è impegnato ad affermare la sua presenza militare nell'isola per proiettarsi come «attore globale» e ottenere conseguire un posto permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma è un fallimento anche dell'Uruguay, della Bolivia, di Ecuador e Argentina, che avrebbero dovuto ritirare le loro truppe già da molto tempo.

La popolazione è scesa nelle strade per due ragioni principali. La prima è che rifiuta il regime duvalierista/imperialista. Martelly è erede del regime dei Duvalier e si sostiene solo per l'appoggio di Washington. Perfino una parte della borghesia haitiana rifiuta la continuità del suo partito e reclama un minimo di sovranità nazionale.

La seconda è la crisi economica che sta provocando carestie in quattro dei dieci dipartimenti, aggravata dall'espulsione di migranti haitiani dalla vicina Repubblica Dominicana, dove sono andati in cerca di lavoro.

Ma le grandi ribellioni non nascono da sole. Negli ultimi anni assistiamo a una crescita esponenziale delle organizzazioni popolari di base che reclamano la fine dell'occupazione. Queste hanno bloccato il «golpe elettorale» e questa fine settimana misureranno la loro forza nelle strade per ridare voce al protagonismo del popolo haitiano e alla definitiva sconfitta dei corrotti e degli invasori. 





Per concessione di Resistenze.org
Fonte: http://www.naiz.eus/es/hemeroteca/gara/editions/2016-02-07/hemeroteca_articles/haiti-a-la-calle-contra-los-corruptos-y-los-invasores
Data dell'articolo originale: 07/02/2016
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=17316 

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