16 aprile 2012

Le Proposte dell’Associazione Riconquistare la Sovranità (1° parte)

Pubblico la prima parte delle  Proposte formulate nel Documento di analisi e proposte politiche dell'Associazione Riconquistare la Sovranità.
Le Proposte: §13 Riconquistare la sovranità; § 14 Combattere e sconfiggere prima il nemico vicino; poi il nemico lontano. § 15 Recedere dai Trattati europei: i provvedimenti d'urgenza e le linee strategiche della politica economica italiana.
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13. Riconquistare la Sovranità
Che fare? Si impone la piena riconquista della Sovranità nazionale e quindi popolare: per ricollocare la Costituzione  al vertice del nostro ordinamento, affinché torni ad essere il faro luminoso che guida il popolo italiano nella disciplina dei rapporti economici; e per attuare uno sganciamento, “culturale” oltre che politico, dagli Stati Uniti d’America e dalle ideologie che essi hanno diffuso nel loro esclusivo interesse e a vantaggio del grande capitale.


14. Combattere e sconfiggere prima il nemico vicino; poi il nemico lontano
Due sono le fonti delle direttive culturali, giuridiche e politiche, obbedendo alle quali siamo giunti alla seconda morte della Patria: l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America.
Di quale fonte dobbiamo liberarci prima?
Senza dubbio dell’Unione europea, per una pluralità di ragioni.
In primo luogo, perché i vincoli statunitensi sono soprattutto di natura culturale e politica. Essi richiedono esercizio della sovranità e volontà di essere indipendenti, non sovranità (salvo i vincoli assunti nei confronti della NATO). Al contrario, l’Unione europea limita del tutto e ormai ha pressoché estinto la sovranità economica italiana. Sottrarci alle direttive “culturali” e alle pressioni politiche statunitensi è oggi giuridicamente (e quindi astrattamente) possibile. Invece, la sottrazione ai vincoli europei e la riconquista della sovranità economica implicano il recesso dai Trattati europei. 

Senza recedere dai trattati europei, le norme di legge ordinaria che dovremmo emanare per sottrarci alla terribile crisi che è in corso e che comunque durerà fino a quando sarà stata riconquistata la sovranità, non possono essere validamente emanate nemmeno all’unanimità dal Parlamento Italiano. Su di esse prevarrebbe il diritto europeo, che, di fatto, si impone anche sulle norme italiane di rango costituzionale che disciplinano la materia economica.
In secondo luogo,  non si può negare che nell’opinione pubblica il problema economico è avvertito in misura sensibilmente maggiore del problema militare e di politica estera. Soltanto una nazione che abbia risolto o abbia adottato i necessari provvedimenti per risolvere il problema economico può sperare di perseguire la piena indipendenza nel campo della politica estera e militare. E il problema economico si può risolvere soltanto recedendo dai trattati europei e prendendo una serie di provvedimenti necessari, che ora i Trattati europei ci impediscono di adottare.

In terzo luogo, risponde alla logica e all’esperienza storica che un paese economicamente sovrano, nel momento in cui adotta i provvedimenti necessari alla organizzazione, direzione e protezione del proprio sistema economico, si rende, in modo automatico, più indipendente o meno dipendente dalle grandi potenze che cercano di influenzarne la politica. Sovranità economica e liberazione sono la medesima cosa.
La storia italiana dal 1947 alla metà degli anni ottanta testimonia che prima che si fossero verificate limitazioni gravi alla sovranità economica, l’Italia ha tenuto, in politica estera, un atteggiamento più dignitoso e meno dipendente dagli Stati Uniti, nonostante la presenza di basi militari straniere sul proprio territorio.
Una proposta politica che sbandierasse e ponesse tra la priorità l’uscita dell’Italia dalla NATO sarebbe una proposta di nicchia e protestataria, non adatta a coagulare il necessario consenso e a far fronte alla grave minaccia che incombe sull’Italia.

Tutto ciò, ovviamente, non vuol significare che non si debba sostenere che nella prospettiva di lungo periodo le basi militari straniere debbano essere cacciate dal suolo italiano, riaffermando la piena sovranità sulla totalità del territorio nazionale, e che l'Italia debba uscire dalla NATO; né vuol significare che nella prospettiva di breve e medio periodo non si debba proporre che l'Italia debba suggerire e imporre alla NATO (che paradossalmente delibera le azioni con il consenso di tutti gli stati, salvo gli astenuti) di adottare strategie esclusivamente difensive e debba rifiutarsi di partecipare ad altre guerre di aggressione.
Significa soltanto che ci si colloca in una prospettiva realistica, consapevole che la riconquista piena della sovranità è un progetto di lunga durata, il quale impone di stabilire priorità. L'obiettivo non si realizzerà con declamazioni che pongono tutte le finalità sul medesimo piano, senza un ordine logico e strategico.
In ogni caso, è evidente che la eventuale implosione o comunque disintegrazione dell’Unione Europea e la riconquistata sovranità economica, e quindi la rinnovata indipendenza degli Stati Europei, sgretolerà o comunque metterà in crisi l’alleanza atlantica. Pertanto la lotta contro il nemico vicino è al tempo stesso una lotta contro il nemico lontano.

15. Recedere dai Trattati europei: i provvedimenti d’urgenza e le linee strategiche della politica economica italiana
Occorre dunque recuperare la piena sovranità economica. E per far ciò è necessario esercitare un atto di recesso, previsto, al ricorrere di determinate condizioni, dal diritto internazionale consuetudinario; e previsto esplicitamente dai Trattati europei, senza che esso sia subordinato ad una o altra condizione.
Peraltro, si deve essere consapevoli che – salvo l'ipotesi che si verifichino le circostanze previste dal diritto internazionale consuetudinario (rilevante mutamento delle circostanze; o addirittura sopravvenuta impossibilità di adempiere); ma allora vorrà dire che si sarà verificato un crollo dell'economia e non semplicemente una grave crisi – la procedura di sganciamento degli Stati prevista dal Trattato di Lisbona, la quale inizia con un atto di recesso, può durare due anni e prevede una negoziazione a conclusione della quale, pur in mancanza di un accordo, lo Stato recedente esce dall'Unione. Orbene, due anni sono ovviamente troppi se nel frattempo lo Stato recedente fosse costretto a rispettare i vincoli posti dall'Unione Europea, non potesse esercitare la sovranità in materia economica e restasse esposto al “giudizio dei mercati”.

Pertanto, deve essere chiaro che lo sganciamento, pur volendo formalmente utilizzare la procedura prevista dal Trattato di Lisbona, avverrà con provvedimenti di rottura dell'ordine giuridico dell'Unione Europea, che anticiperanno il recesso e che dovranno essere adottati un venerdì, dopo la chiusura della Borsa italiana, dal Governo (non dal Parlamento) e che dovranno contenere necessarie misure d'urgenza.
In particolare, il recesso dovrà essere accompagnato  dall’immediato ritorno alla valuta nazionale e da un provvedimento volto ad impedire la fuga di capitali dall’Italia, che vieti tutti i trasferimenti di valuta e di titoli, nonché limiti e sottoponga a controllo i pagamenti. 

Adottati i provvedimenti d’urgenza, si dovrà promuovere una politica volta a contenere le divisioni sociali e territoriali. Si imporranno:  una autonoma politica economica espansiva; trasferimenti di risorse ordinari e straordinari nelle zone e alle categorie particolarmente colpite dalla crisi;  il ripristino del controllo dei capitali e dei saggi di interesse interni; una ricollocazione all’interno della maggior parte del debito pubblico italiano, anche attraverso provvedimenti che impongano ai cittadini italiani, in proporzione alle attività finanziarie possedute, la vendita di titoli dei grandi intermediari finanziari e bancari, per l’acquisto a basso tasso di interesse, di titoli del debito pubblico italiano; una maggiore progressività della imposizione fiscale; la tutela ad ogni costo dell’agricoltura italiana, nei confronti delle imprese agricole straniere che possano pregiudicarla e nei confronti della grande distribuzione e dell’industria agroalimentare.
 Investimenti strategici pubblici e convenzioni con multinazionali per la produzione in Italia di computer, telefonini, televisori e altri oggetti di consumo comune, assicurando alle imprese produttrici rilevanti quote di mercato; reintroduzione della stabilità del rapporto di lavoro vigente prima del cosiddetto Pacchetto Treu. Nazionalizzazione delle grandi banche e di alcune grandi assicurazioni ai sensi dell’art. 43 della Costituzione.

Sarebbe preferibile che l'uscita avvenisse nel medesimo contesto temporale dell'uscita di altre nazioni del sud Europa ed eventualmente dell'Europa dell'Est (ed è probabile che ciò accadrà), per rendere più agevoli le negoziazioni con l'unione Europea. L'importante è che sia chiaro che non si tratterà di un passaggio indolore e che lo scontro e il contrasto politico con la Germania ed altri paesi dell'Unione Europea sarà molto probabile: si verificherà se le parti non troveranno un accordo. La libertà ha, ed è bene che abbia, un costo.
Le analisi, sulle quali le proposte sono fondate, sono state pubblicate, divise per parti, su www.appelloalpopolo.it

1 commento:

  1. Articolo 138
    "Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione [cfr. art. 72 c.4].
    Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare [cfr. art. 87 c.6] quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata [cfr. artt. 73 c.1, 87 c.5 ], se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
    > Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti".

    Ultimo comma andrebbe abolito, rendendo obbligatorio il referendum in ogni caso
    (aveva una sua logica nel sistema proporzionale, non nell'attuale situazione, determinata dall’introduzione del maggioritario con sbarramento e premio di maggioranza, e con forze politiche addirittura non rappresentate in Parlamento)

    Comunque:
    "per rispetto del popolo sovrano chiedete con forza, che l’approvazione (votazione prevista per domani 17.04.2012) non avvenga con la maggioranza qualificata dei due terzi (2/3) dei componenti del Senato: per lasciare spazio a un’eventuale richiesta di referendum".
    http://vocidallestero.blogspot.it/2012/04/mercoledi-golpe-in-parlamento-votano-la.html

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