17 novembre 2009

IL SACCHEGGIO DEL PETROLIO IRACHENO


di James Cogan

La concessione fatta lo scorso giovedì (5 nov. NDT) sui diritti per sviluppare l’immenso campo petrolifero di Qurna Ovest, al sud dell’ Iraq, all’ Exxon-Mobil e alla Royal Dutch Shell, sottolinea ancora una volta il carattere criminale della continua occupazione statunitense. Come conseguenza diretta della guerra all’ Iraq, i principali conglomerati energetici statunitensi e transnazionali adesso stanno intensificando il controllo su alcune delle più grandi piattaforme petrolifere del mondo.

Qurna Ovest ha riserve per 8.700 milioni di barili di petrolio. Il totale delle riserve dell’ Iraq attualmente è di 115.000 milioni di barili, anche se ci sono decine di piattaforme potenziali che ancora non sono state esplorate adeguatamente. Prima dell’invasione statunitense nel 2003, il regime baazista di Saddam Hussein aveva concesso i diritti su Qurna Ovest alla petrolifera russa Lukoil. Il regime–burattino pro-statunitense ha proceduto ad annullare tutti i contratti precedenti alla guerra.

Exxon- Mobil, che ha sede negli USA, è il primo gigante petrolifero a beneficiarne. Secondo le condizioni di un contratto di vent’anni, la Exxon-Mobil e la Shell pianificano di aumentare la produzione giornaliera a Qurna Ovest da meno di 300.000 barili a 2,3 milioni di barili al giorno durante i prossimi sei anni. Allo stesso modo il governo iracheno compensa le compagnie per i costi che le migliorie alle piattaforme possono implicare- che possono arrivare fino ai 50 miliardi di dollari- queste pagheranno 1,9 dollari per ogni barile che estrarranno, cioè intorno ai 1.500 milioni di dollari all’anno. La Exxon-Mobil ha una partecipazione dell’ 80 % e la Shell del restante 20 %.

Il contratto è solo il secondo firmato dal regime di Bagdad con compagnie energetiche straniere. Martedì scorso, il governo iracheno ha concluso un accordo con la British Petroleum (BP) e con la China National Petroleum Corp (CNPC), dando loro i diritti allo sfruttamento dell’immenso campo di Rimaila e le sue riserve di 17.000 milioni di barili. BP mantiene una partecipazione di un 38% e CNPC il 37%. Lo scopo è di incrementare la produzione da un milione di barili al giorno a 2,85 milioni, che genereranno profitti per 2.000 milioni di dollari l’anno.

L’unico punto di attrito che hanno incontrato le transnazionali è che i contratti non si basano sul modello postulato dal Production Sharing Agreement (Accordo Di Produzione Condivisa), che concede fino al 40% delle entrate totali di un campo petrolifero. Anche i corrotti individui che compongono il governo iracheno hanno rifiutato di cedere i più grandi campi petroliferi a quelle condizioni. Invece, i patti appaiono classificati come un accordo di “servizio”. Questo ha permesso che il Primo Ministro, Nuri al-Maliki, e il suo Ministro del Petrolio, Hussain al–Shahristani, ignorassero il parlamento ed approfittassero dell’assenza di una legge sugli idrocarburi che regoli l’industria energetica.

Ma ci sono altri accordi sul punto di concludersi. Un consorzio composto dalla compagnia italiana ENI, Occidentale, con sede negli USA, e Kogas, della Corea del Sud, hanno firmato un accordo provvisorio per il campo petrolifero di Zubair, che conta con una riserva di circa 4.000 milioni di barili. Eni, il gigante giapponese Nippon Oil e la firma spagnola Repsol stanno spingendo per avere un campo in Nasiriya che ha riserve di simile grandezza. Al nord dell’ Iraq, la Royal Dutch Shell sta negoziando un contratto per sviluppare aree non ancora sfruttate dell’importante campo di Kirkuk, dal quale si pensa si possa avere una riserva di 10.000 milioni di barili nonostante sia già in produzione dal 1934.

Mentre aspettano condizioni migliori, le compagnie energetiche stanno facendo accordi per migliorare i campi esistenti con la speranza che in questo si trovino in una posizione vantaggiosa quando ci saranno contratti più lucrativi che usino il modello PSA nei 67 campi non sfruttati che saranno messi all’asta quest’anno o il prossimo. Anche se ha portato via più tempo del previsto, i conglomerati energetici importanti hanno deciso che adesso che l’ Iraq è sufficientemente stabile per iniziare a far scaturire denaro ampliando in grande misura la produzione petrolifera del paese. Il primo passo già è stato dato nell’aprire l' industria petrolifera irachena, nazionalizzata nel 1975, agli investimenti stranieri.

Sottolineando il carattere neo-coloniale di questa operazione, due ex alti funzionari degli Stati Uniti dell'amministrazione Bush stanno facilitando operazioni societarie in Iraq. Jay Garner, il primo da parte dell'amministrazione d'occupazione americana in Iraq dopo l'invasione, è consulente per il Canadian Energy Company Vast Exploration, che ha una partecipazione del 37% in un giacimento di petrolio nel nord curdo. Zalmay Khalilzad, ex ambasciatore in Afghanistan, l'Iraq e alle Nazioni Unite, ha installato la sua società di consulenza per le imprese nella città curda di Erbil.

L’invasione e l’occupazione statunitense in Iraq è sempre stata una guerra per le risorse energetiche. Più di un milione di iracheni sono stati massacrati, milioni di feriti e traumatizzati, le sue città infrastrutture distrutte e decine di migliaia di soldati statunitensi morti o feriti, tutto questo perché gli USA ottenessero il controllo ed il dominio delle immense riserve di petrolio in Iraq come parte delle sue vaste ambizioni in Medio Oriente e Asia Centrale.
Gli Stati Uniti non sono riusciti a raggiungere tutti i loro obiettivi dopo la prima Guerra del Golfo nel 1990-91. Il regime di Hussein è rimasto al potere e, nonostante le continue sanzioni delle Nazioni Unite, ha firmato contratti con compagnie come il gigante petrolifero francese Total e Lukoil. Dall'ultimo decennio del secolo scorso, la Russia e le potenze europee hanno fatto pressione perché fossero tolte le sanzioni e queste compagnie potessero raccogliere i profitti. La guerra è diventata per gli Stati Uniti l’unico mezzo per impedire che i loro interessi corporativi venissero tagliati.

I conglomerati energetici statunitensi non si sono limitati ad essere semplici osservatori passivi. Rappresentati di alto livello della Exxon-Mobil, Chevron, Conoco-Philips, BP America e Shell hanno partecipato agli inizi del 2001 a varie negoziazioni con il “Gruppo di Lavoro per l’ Energia” dell’amministrazione Bush, che era capeggiato dal Vicepresidente Dick Cheney. Uno dei documenti che sono stati preparati per le discussioni conteneva una mappa dettagliata dei campi di petrolio, oleodotti e terminali iracheni, e una lista di compagnie estere, non statunitensi, che progettavano di installarsi lì. Un documento di maggio del 2001 di questo gruppo di lavoro affermava, senza giri di parole, l’obiettivo degli Stati Uniti: “Il Golfo sarà il tema principale della politica energetica internazionale degli Stati Uniti”.

Gli attacchi terroristici dell’ 11 settembre del 2001 hanno offerto un pretesto per la guerra. Le bugie sulle armi di distruzione di massa irachene si sono mischiate alle stupidaggini sulle connessioni iracheni con Al-Qaeda. Nel periodo precedente all'invasione, gli esecutivi dell’industria petrolifera si riunirono ripetutamente con i funzionari dell’amministrazione di Bush. Come il Wall Street Journal commentò il 16 gennaio 2003: “Le compagnie petrolifere statunitensi cominciano a prepararsi per il giorno in cui avranno un' opportunità di lavorare in uno dei paesi più ricchi di petrolio del mondo”.

Dopo aver fatto affogare nel sangue al popolo iracheno, l’oligarchia finanziaria e corporativa statunitense crede che quel giorno è finalmente arrivato. Anche se le corporazioni statunitensi non sono le uniche a beneficiare dei contratti, non c’è alcun dubbio che hanno l’ultima parola sul suolo iracheno. Con immense basi militari nel paese e con il regime di Bagdad vincolato a Washington, gli Stati Uniti sono nella posizione di dettare condizioni ai rivali europei e asiatici e, in mezzo alle tensioni tra le grandi potenze, blandire la minaccia di tagliare le forniture di petrolio, una premessa che non è precisamente nuova nella politica strategica statunitense.

Fonte: http://www.wsws.org/articles/2009/nov2009/pers-n11.shtml

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
Vanesa

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