«Perché andare a votare governatori che non governano più niente,
visto che le decisioni più importanti ormai si prendono altrove, neppure
a Roma ma in Europa
o alla Borsa di Wall Street?». Per Mauro Barberis, il deserto
dell’astensionismo che ha reso «risibile, se non ridicola» la
legittimazione dei nuovi presidenti regionali dell’Emilia e della
Calabria, è l’ennesimo sintomo della rottura, minacciosa e inquietante,
tra cittadini ormai ridotti all’impotenza e istituzioni a loro volta
confinate nel limbo dell’irrilevanza, costrette a imporre tasse e
tagliare servizi. «Siamo ormai alla disaffezione, non semplicemente per
il voto o per la politica, ma per la democrazia».
Il problema, scrive Barberis, non è solo che «con queste percentuali di
votanti, può vincere chiunque». Il guaio è che, chiunque vinca, non
sarà mai pienamente legittimato. Né potrà governare davvero, perché
costretto a subire decisioni imposte dall’alto, a livello di Unione Europea. E tutto questo, «nell’indifferenza dei cittadini, naturalmente».
Su “Micromega”,
Barberis punta il dito anche contro «il fallimento delle Regioni, che
da cardine del federalismo all’italiana si sono trasformate in
carrozzoni costosi e inefficienti», un fardello ben più gravoso di
quello delle Province, da poco “rottamate a metà”
(eliminate le elezioni, non gli enti). Oggi, secondo Barberis, le
Regioni volute con forza dal Pci di Berlinguer per distribire
territorialmente e democratizzare il governo dello Stato «non le difende
più nessuno, neppure la Lega di Matteo Salvini, ormai convertita in un
partito nazionalista alla Le Pen». Le Regioni sono state travolte dagli
scandali? «Ma lo sono state ancor più dalla crisi
finanziaria», sottolinea l’analista di “Micromega”: gli enti locali, da
cui dipende la delicatissima gestione di un servizio-chiave come quello
sanitario, sono state letteralmente prese al laccio dalla politica
di austerity, che impone un drammatico ridimensionamento della
protezione sociale, a scapito in primo luogo dei cittadini più
bisognosi, quelli che non possono permettersi cliniche private.
L’altra grande ragione del dilagante astensionismo, secondo Barberis,
è «la liquefazione dei grandi partiti radicati sul territorio, ormai
sostituiti da comitati elettorali all’americana che però non mobilitano
gli elettori». Quale che sia il risultato del voto, il discorso riguarda
soprattutto l’ultimo partito rimasto, il Pd renziano, che «nonostante
gli infuocati comizi del leader in Emilia, porta al voto percentuali di
elettori minori che in Calabria». Al di là dell’analisi dei flussi
elettorali contingenti, compreso il “boicottaggio” ispirato dalla Cgil
presa a schiaffi dal premier, «l’impressione è che quanto Renzi perde a
sinistra, attaccando i sindacati, non lo riguadagna a destra,
abbracciando la Confindustria». Triste risultato della politica-spettacolo, che Bernard Manin chiama “democrazia del pubblico”: «Proporre slogan cool, o smart, o trendy, al solo fine di mantenere il potere
o di conquistarlo, senza uno straccio di progetto per il futuro».
Strada segnata? Declino elettorale per tutte le democrazie occidentali?
Non proprio: «C’è un abisso di cultura e di lungimiranza politica
fra Renzi che attacca l’articolo 18 per racimolare qualche voto di
destra e Obama che, imparando da una sconfitta, regolarizza cinque
milioni di immigrati pensando al futuro del proprio paese».
Fonte. Libreidee
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