11 febbraio 2009

IL RITORNO PERICOLOSO DEL PROTEZIONISMO


di Beatriz Amigot/Maria Garcia Mayo 11.02.2009

Mentre una metà del mondo mette in allarme contro i pericoli che comporta l’attentato al libero commercio, l’altra metà soccombe alla tentazione di proteggersi. Con la lezione più o meno impartita dalle conseguenze della Grande Depressione, i governanti di oggi, dibattono tra difendere il lavoro nazionale o prepararsi per competere meglio al di là degli aiuti oltre la frontiera. Al momento, hanno preso la strada in bilico e anche se non sono stati ristabiliti i vecchi dazi c’è un protezionismo latente mascherato da aiuti pubblici e del nazionalismo economico. L’urlo “comprate prodotti fatti in casa” riecheggia in tutto il pianeta.

Le muraglia rinascimentali di Lucca poco possono fare per salvaguardare questa città della Toscana dagli influssi esteri. Ma il suo sindaco si è impegnato e ha messo in moto la macchina normativa per vietare nel centro storico, ristoranti che non siano italiani. Nè kebabs, nè nè hamburger: hanno spazio solo piatti che abbiano il tocco della mamma. Questa misura ha come obiettivo il preservare la cultura e la tradizione culinaria della regione. Potrebbe sembrare un aneddoto ma non lo è. Riflette l’atteggiamento protezionista che in questo momento di crisi percorre tutto il mondo.

La caduta della domanda e la mancanza di liquidità stanno frenando il commercio mondiale tanto, che, secondo le ultime previsioni del FMI, cadrà un 2,8% nel 2009 (una cifra molto lontana all’aumento del 10,8% registrato nel 2005). Nel 2008, il rallentamento della crescita del commercio mondiale è stato il doppio rispetto alla riduzione dell'aumento della produzione. Le difficoltà ad avere finanziamenti hanno portato ad un aumento del volume dei crediti commerciali concessi per le transazioni internazionali. Ricordiamo che circa il 90% di queste transazioni internazionali richiedono questa "finanziazione” spiega Juan De Lucio, direttore del Servizio degli Studi del Consiglio Superiore della Camera di Commercio.

In questo contesto di paralisi, gli esperti coincidono nel fatto che risorge la tentazione di mettere barriere al libero interscambio di merce e servizi per preservare le quote di mercato, ma sono d’accordo che si tratta di una strategia preoccupante con risultati nefasti a lungo termine.

E' più allarmante, se possibile, quando il messaggio protezionista lo capeggiano gli Usa, cioè, il più grande compratore del mondo (a novembre il suo deficit commerciale di merce accumulato negli ultimi 12 mesi aumentava a 833.100 milioni di dollari).

Tutti gli occhi sono posti sul nuovo presidente Barack Obama. Lui ha mantenuto un atteggiamento ambiguo rispetto al commercio. Secondo uno studio del Centro degli Studi della Politica Commerciale nell’Istituto Cato di Washington, il senatore Obama aveva votato a favore del libero commercio soltanto in 4 delle 11 votazioni importanti relazionate con le barriere commerciali. Ad esempio, si è mostrato contro il Trattato del Libero Commercio e a favore dell’ammenda Schumer-Graham, che imponeva tariffe (dazi) del 27,5% agli articoli cinesi a meno che questo paese non rivalutasse la sua moneta. Un tema che deve essere risolto.

Ma allo stesso tempo ha appoggiato il commercio libero con Omàn e Perù, e in uno dei suoi libri, The Audacity of Hope(2006), difendeva i benefici che ha portato la sua espansione commerciale. Con questi precedenti, è da vedere quale sarà la sua politica commerciale.

Visto il carattere globalizzato dell’economia e dell’opposizione generalizzata alle barriere commerciali dopo l’esperienza della Grande Depressione, non sembra molto probabile che si produca una rinascita protezionista come quella avvenuta durante gli anni 30. Allora, gli Usa avevano approvato la relazione Smmot-Hawley che toccava circa 20.000 prodotti importati. Il risultato non poteva essere peggiore: il commercio internazionale si ridusse del 66% e rallentò l’uscita dalla crisi. E’ probabile che questa esperienza si torni a ripetere, ma questo non è un freno affinché il protezionismo raggiunga un alto livello di astuzia nel farsi strada. Adesso, l’accento non si mette tanto nel penalizzare i prodotti stranieri ma nel beneficiare dei propri.

Fonte:http://actualidad-economica.com/2009/02/12/proteccionismo.html

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