Sulla scia degli attentati terroristici perpetrati da sedicenti agenti di Al
Qaeda che hanno ucciso 12 persone, tra cui otto giornalisti della
rivista satirica francese Charlie Hebdo, l'elite e i media mainstream
occidentali, che esprimono la loro compassione e l'indignazione, non fanno altro che evidenziare la loro compiacenza nei confronti del
terrorismo di stato occidentale e israeliano.
Di Julie Lévesque
Mondialisation
Di Julie Lévesque
Mondialisation
Prima di esplorare più da vicino la questione, va osservato che gli
attentati di Parigi mostrano segni che indicano la possibilità di un
attacco di False Flag (falsa bandiera), ad esempio, la carta d'identità lasciata
in macchina da un terrorista. Questa ipotesi, però, non è oggetto di analisi e viene esclusa a priori, completamente ignorata dai media tradizionali.
Inoltre, uno dei presunti terroristi, Kouachi Cherif, ha detto ai media
francesi che era stato finanziato dall'ex leader di Al Qaeda, Anwar
Al-Awlaki, un religioso cittadino statunitense, che ha cenato al Pentagono pochi mesi dopo l'11
settembre.
Secondo il tenente colonnello Anthony Shaffer, cittadino degli Stati
Uniti, al-Awlaki "ha lavorato come triplo agente ed è stato una risorsa dell' FBI
prima dell'11 settembre" (Kurt Nimmo, FBI ammette che l'ospite al Pentagono Al-Awlaki ha lavorato per loro, Infowars 2 AGOSTO 2012).
Dopo gli attacchi mortali del 7 gennaio 2015, i media occidentali, in
particolare i media francesi e canadesi, annunciano in un modo molto etnocentrico che "il mondo è in lutto" e piange la morte dei giornalisti francesi. Questo tragico evento è da condannare, ma deve essere considerato in un contesto appropriato.
Nei paesi in cui la Francia ha bombardato i civili, attraverso la NATO e le
invasioni militari guidate dagli Stati Uniti, e dove i terroristi
sostenuti dall'Occidente stanno uccidendo civili innocenti (Libia,
Siria), le popolazioni vivono costantemente il lutto dei loro cari. Queste morti non vengono menzionate. Il mondo occidentale non è "il mondo" e "non tutti sono Charlie", contrariamente a ciò che i media ci portano a credere.
Molte redazioni della rete pubblica CBC si sono mostrate con delle foto con la scritta "Sono Charlie"
Nell'ultimo attacco contro Gaza, 17 (*) giornalisti palestinesi sono stati uccisi dall'esercito israeliano. Questi giornalisti sono stati uccisi al fine di sopprimere la verità sulle atrocità israeliane. Non abbiamo visto giornalisti occidentali con poster di solidarietà.
Prima delle decapitazioni di James Foley e Steven Sotloff, decine di
giornalisti sono stati uccisi in Siria da terroristi armati, addestrati e
finanziati dai paesi della NATO e dai loro alleati democratici come
l'Arabia Saudita. Centinaia di civili sono stati decapitati prima di loro, circa 200 in un villaggio, secondo un rapporto di Human Rights Watch. (Vedere Julie Lévesque, Lo Stato islamico: terroristi "pro-democrazia" sostenuti dagli Stati Uniti e addestrati a decapitare, Mondialisation.ca 19 settembre 2014).
L'indignazione è stata, tuttavia, limitata ai giornalisti occidentali decapitati.
La guerra in Siria è stata molto letale per i giornalisti: 153 morti,
secondo alcune stime, grazie al terrorismo sostenuto dalla NATO. Anche in questo caso, nessun giornalista occidentale ha brandito cartelli di compassione per i giornalisti siriani.
Il paese più letale al mondo per i giornalisti, invece, è stato l'Iraq durante l'occupazione degli Stati Uniti. Secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ)
La guerra condotta dagli Stati Uniti in Iraq ha provocato la morte di
un numero record di giornalisti e ha rimesso in discussione alcune percezioni comuni sui rischi di copertura dei conflitti. Ad esempio, molti giornalisti sono stati uccisi in omicidi mirati in Iraq, in circostanze legate al combattimento [...]
Secondo una ricerca del CPJ, almeno 150 giornalisti e 54 operatori di sostegno sono stati uccisi in Iraq dopo l'invasione americana, da marzo 2003 alla dichiarata fine della guerra, nel dicembre 2011.
I morti in Iraq superano di gran lunga qualsiasi altro bilancio documentato dalla stampa in tempo di guerra. La
CPJ, fondata nel 1981, ha registrato la morte di 58 giornalisti durante
la guerra civile algerina dal 1993 al 1996, 54 morti nella guerra civile
non dichiarata in Colombia, che ha avuto inizio nel 1986, e 36 morti
nel conflitto dei Balcani 1991-1995 [...]
Le forze degli insorti in un modo o nell'altro sono state responsabili della morte di 110 giornalisti e 47 operatori dei media in Iraq. Le azioni delle forze statunitensi, tra sparatorie e attacchi aerei, hanno portato alla morte di 16 giornalisti e sei operatori dei media. (Frank Smyth, Iraq war and news media: A look inside the death toll, Committee to Protect Journalists, 18 marzo 2013)
I dati del Brussells Tribunal relativi a omicidi di giornalisti in Iraq sono molto più elevati:
Secondo le statistiche del Brussells Tribunal, almeno 404 giornalisti sono stati uccisi in Iraq dall'invasione Usa del 2003, tra i quali 374 iracheni. L'impunità in Iraq è molto peggio che in qualsiasi altra parte del mondo. (Dirk Adriaensens, The Killing of Journalists in Iraq, BRussells Tribunal 4 gennaio 2014)
Tra i morti, due giornalisti - un iracheno, Yasser Salihee e uno statunitense, Steven Vincent - che stavano indagando sugli squadroni della morte
appoggiati dagli Stati Uniti in Iraq.

Yasser Salihee
Il 24 giugno Yasser Salihee, un corrispondente speciale iracheno per
l'agenzia di stampa Knight Ridder, è stato ucciso da un singolo proiettile
alla testa mentre si avvicinava ad un posto di blocco istituito vicino
alla sua casa in Baghdad ovest da truppe Usa e irachene. Il colpo è stato sparato da un cecchino americano. Secondo testimoni oculari, nessun colpo di avvertimento è stato sparato.
L'esercito Usa ha detto che sta indagando sull'omicidio di Salihee. Ma il Knight Ridder ha già dichiarato che non vi è ragione di credere che la sparatoria fosse legata al suo lavoro. Al contrario, il suo ultimo incarico dà motivo di sospettare che lo fosse.
Negli ultimi mesi, Salihee aveva raccolto prove che le forze irachene appoggiate dagli Stati Uniti avevano condotto esecuzioni extragiudiziali di presunti membri e sostenitori della resistenza contro l'occupazione. La sua indagine era basata su un reportage del New York Times Magazine di maggio e denunciava come l'esercito americano aveva modellato il commando di polizia del ministero dell'Interno iracheno, chiamato Brigata Lupo, prendendo come modello gli squadroni della Morte creati in El Salvador negli anni '80 per schiacciare l'insurrezione della sinistra. (James Cogan, Journalist killed after investigating US-backed death squads in Iraq, World Socialist Web Site, 1 luglio 2005)
Il giornalista americano Steven Vincent è stato rapito e ucciso il 2 agosto a Bassora, città meridionale irachena dove ha lavorato come autore e blogger freelance. Il sospetto per questo omicidio, il primo di un giornalista americano in Iraq, non si concentra su Al Qaeda o sui ribelli sunniti, ma sulla polizia del governo di maggioranza sciita con sede a Bassora, sostenuta dagli Stati Uniti e dalle forze di occupazione britanniche. (Patrick Martin, US journalist who exposed Shiite death squads murdered in Basra, World Socialist Web Site, 5 agosto 2005)
Steven Vincent
Per ragioni sconosciute, il giornalista iracheno Yasser Salihee, non è stato incluso nella lista del CPJ.
Il Brussells Tribunal riferisce inoltre che molte morti non sono segnalate dal CPJ e Reporters senza Frontiere.
La spiegazione riflette il contrario di ciò che accade con la copertura
emotiva e di parte dell'omicidio di Charlie Hebdo, vale a dire minimizzando la morte dei giornalisti iracheni.
E' un fatto ben noto che dopo l'invasione del 2003, i media corporativi hanno sempre minimizzato i dati sulla mortalità. L'omicidio di giornalisti non fa eccezione.
E' ovvio che i gruppi che difendono i diritti dei
giornalisti sono riluttanti a dire esattamente quanti dei loro colleghi
sono stati uccisi durante l'occupazione spietata degli Stati Uniti e della
Gran Bretagna, un'occupazione che è ancora in corso. Questi gruppi quindi riducono i criteri per l'inclusione nei loro elenchi. Questo è un atteggiamento discutibile, soprattutto perché si tratta di colleghi professionisti ....
Iraq è stato il L'Iraq è stato il paese più letale per i lavoratori dei media, nel 2003,
2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2010, 2011 e il 2013 (Adriaensens, op.
Cit.)
Quasi 400 morti giornalisti iracheni e tuttavia i nostri compassionevoli professionisti dei media non hanno mai mostrato segni di solidarietà.
Note
(*) L'articolo originale menzionava 13 giornalisti palestinesi uccisi durante l'assalto finale a Gaza. Secondo
diverse fonti di notizie, che sarebbe in realtà 17. Secondo il CPJ 16
giornalisti e 4 operatori dei media sono stati uccisi in "Israele e nei
territori occupati", come se si trattasse di un unico paese. Reporters sans frontières ha registrato solo 7 morti in Palestina.
Tradotto da Alba Canelli per Tlaxcala
Tradotto da Alba Canelli per Tlaxcala
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