Nel suo classico romanzo “1984”, lo scrittore
britannico del 20° secolo George Orwell dipingeva uno stato repressivo
governato da un partito unico, che cercava di giustificare ed estendere
il suo dominio totale attraverso la guerra perpetua contro nemici
lontani, usando la tattica di riunire le masse “intorno alla bandiera”.
Non era mai del tutto chiaro quali fossero i motivi delle guerre, e le
identità di alleati e nemici venivano scambiate avanti e indietro
secondo le necessità contingenti del partito. Inoltre non era affatto
chiaro quanto la guerra fosse reale, aldilà della propaganda di stato.
Mentre in teoria la distopia di Orwell era
fantastica, in pratica egli stava documentando le pratiche essenziali
delle elite dominanti degli stati moderni. E, sebbene il libro non
voglia essere un manuale, si potrebbe a ragione sospettare che le elite
americane della politica estera usino 1984 come tale, soprattutto
riguardo al Medio Oriente.
La settimana scorsa il presidente Obama
ha annunciato una “strategia” per contrastare l’istituzione e
l’espansione dell’auto-proclamato Stato Islamico di Iraq e Siria (ISIS).
Questa notizia era stata preceduta da diverse settimane di insistente
isterismo mediatico, secondo cui i militanti islamici dell’ISIS avevano
intenzione di far scoppiare bombe nelle maggiori città americane. A quel
punto l’ISIS aveva già conquistato la notorietà per i massacri di
cristiani, yazidi e poliziotti iracheni. La comparsa di video dalla
veridicità dubbia che mostravano la presunta decapitazione di due
giornalisti americani, era stata la ciliegina sulla torta che doveva
servire a suscitare abbastanza indignazione popolare per sollecitare
Obama ad “agire” contro l’ISIS.
Ogni discussione seria sull’origine del
gruppo terroristico si è persa, forse deliberatamente, in mezzo alla
propaganda bellica. Piuttosto ci hanno lasciato credere che l’ISIS sia
emerso spontaneamente dai deserti polverosi della Mesopotamia, un po’
come Atena balzata fuori dalla testa di Zeus. Nella realtà dei fatti,
l’ultimo spauracchio dell’America è stato armato, addestrato e
finanziato dallo sforzo combinato degli stati arabi del Golfo e della
CIA, proprio come Al-Qaeda è il frutto di un programma pluridecennale
segreto statunitense per controllare l’Eurasia e i suoi oleodotti.
Il fatto che l’ISIS sia il prodotto diretto
dei continui sforzi americani per destabilizzare e cacciare il
presidente siriano Bashar al-Assad, armando varie fazioni mussulmane
militanti (Vedi: Standing with Syria ), non viene riconosciuto dal partito della guerra americano.
Di fatto, stranamente, la strategia di Obama
mira a continuare questa politica di armamento e rafforzamento dei
ribelli in Siria, purché si dichiarino “moderati”.
Ovviamente l’intera strategia della Casa
Bianca ci induce a chiederci se ci sarà in effetti alcun conflitto
reale. I nobili ribelli amanti della libertà (in realtà mangiatori di
organi umani (vedi: Independent.co.uk/news/world/ ),
quelli che Obama vuole armare ulteriormente, hanno dichiarato una
tregua con l’ISIS e insistito che non combatteranno la loro controparte
più famigerata. Vedi: ISIS and moderate Syrian rebelds strike truce…..
L’altro maggiore alleato mussulmano
dell’America, la Turchia, rifiuta di concedere l’uso del suo territorio
per supportare una campagna aerea contro l’ISIS. Di fatto, la risposta
di Obama consiste in poco più di qualche attacco aereo frammentario
fatto per i notiziari TV, e in un po’ di vacua retorica.
L’elemento guida di questa finta crociata è il tentativo continuo di rovesciare Assad e prendere Damasco.
Si potrebbe pensare che, se gli USA volessero
seriamente porre fine alla “minaccia” dell’ISIS, scenderebbero a patti
con Assad, ma Obama insiste che non collaborerà con il leader siriano.
Altri si spingono perfino oltre, come i senatori repubblicani John
McCain e Lindsey Graham, appoggiati dai sionisti, che vedono nell’ISIS
l’opportunità di colpire l’obiettivo che desiderano, ovvero lo stesso
Assad, facilitando così l’ascesa al potere in Siria dei jihadisti
“moderati” e il massacro certo di sempre più cristiani, alawiti e altre
minoranze.
La “guerra” di Obama contro l’ISIS è
l’ennesimo caso di ciò che il filosofo francese Jean Baudrillard
identificava come un simulacro, una copia senza originale come nella
tradizione di Disneyland. Allo stesso modo, Orwell osservava che non
importa se la guerra sia vera o no. La guerra in sè potrebbe
oggettivamente non esistere nemmeno; ciò che importa è solo che le masse
la credano vera e ricavino da tale percezione qualche conforto emotivo e
qualche distrazione. Con i titoli di testa dei notiziari riempiti a
turno dall’ISIS e dalle idiotiche pop star, siamo già sommersi nella
iper-realtà descritta da Baudrillard.
Altri senza dubbio moriranno nella nuova
guerra, soprattutto se (o meglio quando) Obama e i neocon lanceranno una
campagna aerea contro la Siria. Ma perfino questo è solo uno spettacolo
di secondo piano.
Bashar al-Assad ora riveste un ruolo
assegnato e prima ricoperto da altri luminari internazionali, da Saddam
Hussein a Slobodan Milosevic, da Osama bin Laden a Mohamar Gheddafi.
Cambia la musica, ma la canzone rimane la stessa, e così un altro
ignobile dittatore/terrorista neo-hitleriano deve essere fermato per
salvare la nostra civiltà di McDonald’s.
Anche se non necessariamente vittime fisiche
di questo simulacro di guerra, le principali vittime spirituali della
“realtà” fabbricata dalle elite sono gli stessi americani, somme cavie
di un oscuro esperimento sulla psiche collettiva. La loro esistenza e il
loro “stile di vita” hanno perennemente bisogno di conflitti e di
nemici che giustifichino il consumo come identità e il conseguente
impoverimento spirituale.
Il grande testamento di Aleksandr
Solzhenitsyn all’Occidente, “Non vivete di menzogne” viene ignorato a
grande rischio e pericolo. Un popolo decadente e soddisfatto di se
stesso si farà portare con le menzogne in una guerra d’aggressione,
piuttosto che fronteggiare l’amara realtà: ovvero che sta ostinatamente
rinunciando alla sua libertà e accettando passivamente di diventare
schiavo.
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