17 ottobre 2010

CANNONI ECONOMICI CONTRO LO YUAN

La Camera dei Rappresentanti degli USA si è lanciata con tutte le sue forze contro la Repubblica cinese per fare in modo che il paese asiatico rivaluti la sua moneta, il renmimbi (RMB) o yuan, situazione alla quale Washington attribuisce la maggior parte dei malori economici che patisce.
di Hedelberto López Blanch
Nella sua crescente politica aggressiva, che potrebbe provocare una guerra economica tra i due paesi con possibilità di estensione mondiale, la Camera ha approvato un progetto di legge che permetterà d’imporre sanzioni commerciali alla Cina come rappresaglia alla politica cambiaria di questa nazione.
Per diversi anni gli Stati Uniti hanno continuato ad agire contro Pechino perché, come detto, il deficit commerciale enorme con la Cina è dovuta alla sottovalutazione dello yuan dal momento che diventano più convenienti le esportazioni da quel paese.
Di conseguenza, come ha detto l’attuale presidente della Camera, la democratica Nancy Pelosi, questa situazione è uno svantaggio competitivo perchè si esportano prodotti economici cinesi contro le produzioni statunitensi che ha causato “la perdita di due milioni di posti di lavoro nel paese durante l’ultimo decennio”.

La prepotenza egemonica dei congressisti è arrivata all’estremo quando hanno argomentato che il progetto di legge si rivolge contro ogni paese che manipoli il valore della sua divisa. Cioè, solo Washington è “autorizzato” a fare ciò che vuole con la sua moneta (dollaro) come ha sempre fatto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Il documento, per diventare legge, deve essere approvato dal Senato e dopo dal presidente Barack Obama, anche se gli analisti ritengono improbabile la riuscita perché primo, la Casa Bianca aspetterà la fine delle elezioni legislative di novembre ed in secondo luogo perché non desidera un confronto commerciale con il gigante asiatico.

Allo stesso tempo, il Dipartimento del Commercio e 36 importanti aziende statunitensi  hanno indicato che in caso di approvazione del progetto, la crisi economica si approfondirà, si ridurrà la crescita e aumenterà la disoccupazione, oltre a violare gli impegni nel quadro delle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) che prevede il calcolo delle tasse e dei tassi di antidumpling sovvenzioni compensabili. 

Pechino sostiene un tasso di cambio dello yuan sottovalutato di fronte al dollaro statunitense, che gli permette di ridurre il costo delle sue esportazioni e aumentare il surplus commerciale che gode sugli USA e Europa. Dopo l’ultimo aggiustamento fatto a giugno dalla Cina, il cambio attuale si colloca a 6,7980 yuan per dollaro.
La Cina mantiene questo livello cambiario con l’acquisto di dollari per yuan, e dopo colloca parte di questi biglietti sul mercato del debito statunitense, i cosiddetti titoli del Tesoro Pubblico dei quali già possiedono 990.000 milioni.

In questo modo, mette freno al rialzo dello yuan e anche se la rende indipendente dal dollaro, la rende anche il maggior creditore di Washington.
Poichè entrambe le economie si retroalimentano direttamente in Cina non conviene neanche che il dollaro crolli, mentre un aumento accelerato dello yuan renderebbe la sua industria meno competitiva, colpirebbe il mercato del lavoro farebbe aumentare i prezzi delle sue merci e scenderebbe la domanda con la conseguente riduzione della produzione nelle aziende esportatrici.

All’inizio del 2010, le riserve di divise della Cina hanno raggiunto i 2,4 mila miliardi di dollari, cioè più del 30% di tutto il mondo.
Se Pechino smettesse di comprare tutti i buoni del Tesoro, si produrrebbe la caduta del valore del dollaro che porterebbe a grandi ripercussioni nel sistema finanziario e nell’economia mondiale, includendo principalmente queste due nazioni in conflitto.

Gli USA sono legati mani e piedi perché hanno un debito estero di 13.000 miliardi di dollari e per mantenere le sue consistenti importazioni, hanno bisogno dell’entrata giornaliera dei 1000 di milioni di dollari che riceve dalla Cina, Giappone, Corea del Sud e varie nazioni petrolifere arabe.
Sullo sfondo vi sono due motivi per cui gli USA fanno pressione alla Cina:
  • 1- cercare d’impedire che il gigante asiatico continui con una vertiginosa crescita e possa in circa 20 anni condividere o trasformarsi nella prima economia mondiale togliendo quest’egemonia a Washington, e 
  • 2- che il dollaro continui come valuta principale del commercio mondiale al di sopra di qualsiasi altra moneta.
La portavoce del Ministero delle Relazioni Estere cinese, Jiang Yu, ha affermato nella conferenza stampa che il progetto di legge è "poco saggio e poco lungimirante" e che l’apprezzamento della moneta non risolverà il problema del deficit commerciale statunitense.

Jiang, come il ministro del commercio Chen Deming, ha sottolineato che gli Stati Uniti dovrebbero fare degli sforzi per ridurre i controlli delle esportazioni verso la Cina e che se vogliono ridurre il deficit, devono autorizzare la vendita di prodotti di alta tecnologia al loro mercato che porterebbe a realizzare acquisti più costosi.
Il deprezzamento del biglietto verde negli ultimi anni, causato dalla crisi del sistema capitalista statunitense, le sue enormi spese nelle guerre in Iraq ed in Afghanistan, la diminuzione della produttività e l’aumento della disoccupazione, tra altri mali, hanno motivato le grandi banche internazionali a promuovere l’uso dello yuan nelle loro transazioni commerciali con Pechino.

Il giornale britannico The Financial Times ha recentemente riportato che banche come il Citigroup, HSBC, JPMorgan e BBVA (quest’ultimo spagnolo) realizzano campagne in Asia, Nordamerica, America Latina e Europa affinchè le compagnie usino lo yuan perché si sta aprendo strada nel commercio internazionale.

Da parte sua la Cina permette alle nazioni vicine di realizzare affari con la loro moneta senza bisogno di convertirla in euro o dollari cosa che evita le fluttuazioni nei tassi di cambi.
Pechino ha anche firmato convegni in America Latina con il Brasile e Argentina dove la moneta di scambio è lo yuan, mentre il Perù e il Cile sono interessati ad accogliere queste transazioni.

Non sono più i tempi dell’unipolarismo, e sia la Camera dei Rappresentanti statunitensi come la Casa Bianca dovranno adattarsi alle nuove realtà mondiali o ne soffriranno le conseguenze.

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