26 agosto 2009

LA "DEMOCRAZIA" IMPERIALE TOCCA IL FONDO

L'impero statunitense, in queste ore, soffre di quello che potrebbe chiamarsi in modo appropriato un multi-collasso generalizzato della sua agenda del potere globale: Tutto è in crisi e in decadenza nella prima potenza capitalista, compreso il responsabile di turno, Barack Obama, che in 180 giorni di gestione (6 mesi) non è riuscito ad imporre neanche uno dei punti contenuti nelle sue promesse elettorali del "sogno americano" in democrazia.
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di Manuel Freytas

Questo lunedì, la stampa internazionale ci sorprende con una notizia: Preso dai problemi ( interni ed esterni) irrisolti, con la sua immagine e popolarità in caduta, criticato dai democratici e dai repubblicani, Obama ha fatto le valigie e se n’è andato in vacanza su un’isola paradisiaca del Pacifico frequentata dai ricchi, in una villa per la quale lo stato paga 35.000 dollari settimanali di affitto.

Fedeli al loro stile di “ricchi progressisti”, gli Obama hanno preso in affitto una villa conosciuta come “Blue Heron Farm” ( Azienda della Garza Blue), che ha accesso ad una spiaggia privata, un orto con meli , piscina e un campo di basket, lo sport favorito del presidente.

Il presidente imperiale ha lasciato Washington preoccupato per la guerra interna (tra repubblicani e democratici) causato dal suo piano di riforma del sistema sanitario, che comincia a figurare nella sua lunga lista di fallimenti di fronte all’opinione pubblica statunitense.

La riforma sanitaria progettata da Obama agonizza e ravviva il conflitto interno tra i democratici ed i repubblicani che aveva avuto il suo primo detonante con il colpo di Stato in Honduras, che divise l’Impero in una linea di sostegno al presidente decentrato (Zelaya) dalla Casa Bianca e l’altra con chiaro sostegno del governo golpista da parte del Pentagono e dei repubblicani conservatori.

I fallimenti successivi per imporre i suoi programmi, sia nella politica interna che estera, hanno colpito duramente la sua immagine pubblica mentre le critiche (per diversi motivi) alla sua gestione arrivano sia dal settore repubblicano sia dal Partito Democratico, i cui leader principali lo mettono in discussione per la mancanza di risultati delle sue decisioni.

Il Centro Prew rivelava la scorsa settimana che, in base all’ultimo sondaggio, il consenso di Obama è del 51%, di fronte al 61% di cui godeva a giugno ( è sceso di 10 punti in soli due mesi). E il “ Washington Post” venerdì ha pubblicato un’altra inchiesta insieme alla catena della ABC che, anche, scendeva la fiducia e il sostegno al presidente imperiale, al 49%.

Contemporaneamente, il principale problema interno dell' agenda di Obama, l’economia reale dell’Impero collassa in tutte le sue variabili, ed i settori più indifesi soffrono degli “aggiustamenti” mentre la crisi sociale, ancora con effetti non calcolabili, si affaccia dalla mano dei licenziamenti in massa nella prima potenza capitalista.

Nonostante i deboli segnali di recupero che mostrano alcune variabili dell’economia USA, tra gli economisti, media e analisti specializzati, rimangono i dubbi e gli interrogativi fino a dove arriverà la crisi con i licenziamenti e con la caduta della prima potenza imperiale.

Inoltre, in modo brutale (e ancora senza resistenza sociale) i riscatti industriali e finanziari del governo di Obama (utilizzando fondi delle tasse per salvare il capitalismo privato) scarica il costo del collasso recessivo economico ( la crisi) sul settore stipendiato ( forza lavorativa di massa), la massa meno protetta e in maggioranza della società statunitense, attraverso i licenziamenti e la riduzione delle spese sociali (aggiustamenti) che aumentano i livelli sociali di precariato economico e dell’esclusione in massa dal mercato lavorativo.

Da quando è scoppiato il collasso bancario e della borsa a settembre 2008, la prima economia imperiale non è mai riuscita a riprendersi, finalmente la crisi dell’ ”economia di carta” ha finito con l’avere un impatto sull’ “economia reale”, con un abbassamento del consumo popolare, disoccupazione in massa e un aumento del deficit fiscale come prodotto degli esborsi statali per riscattare le banche e le aziende private.

Nonostante i “segnali ottimisti” che lanciano Obama e le autorità europee, i propri dati ufficiali prevedono che con i mercati di credito paralizzati, nei prossimi mesi altre aziende entreranno in un processo di default e annunceranno nuovi licenziamenti. (sommati a quelli già esistenti) , e i consumatori stringeranno ancora di più la cinghia , man mano che la mancanza di credito si ripercuote sulla capacità d’indebitamento.

In questo scenario, come questo lunedì hanno detto alcuni analisti statunitensi, non sarà facile per Obama sbarazzarsi dei problemi nella paradisiaca isola Martha’s Vineyard, dato che lì sarà presente la decisa attivista antiguerra, Cindy Sheehan, per ricordargli il lungo rosario della continuità politica militare di Bush in Iraq ed in Afghanistan dove l’esercito USA continua ad essere insediato.

Anche, segnala questo lunedì la stampa nordamericana, rischia di esaurirsi la pazienza della comunità ispanica e dei gruppi difensori degli immigranti, che vedono come la battaglia per la sanità e altri fronti aperti nella Casa Bianca stanno ritardando l’avanzamento della loro sperata – e promessa- riforma integrale migratoria.

E’ anche fallito il recente tour discorsivo- pubblicitario di Obama nel M.O, che aveva uno scopo fondamentale, secondo la Casa Bianca: “Riconciliare” la relazione tra gli Stati Uniti e l’Islam, e fortificare un “processo di pace” in M.O.

Contrariamente al suo obiettivo, Obama ha convinto tutti tranne che i protagonisti del conflitto strategico di base: Israele e Iran, che, per diverse vie, hanno dato segnali che la visita di Obama è risultata così vuota e inutile come le sue parole cariche di “teoria senza pratica”.

Nonostante le sue “costose” vacanze “anti-stress”, la realtà, marcata dalle vere necessità dell’Impero USA, polverizza velocemente le promesse e il marketing discorsivo di Obama e mostra in modo crudo che la sua amministrazione- all’ora di fare- è una continuità in tutti i campi delle politiche sviluppate dalla presidenza Bush.


Sei mesi fa, ovviando la realtà strategica del dominio egemonico geopolitico-militare-nucleare degli Stati Uniti ( la cui dinamica si nutre e retro alimenta con la conquista militare permanente dei paesi e l'esaurimento delle risorse globali strategiche), la stampa mondiale e i suoi analisti edificarono nella figura e nei discorsi di Obama una "nuona alternativa mondiale" con gli Usa che rinunciano al loro status di potenza imperiale dominante.
Con la nomina di Barak Obama alla presidenza degli Stati Uniti si è sviluppata una campagna mediatica destinata a far credere alla maggioranza mondiale che la prima potenza capitalista imperiale, impantanata in Iraq e in Afghanistan, con il suo sistema finanziario polverizzato dalla crisi e da una recessione economica di effetti imprevedibili, si potrebbe ricreare a se stessa generando nuove aspettative e cambi “ democratici” di politica a livello mondiale.

La decisione di continuare la guerra contro il terrorismo (impiantata come logica di dominio militare e di conquista dei mercati), la scalata militare e i massacri dei civili in Pakistan e Afghanistan, il ritorno indietro nell’investigazioni delle torture della CIA, l’applicazione delle stesse politiche di Bush in Iran, nel Caucaso e nel M.O, il ristabilire i giudizi militari ai terroristi, e la ri-militarizzazione dell’America Latina, segnalano con chiarezza la vera strada della gestione di Obama alla Casa Bianca.

D’accordo con quello che molti chiamano la “nuova dottrina Obama” (che in realtà è la vecchia dottrina Bush) Washington dà un impulso alle sue politiche di posizionamento militare orientato a controllare i mercati e le fonti d’energia e di risorse naturali in Asia, Africa e America Latina.

Durante i suoi primi 90 giorni di governo, e mentre affermava nuovamente nei suoi discorsi la “rinuncia degli Stati Uniti al suo ruolo di potenza imperiale dominante”, Barack Obama ha deciso di approfondire l’occupazione militare inviando più soldati in Afghanistan, aumentare la spesa militare statunitense a livelli da record, ad imporre (attraverso il G-20 e il FMI) un nuovo piano di indebitamento per far pagare la crisi finanziaria imperiale ai popoli di Asia, Africa e America Latina.

Le decisioni di Obama a sei mesi di governo (contraddicendo le sue promesse) sono le migliori prove che le politiche strategiche di sopravvivenza imperiale degli Stati degli USA è al di sopra della volontà personale (o del discorso elettorale) dell’eventuale responsabile che occupi la Casa Bianca.

Come è già stato dimostrato in forma storica e statisticamente: Negli Stati Uniti, la potenza locomotrice del capitalismo sionista su scala globale, non governano i presidenti o i partiti, ma l' èlite economica-finanziaria ( il potere reale) che controlla la Federal Reserve, il Tesoro, Wall Street, il Complesso Militare Industriale e Silicon Valley.

Finite le luci artificiali della campagna elettorale, democratici e repubblicani smettono di aggredirsi e si complimentano in un disegno di politica strategica di Stato a difesa degli interessi delle grandi corporazioni economiche che segnano l’azione delle politiche interne e della conquista di mercati coperti da “guerre preventive” contro il “terrorismo”.

Con Obama (così come ha fatto con Bush ed il resto dei presidenti) il Pentagono Usa, con i suoi cinque comandi strategici presenti nel pianeta, continua a svolgere il ruolo di gendarme mondiale delle banche e transnazionali imperialiste che depredano il pianeta in nome della “civiltà e democrazia”.

Con la caduta di Bush e l’avvento di Obama, l’impero USA ha cercato di ricreare la mistica “del nuovo sogno americano” e generare una nuova aspettativa di “riciclo democratico” nella figura di un “afroamericano” arrivando ai massimi livelli decisionali della Casa Bianca. “Siamo così democratici , che perfino un negro può governare”, quasi dicevano gli slogan in campagna elettorale.

La “guerra antiterrorista”, le occupazioni imperiali a volto scoperto, la crisi economica USA esportata a livello globale e la decadenza accentuata del “comandante” Bush avevano picchiato forte: Dal proprio fronte alleato europeo sono cominciate le voci sulla “perdita dell’influenza” dell’Impero nordamericano.

Bisognava ricomporre l’unità di comando e restaurare la consumata immagine degli USA come potenza imperiale. Bisognava dire ai profetici della “fine dell’impero”: Potete continuare a credere nella solidità del sistema statunitense. Continuate ad investire in dollari, benvenuti ai buoni-rifugio del Tesoro degli USA. Siamo come l’Araba Fenice: Rinasciamo dalle nostre stesse ceneri, più democratici che mai e con un negro come presidente.

Obama- nei termini in cui il nuovo marketing pubblicitario della sua campagna elettorale lo presentava- aveva come missione quella di dimostrare che l’Impero statunitense non creava guerrieri militari (del tipo di quelli che bombardano “ terroristi” con musica di Wagner da sottofondo) ma “appostoli della pace e della democrazia” contenuti nel pubblicitario “ nuovo sogno americano”.

D’accordo a con l’immagine di Obama che la stampa internazionale presentava all’insediamento del 20 gennaio, le oltre 800 basi militari nordamericane che circondano come un anello di morte le aree delle risorse strategiche del pianeta (energia, acqua, alimenti e biodiversità) non potrebbero funzionare con ordini castrensi ma con aforismi di Mathama Gandi.

Solo sei mesi di gestazione hanno dimostrato la falsità e hanno già quasi finito con il “mito Obama” fabbricato su scala globale dalla stampa sionista internazionale.

Obama è in vacanza: al suo ritorno lo aspettano l’inferno “controterrorista” e la crisi recessiva irrisolta, e tutto quello che sarà similare a Bush sarà pura casualità.

Fonte: http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/norteamerica/0072_obama_en_recesion_24agos09.html

Tradotto per Voci Dalla Strada da VANESA

1 commento:

  1. come già in francia e germania eccetera questi hanno il vizio d'esibirsi in bella vista e tutti insieme nei momenti meno indicati. Ci gioco le palle, anche in Egitto andò così e il faraone perciò se li tolse dai piedi. La maledizione del popolo eletto dall'unico Dio, perciò il più bello, ricco, intelligente, eccetera. S'impicciano in tutte le faccende più delicate, salgono, sgomitano, leccano, intrigano, eccoli su in cima che strillano come tanti oconi pavoni.
    Una colpa ce l'hanno i loro vecchi e grossa, l'invenzione dell'unico Dio, ebreo cristiano maomettano. La più grande porcata della storia umana.
    Il resto no, a parte la mania esibizionista, il culto ridicolo della propria unicità che li espone alla rabbia e all'invidia dei gorilli coglioni. Il resto non è colpa loro eh! Sarebbe troppo comodo, manica di bastardi che siete, che siamo. Un bel bagnetto purificatore di sangue ebraico, sì? Ecco che tutto si rimette a funzionare meglio che in paradiso.
    Già girano le liste dei nomi, già s'affilano i coltellacci e si scaldano le stufe. Che puzza mi fate ragazzi, che puzza insopportabile d'idiozia gorilloide.

    Profezia, l'ultimo uomo, che spegnerà la candela e chiuderà la porta sulla nostra miserabile storia di malvissuti fatti di paura e stupidità, sarà un ebreo. Chissà le arie che si darà davanti allo specchio, l'imbecille.

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