Scrivevamo un anno fa che le politiche impostate per salvare l'euro
avrebbero lentamente avviato l'Italia a diventare un paese del Terzo
Mondo (M.Badiale, F. Tringali, “L'euro non è un dogma”, Alfabeta2,
dicembre 2011). Gli eventi di quest'ultimo periodo confermano quel
giudizio: la crisi economica prosegue, così come la distruzione dei
diritti dei lavoratori e l'attacco ai redditi dei ceti subalterni,
mentre l'adozione di misure come il Fiscal Compact determina, in
sostanza, la cessione della sovranità degli Stati nazionali a lontane
strutture oligarchiche e la conseguente cancellazione di quel poco di
democrazia ancora rimasta in questo Paese. Non intendiamo qui dilungarci
su questi temi, né su quelli relativi alla irriformabilità dell'Unione
Europea in senso democratico e alla necessità di uscire da essa e dalla
moneta unica, perché li abbiamo trattati dettagliatamente in un libro
uscito da poco (M.Badiale, F. Tringali, “La trappola dell'euro”,
Asterios editore), al quale rimandiamo per approfondimenti.
Ci
sembra utile, invece, ripercorrere in questa sede alcune delle
discussioni che hanno accompagnato il passaggio dell'Italia a un sistema
monetario europeo a cambi fissi e poi all'euro. È importante infatti
sapere che l'esistenza di un rapporto consequenziale fra la rinuncia
alla flessibilità del cambio valutario e la realizzazione di una vera e
propria macelleria sociale in termini di aggressione ai diritti e ai
redditi dei ceti medi e popolari, era stata chiaramente prevista già tre
decenni fa.
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