18 giugno 2009

CRISI FINANZIARIA E FAME MONDIALE


Chomsky deplora che quasi tutti parlino dei problemi finanziari e pochi della fame mondiale.

di David Brooks

Quando si parla della “crisi”, quasi tutti si riferiscono a quella finanziaria, dato che colpisce direttamente i ricchi, ma la crisi dei mille milioni di esseri umani che affrontano la fame, tra i quali circa 40 milioni negli Stati Uniti, non è importante, perché tutti i bisognosi sono poveri, ha detto Noam Chomsky, che con voce tranquilla, scrupolosamente ha devastato tutti i miti del denominato mercato libero.

Chomsky ha documentato in modo sintetico le crisi multiple, quella finanziaria, economica , militare, ecologica e alimentare, tra le altre- e i suoi fili in comune, costruendo la radiografia di un sistema che si maschera come “ democrazia” ma che alla fine ha come obiettivo quello di socializzare i costi e privatizzare i guadagni, e difendere i privilegi di una sempre più ridotta minoranza ricca, con conseguenze sempre più sinistre per la maggior parte e per il pianeta stesso.

E’ necessario smantellare “l’edificio delle illusioni” che si vende come democrazia del libero mercato affinchè l’essere umano sopravviva, e per farlo c’è bisogno di raffrontarsi ad un modello che cerca di proteggere gli interessi “della minoranza dell’opulenza contro la maggioranza”, ha assicurato.

“Il popolo paga i costi”
Chomsky , venerdì scorso, ha parlato di fronte a circa 500 persone, dal famoso podio della chiesa di Riverside, lo stesso dal quale Martin Luther King JR aveva offerto il suo storico discorso nel 1967 contro la guerra del Vietnam e il sistema imperiale statunitense, dal quale ha anche parlato Nelson Mandela e recentemente Arundhati Roy- durante un atto organizzato dal Brecht Forum, centro indipendente di studi della sinistra.

"La crisi di oggi si intreccia in vari modi", ha detto, ed alcuni sono di maggiore priorità rispetto ad altri, per la semplice ragione da Adam Smith ha dichiarato che "i principali architetti delle politiche garantiscono che i loro interessi siano prevalenti, non importa il costo ".

E Chomsky, come sempre, ha offerto esempio dopo esempio, documentando la storia. Ha parlato della storia di Haiti, dai francesi all’invasione statunitense di Woodrow Wilson, fino alla manipolazione fatta da Washington della sfida di Jean Bertrand Aristide, sia per il repubblicano George Bush padre come per il democratico Bill Clinton, imponendo il modello neoliberale, con l’inevitabile risultato di “distruggere la sovranità monetaria” di questo paese, che si trova adesso nelle prime file della crisi alimentare.

“Questa storia è molto simile in tutto il mondo”, ha aggiunto, segnalando il Bangladesh e decine di altri esempi.

"La radice comune della crisi di oggi nel Sud e il Nord è il passaggio verso il neoliberismo degli anni settanta" Ha dichiarato. Questo aveva segnato la fine della crescita sostenuta nel dopoguerra, conosciuta come “l’età d’oro del capitalismo”, con il suo stato sociale di benessere e il suo incremento di reddito e di diritti, che è stato di fatto un “capitalismo di Stato”.

Oggi, “ il flusso libero del capitale crea un Senato virtuale che realizza un referendum istantaneo che vota contro gli intenti di beneficiare la maggioranza a spesa del proprio interesse”.

Adesso, con l’attuale crisi che colpisce i ricchi, si adotta la stessa strategia di sempre: “la popolazione paga i costi e si prende i rischi, mentre i guadagni vengono privatizzati”.

Ha anche parlato della politica estera, indicando che Washington non desidera abbandonare così velocemente la sua presenza in Iraq ed ha avvertito che il nuovo obiettivo sul Pakistan e l’Afghanistan è un gioco molto pericoloso, dato che minaccia la pace mondiale e la sopravvivenza umana a causa delle armi nucleari che si trovano lì.

Ha aggiunto che è allarmante che “un assassino membro delle forze speciali dagli occhi impazziti”, il generale Stanley McChrystal, sia stato nominato comandante delle forze statunitensi in Afghanistan.

Dall’altra parte, ha segnalato, che adesso è il momento decisivo per definire la sopravvivenza umana di fronte alla crisi climatica.

“Dobbiamo affrontare forse la cosa più importante: come cambiare il modello corporativo statale stabilito durante il dopoguerra, promosso dalle aziende automotrici, petrolifere tra le altre, che hanno portato a questa crisi ambientale e ad altre crisi.”

Nel suo ripasso sulla crisi del mondo, ha espresso che per imporre politiche che non riflettono l’interesse della maggioranza negli Stati Uniti ed in altri paesi, si è fatto ricorso di meno alla forza che al “controllo dell’opinione pubblica attraverso l’industria delle relazioni pubbliche, con lo scopo di creare la fabbrica del consenso”.

Ma sempre impera, dagli inizi di questa repubblica, l'intenzione di proteggere gli “interessi della minoranza opulenta” contro tutti gli altri, con concetti come che "una minoranza intelligente deve governare ad una maggioranza ignorante e meticcia.” Questo naturalmente guidato da una “elite democratica”, ma con la stessa dottrina.

Ha messo in evidenza la resistenza popolare per affrontare il progetto dell' elite, ed ha sottolineato che le ribellioni degli anni 60 “ hanno avuto un effetto civilizzatore”. Ha aggiunto che sempre sono stati lanciati “attacchi dell' elite contro la democrazia” e che il modello del libero mercato corporativo rimane “l’ostacolo all’efficienza e la presa razionale delle decisioni”.

“Non c’è alcun motivo per rimanere passivi” ha commentato al suo pubblico di sinistra. Perché non occupare uno stabile (riferendosi ai ritagli fatti dalla General Motors) per trasformarla in un centro di produzione di trasporto di massa? Non è un questionamento esotico. Che i lavoratori controllino i loro stabilimenti è così tipicamente statunitense come la torta di mele”.

Infatti, ha aggiunto, parte dell’obiettivo degli amministratori dell’attuale sistema è quello di “cancellare tutta la memoria delle lotte sociali, ma ha avvertito che forse queste tendenze “continuano ad essere latenti” nel popolo e “possono essere svegliate”. Questo è un momento propizio per farlo.”
Il compito, ha detto, è quello di superare “il deficit democratico” e “promuovere una società democratica che funzioni veramente”. Tra i punti salienti per riuscirci ha identificato il rinnovamento dei sindacati, la lotta educativa e culturale e ciò che è necessario per “smantellare l’edificio delle illusioni” creata dalle minoranze che governano nelle cosiddette democrazie formali.

La crisi fondamentaleoggi, ha riassunto, è quella forse del “deficit democratico”, il divario che esiste tra gli interessi della gran maggioranza e le politiche dei governanti.

Fonte: http://www.visionesalternativas.com/index.php?option=com_content&task=view&id=44276&Itemid=1

Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da VANESA

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