Stampare moneta è lo strumento corretto per uscire dalla crisi?
La
domanda diventa di estrema attualità dopo la decisione della Federal
Reserve che ha deciso di procedere ad un terzo programma di Quantitative
Easing, ossia a battere nuova moneta per comprare i titoli in cui sono
impacchettati mutui ipotecari americani con l’obiettivo di aiutare il
mercato immobiliare e di far salire la Borsa. Il programma di acquisti
di 40 miliardi di dollari il mese è illimitato: verrà infatti terminato
solo quando si vedranno dei concreti effetti sulla crescita e sul
mercato del lavoro statunitensi. Ad esso si aggiunge l’impegno a non
alzare i tassi di interesse fino al 2015. Si tratta della terza
operazione di questo genere che segue quelle già intraprese negli ultimi
quattro anni.
Politiche monetarie analoghe vengono attuate dalla Banca
del Giappone, da quella d’Inghilterra e anche dalla nostra Banca
nazionale allo scopo di difendere il tasso di cambio minimo del franco
nei confronti dell’euro. Diversa è invece la natura degli interventi
della Banca centrale europea, che nel suo piano di lotta contro i tassi
di interesse molto alti dei Paesi europei deboli prevede di sterilizzare
la moneta creata attraverso l’emissione di titoli dello stesso istituto
venduti alle banche o attraverso la vendita di altre obbligazioni da
lei detenute.
Secondo una ricerca, citata dalla Fed, le operazioni finora effettuate negli Stati Uniti hanno permesso di ridurre il costo del denaro e hanno fatto crescere l’economia di almeno il 3%. Sta però di fatto che la stessa banca centrale americana appare poco soddisfatta dei risultati raggiunti finora, perché la ripresa appare modesta e la disoccupazione continua ad essere elevata.
Molto probabilmente più vicini a fornire una spiegazione convincente sono coloro i quali affermano che queste politiche non sono neutrali e che non favoriscono gli strati sociali meno abbienti che potrebbero mettere in moto la ripresa con i loro consumi. Infatti la stampa di nuova moneta e gli interessi di poco superiori allo zero premiano le banche, che possono rifinanziarsi a basso costo, i grandi operatori finanziari (hedge fund, fondi private equity ecc.) che possono prendere a prestito grandi capitali per poi effettuare le loro speculazioni e gli attori economici indebitati.
Vengono invece penalizzati i piccoli risparmiatori prudenti e anche le
casse pensioni che non riescono ad ottenere rendimenti soddisfacenti dai
loro investimenti obbligazionari. La trasmissione di queste politiche
all’economia reale continua a non funzionare: infatti questi interventi
non si sono tradotti in un aumento dei crediti ad imprese e famiglie. Ma
c’è di più: queste politiche contribuiscono ad alterare ulteriormente
la distribuzione dei redditi, poiché rischiano di favorire la formazione
di nuove bolle speculative senza riuscire a scorrere fino all’economia
reale creando le condizioni di una solida e duratura ripresa.
Insomma,
siamo di fronte ad un nuovo esperimento che però non coglie né cerca di
incidere su una delle cause della crisi che è stato l’allargamento dei
divari di reddito. Sarebbero forse più efficaci interventi fiscali tesi
ad aumentare la capacità di spesa dei ceti medi e degli strati sociali
meno favoriti, ma questi sono resi difficili dai disavanzi pubblici e
anche da una visione dell’economia che vede nel miglioramento delle
condizioni dei mercati finanziari la condizione indispensabile per
rilanciare la crescita. Dunque, questa politica dei bassi tassi di
interesse e di continua stampa di nuova moneta sta danneggiando i
piccoli risparmiatori e non sembra aiutare molto (almeno finora) la
ripresa dell’economia.
Di Alfonso Tuor
Corriere Del Ticino
Solitamente , una politica economica in inflazione non è il toccasana ma l'inizio di una fase di avvio della domanda aggregata. Ad essa deve seguire, a ripresa avviata, una fase di consolidamento della produzione e tutela del lavoro con provvedimenti tesi alla ricerca in campo industriale, al miglioramento della qualità del prodotto ed infine una stabilizzazione conomica della classe media. Se si lasciano inevasi i provvedimenti sulla remunerazione del lavoro e sul welfare in generale, si esaurisce in breve tempo la domanda interna e si ritorna allo status quo precedente. Non sono un economista ma questa è il mio pensiero.
RispondiEliminaVito Leucci
smettiamola di investire n finanza, se tutti i picoli risparmiatori la smettessero i alimentare la finanza, ed usassero i loro soldi solo per cose reli e concrete, ci sarebbe forse un iniziale aggravio della crisi ma tutta la imondiia speculativa verrebbe spazzata via e i tornerebbe ad una economia rele.
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