Nessuno pensi che il proprio paese sia governabile secondo gli interessi specifici della sua popolazione, struttura sociale o industriale. “La linea” piove dall'alto come nemmeno nel “blocco sovietico” del secolo scorso.
E per farlo capire a tutti, Olli Rehn – commissario europeo agli affari monetari, finlandese e “falco” neoliberista – ha ribadito le sue prescrizioni all'Italia. «L'Italia deve usare la maggiore stabilità politica per lanciare progetti come le privatizzazioni e gli ulteriori miglioramenti sul mercato del lavoro per aumentare la competitività». L'ha fatto non a caso dal vertice di Davos, in Svizzera, dove i decision maker di tutto il mondo svolgono il consueto brainstorming annuale per vedere come regolare i business comuni – e conflittuali, non va mai dimenticato – per l'anno che si è aperto. Ma non ce n'è stato soltato per la derelitta italietta. «L'Italia come la Francia ha accusato un'erosione delle sue quote di mercato negli ultimi dieci anni. C'è una chiara necessità che aumentino la competitività sia in termini di costo del lavoro che di mercato dei prodotti».
C'è da dire che si tratta di una caduta di stile, visto che il governo Letta aveva deciso proprio il giorno prima di mettere sul mercato il 40% di Poste, aprendo così la strada alla privatizzazione-distruzione di una cassaforte (da lì vengono i soldi della Cassa Depositi e Prestiti) che conserva i risparmi di milioni di cittadini, specie quelli meno abbienti. Sui “miglioramenti del mercato del lavoro” - notate la delicatezza linguistica che deve nascondere la realtà brutale della regolamentazione forsennata, abolendo diritti, garanzie, livelli salariali del lavoro dipendente – quel che non è stato ancora fatto sarà certamente contenuto nel “jobs act” del piccolo duce di Firenze.