Quando torno periodicamente in Italia per le vacanze estive di
gennaio, amici e conoscenti puntualmente mi chiedono: “ma lì come va?” La mia risposta di solito è circostanziale: “tutto sommato, potrebbe
andare peggio, visto quello che questo paese ha passato negli ultimi 45
anni e poi, bisogna analizzare anche la tendenza presente e futura, non
solo la storia recente. Ne riparliamo tra 10 anni…”. Una risposta più articolata, invece, potrebbe seguire il filo delle riflessioni che qui tento di svolgere.
Di Marco Nieli - Alba Informazione
Poiché gli Italiani non sembrano rendersi ancora sufficientemente
conto della trappola per topi nella quale stanno per cacciarsi [con
l'indebitamento con l'FMI, il Fiscal Compact firmato con l'UE e le
politiche di austerità "espansiva" (sic?)], l’esempio argentino può
davvero essere prezioso.
Ancora oggi, questo paese paga le conseguenze disastrose di una
politica di indebitamento selvaggio con gli organismi finanziari
internazionali (iniziata all’epoca della Dittatura Militare del
’76-’83), della quale politica si sono beneficiate soprattutto le corporations
nazionali e internazionali, la rendita finanziaria e gli strati alti
della classe media. Il proletariato industriale, i vecchi e nuovi poveri
delle villas-miseria e la stessa classe media urbana (per non parlare delle popolazioni mestizas
e native del nord) hanno subito unicamente le conseguenze negative di
questa politica di tagli alla spesa sociale, demolizione dello Stato
sociale dell’epoca menemista e privatizzazioni indiscriminate.
Vivendo e lavorando in Argentina, ci si può rendere conto nella
quotidianità del grado di deprivazione e impoverimento della cultura
materiale (dal know-how tecnologico, cardine del sistema
produttivo nazionale al sistema delle infrastrutture), della perdita di
qualità del sistema d’istruzione e formazione tecnica (praticamente
azzerata, quest’ultima, nell’epoca menemista) e della disperazione
sociale inculcata in un’intera generazione riguardo alle possibilità di
auto-determinarsi in economia come in politica, con il tipico senso di
inferiorità indotta: noi non siamo capaci al pari degli altri popoli
“civili”, un tipico riflesso del meccanismo pedagogico e psicologico di
massa favorito dal dominio neo-coloniale). Come illustrato mirabilmente
da un grande intellettuale argentino, di orientamento radical-nacionalista e poi filo-peronista, A. Jauretche, nel suo Manual de las zonceras argentinas.
Tutto ciò è difficile spiegarlo e farlo comprendere al popolo
italiano, che non ha mai provato sulla propria pelle le conseguenze di
una seria politica di austerità e tagli alla spesa sociale, imposta dal
FMI, dalla Banca Mondiale e dai vari “avvoltoi” della finanza
internazionale. Con l’aggravante di una politica monetaria basata sul
cambio fisso (qualcuno ricorda in Europa il cambio dell’1 a 1
argentino?), per giunta sprovvista di sovranità e totalmente delegata
alla BCE, ossia a una federazione di organismi bancari privati. Parlo
qui, ovviamente, degli Italiani in generale, sorvolando sui Meridionali,
che invece politiche simili le hanno già provate negli anni seguenti
l’unificazione e che sembrano però aver rimosso, volenti o nolenti,
questo trauma storico.
La maggioranza degli Italiani appare allo stato frastornata, confusa,
sicuramente divisa per effetto della manipolazione mediatica, che
appiattisce l’opinione pubblica sulla dogmatica del pensiero unico
neo-liberista (dettata dai centri decisionali della trojka, dal potere
bancario internazionale e dalle agenzie di rating, guarda caso tutte
targate USA), favorendo al contempo la frammentazione sociale e
l’individualismo (l’egoismo cinico del “si salvi chi può”). Unici
tentativi di reazione, allo stato, il Movimento 5 Stelle, con la sua
forza dirompente basata sull’esperimento di democrazia diretta (pur con
tutte le ambiguità del caso) e, come espressione di una società che
aspira a farsi società politica, i numerosi Comitati di lotta, dal
No-Tav, al No-Debito, dai pastori sardi ai Forconi Siciliani, passando
per i gruppi dell’ALBA e del “Cambiare si può” (confluiti recentemente
nella lista “Rivoluzione Civile”), etc. Un inizio di reazione, che già
pur rappresenta qualcosa, anche se troppo poco al momento, secondo me,
data la gravità della situazione.
Per questo, ritengo, che dovremmo studiare con maggior attenzione e
fare tesoro dell’esperienza argentina di questi ultimi 10 anni
(2003-2013), come anche, ovviamente del suo importante alleato politico e
partner economico, il Venezuela bolivariano. Forse il caso argentino,
ancora più del Venezuela, può essere utile agli Italiani, non solo per i
noti legami identitari e culturali dovuti al consistente flusso
migratorio dall’Italia (circa 16 milioni di discendenti su una
popolazione complessiva di 40), ma anche perché la società e l’economia
argentina presentavano, agli inizi degli anni ’70, notevoli analogie con
quella italiana (un’organizzazione sociale diffusa, con settori di
classe media consistenti; un’economia industriale sviluppata, di cui una
parte importante gestita dallo Stato; un sistema di welfare e di
diritti sociali, ispirato ai principi del Keynesismo; marcati squilibri
tra il centro (Roma, Milano e alcune regioni del nord in Italia; Buenos
Aires in Argentina) e la periferia (il sud e le isole in Italia; le
province del nord, soprattutto Tucuman, il Chaco e del sud, la
Patagonia, in Argentina).
Se nel giro di circa 35 anni, con la terapia
d’urto prima della Dittatura e poi delle politiche neo-liberiste di
Menem, la sovranità economica argentina è stata completamente spazzata
via, fino alla catastrofe del Corralito (2001) e alla rivolta popolare
del Que se vayan todos (che ha segnato, indubbiamente, un punto
di svolta e di reazione della società argentina al massacro sociale che
stava subendo), perché dovrebbe risultare ozioso credere che le stesse
conseguenze catastrofiche potrebbe sperimentarle a breve anche l’Italia?
Non si tratta di fare i profeti di sventura o i disfattisti, come
spesso viene rimproverato alle voci discordi dal coro dai “nuovi
mandarini” di regime, ma semplicemente di applicare un minimo di buon
senso all’analisi dei dati di fatto dell’andamento dei due paesi.
Quello che sto cercando di dire è che, se abbiamo molto da imparare
dalle esperienze traumatiche vissute dal popolo argentino, preda
storicamente delle ricette neo-liberiste e della speculazione
finanziaria, moltissimo dovremmo anche imparare dalla sua capacità
attuale di resistenza agli avvoltoi di oggi e di sempre, sia sul piano
delle politiche governative adottate dai Kirchner, sia su quello, ancora
più prezioso, delle nuove forme di lotta sociale messe in campo dalla
società civile (movimento delle fabbriche auto-gestite, associazioni
alla Barrios de Pié, organizzazioni studentesche, sindacati
indipendenti alla CTA, comitati popolari ecologisti e anti-mineria,
movimenti dei nativi, fino ad arrivare al movimento pro-ALBA, Marea Popular e alla lotta dei tercerizados
dei trasporti e del petrolio). Con l’importante differenza che il
radicamento sui territori di queste lotte hanno portato l’Argentina a
costruire, negli ultimi due anni, almeno due grandi progetti di
alternativa al kirchnerismo (già di per sé più avanzato di qualsiasi
governo Prodi o Bersani che potremmo mai pensare di avere in Italia): il
F.A.P. (Frente Amplio Progresista), progetto di liberazione nazionale
di sinistra (Izquierda nacionalista) a guida H. Binner e il Frente de Izquierda, più classista e internazionalista, guidato dal Partido Obrero di J. Altamira.
Da molti indizi convergenti, è dato intendere che, nei prossimi
quattro anni, l’indirizzo delle politiche per il recupero della
sovranità politico-economica dell’Argentina sarà conteso tra questi tre
modelli, di cui uno, social-democratico e progressista, confermato con
il 54% dei consensi alle Presidenziali dell’ottobre 2011 (il Frente para
la Victoria di C. Fernandez de Kirchner) e un altro, il F.A.P.,
impostosi con il 17% dei voti come seconda forza del paese (scavalcando
le ormai fatiscenti opposizioni di destra). Uno scenario politico
infinitamente più spostato a sinistra, come si vede, di quello nostrano,
se non altro per lo svuotamento e il disorientamento delle proposte di
destra, Union Civica Radical, in primo luogo. Sarà lecito
pensare che a un tale scenario odierno, impensabile fino a venti anni
fa, abbia massicciamente contribuito il totale discredito e perdita di
credibilità dell’F.M.I., della Banca Mondiale e dei vari governi
fantoccio etero-diretti, succedutisi nell’attuazione delle ricette da
loro imposte all’Argentina (fino alla rocambolesca fuga in elicottero di
de la Rua nel 2001)?
Sul braccio di ferro tra le due Cristine (Cristina Fernandez de
Kirchner, Presidente degli argentini e Christine Lagarde, Presidentessa
dell’F.M.I.) abbiamo già informato in passato. I punti di vantaggio
della politica economica odierna del governo progressista sono, a nostro
avviso, una politica monetaria sovrana (con la Banca Centrale
stabilmente controllata dal Governo), un programma di investimenti
pubblici che favorisce la crescita economica e dell’occupazione (tipica
in quest’ottica, la nazionalizzazione con indennizzo delle quote della
YPF detenute dalla spagnola Repsol operata nel corso di quest’ultimo
anno) e la diversificazione degli accordi commerciali con i nuovi
partners della scena mondiale allargata (Cina, Giappone, Brasile,
Venezuela, Iran, Russia, etc.). Il tutto unito a un’importante opera di
rivendicazione della sovranità geo-politica (si pensi al caso Malvinas)
dell’Argentina presso tutte le sedi internazionali (ONU in primis, ma anche e soprattutto con l’appoggio dell’ALBA e del Mercosur).
L’insieme di tutti questi fattori di recupero della sovranità ha
fatto sì che la minaccia di espulsione dal F.M.I. per la data dello
scorso 17 dicembre, cadesse nel vuoto, nella totale dimenticanza e
trascuratezza dei media di regime in Occidente.
La notizia che invece è passata attraverso i nostri media, anche se
su di un piano defilato, è la parziale vittoria di Cristina nella
contesa giudiziaria con i fundos buitre (fondi avvoltoio), che aveva portato al sequestro della goletta argentina Libertad
nel porto di Accra (Ghana) nel passato mese di dicembre. Lo scorso 9
gennaio, la goletta è ritornata a Mar del Plata, dove è stata accolta
trionfalmente da un popolo argentino festante, strettosi intorno alla
sua Presidenta, dopo le proteste di piazza dell’8-N.
Senonché, questa battaglia vinta rischia di trasformarsi in una guerra di trincea e non sappiamo quanto potrà durare.
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