21 gennaio 2009

CONTRO LA CRISI PIU' EUROPA?

Nell’unico Paese in cui i cittadini sono stati chiamati a pronunciarsi riguardo al Trattato di Lisbona, hanno prevalso i NO, così è stata decretata la bocciatura per l’Unione Europea delle banche per la seconda volta, come già accadde nel 2005 dopo il voto negativo di francesi ed olandesi riguardo sulla Costituzione.
In questa delicatissima fase della crisi economica europea e mondiale, ancora si vuole far credere ai cittadini...poco informati, che si esce dalla crisi con il Totalitarismo dell'UE. Il Trattato di Lisbona è la costituzione delle Banche, per le banche, in difesa dei propri interessi e delle multinazionali. Se estrerà in vigore nessun ciddadino europeo ne trarrà beneficio, non bisogna fidarsi delle belle parole dei nostri burocrati servi delle banche, la crisi economica è stata creata dalle banche e loro vogliono dare ancora più potere a queste.
Riporto quest'articolo tratto da El Pais dove ancora una volta si leggono le affermazioni e dichiarazioni propagandistiche sul Trattato di Lisbona da cui si può ben capirte come NON hanno in mano soluzioni alla crisi, ma solo una determinazione nel voler acquisire ancora più potere. Di seguito le dichiarazioni di Joaquin Almunia.
Alba kan.

Da EL PAIS:
Contro la crisi più Europa.
I resti dell'eredità ideologica della Thatcher e Reagan sono crollati. Si inizia un periodo di maggior ruolo del settore pubblico, nell'economia e di maggior regolamentazione del sistema finanziario.
La UE deve attuare questo unita.

Joaquin Almunia 19/01/2009:
"L'anno 2009 sarà dominato dalla crisi. Ricordarlo ancora una volta non vuol trasformare la preoccupazione per ciò che ci attende in un atteggiamento pessimistico senza spazio per la speranza. In realtà, grazie alle decisioni prese nei mesi scorsi, presto la situazione può cominciare a migliorare. Il rischio del collasso finanziario è stato superato e già cominciano a migliorare alcuni indicatori nel mercato monetario. Adesso bisogna avere fiducia che i piani di sostegno al settore bancario, i ritagli degli interessi e le misure di stimolo fiscale, insieme alla discesa dei prezzi dell'energia, di altre materie prime e dell'inflazione aiutino a paliare gradualmente le conseguenze più acute della recessione. Ma non bisogna illudersi sulla grandezza del compito che ci aspetta: essendo realisti, bisogna essere consapevoli che una catastrofe come questa non potrà essere superata del tutto fino a che non siano sradicate le sue radici attraverso un insieme di riforme. Non sappiamo con rigore scientifico quando si raggiungerà nuovamente la velocità della nave a livello dell'attività economica, ma si che il futuro sarà condizionato dalla forma in cui si risponderà alla crisi. Da ciò che faremo da adesso non solo dipende il quando ma anche come se ne uscirà.
In una prospettiva a mezzo termine, non tutto sono domande e incertezze. Se qualcosa è certo a questo punto, è che ciò che rimaneva in piedi dell'eredità ideologica della Thatcher e Reagan, il loro sdegno verso i tentativi di correggere gli effetti indesiderati del laissez faire, in definitiva verso la politica, è crollata. Si inizia adesso un periodo caratterizzato per un ruolo più attivo del settore pubblico nell'economia e in modo particolare per una regolamentazione più abbondante e estensiva nel sistema finanziario.Questo dovrà essere più trasparente; la sua supervisione, più rigorosa, la coordinazione dei supervisori attraverso le frontiere, più efficaci; la gestione del rischio, più curata.
Anche se il trattamento più urgente della crisi si è centrato sui mercati finanziari, le soluzioni( devono includere una prospettiva più ampia: una cosa è correggere gli errori nella regolazione e supervisione del sistema finanziario e un'altra che ciò sia sufficiente per riuscire a recuperare l'economia in condizioni sostenibili. E questo per vari motivi. Da una parte, la pressione maggiore sulla regolamentazione dei mercati e entità finanziarie avrà come conseguenza almeno durante un periodo di tempo la diminuizione sostanziale del grado di forza di leva e un contributo più mite dalla crescita del PIL, il cui potenziale di fronte al futuro è inferiore adesso alla tendenza registrata nell' ultima decade. Dall'altra parte, le politiche macroeconomiche di ispirazione keynesiana in una prospettiva a medio termine. La politica monetaria è vicina all'esaurire la sua munizione convenzionale e le banche centali sanno che nel futuro non possono ripetere l'atteggiamento "tranquillo" che hanno mantenuto di fronte all'apparire di successive e continue bolle di sapone. Inoltre l' espansione monetaria, oggi così neccesaria, porrà rischi inflazionistici se si allunga eccessivamente. A sua volta, le finanze pubbliche stanno prendendo a loro carico un considerevole peso aggiuntivo, fin quando lo stimolo fiscale sia imprescindibile per sostenere la domanda, i governi saranno costretti a sviluppare strategie di consolidamento e sdebitamento che li collochi nuovamente in una posizione sostenibile.
Alla visione di queste restrizioni, la ricerca di motori alternativi per impulsare la crescita futura conduce verso delle politiche strutturali che dovranno giocare un ruolo rilevante come fattore per dinamicizzare e migliorare i livelli produttivi.
Dall'altra parte bisogna prestare attenzione a ciò che succede nell'offerta. Qualche pista marca l'innovatore potenziale dei settori energetici e medioambientali nella lotta contro il cambio climatico: altre aggiungono il bisogno di rinforzare politiche e strategie orizzontali; educazione qualitativa a ogni livello, aumento delle spese in I+D; finanziamento adeguato per nuove iniziative imprenditoriali; miglioramento della regolamentazione delle piccole imprese, più flessibilità nel funzionamento dei mercati dei beni, servizi e lavoro. Nella maggior parte dei casi, la sua efficacia aumenterà se si concepisce il suo disegno su scala europea, anche se non sempre si riescano a vedere le cose in questo modo dalla prospettiva degli Stati membri dell'UE, che spesso credono che i loro interessi siano difesi meglio attraverso iniziative individuali che sulla base di decisioni pensate e coordinate con i loro colleghi e con le istituzioni europee.
Cosa succederà adesso in relazione a alcune poliitche chiavi strutturali al momento di superare la crisi in modo sostenibile? La crisi del gas ha evidenziato ancora una volta il bisogno di avanzare verso una politica energetica comune. Le mancanze della rete integrata delle infrastrutture europee del gas e dell'elettricità richiedono ad alta voce una soluzione che, in un modo o in un altro, dovrà essere finanziata e sviluppata in modo coordinato a scala dell'UE. A sua volta, il ritardo accumulato dalla maggior parte dei paesi europeri di I+D può trasformarsi in endemico con conseguenze prevvedibili in termini di perdite competitive addizionali se non approfittano le economie di scala propria i progetti di dimensione comunitaria.
Il grande pacchetto di stimolo fiscale che viene ennunciato da parte della nuova Amministrazione americana si tradurrà, quasi sicuramente, nella moltiplicazione delle risorse disponibili in aiuto delle politiche dall'altra parte dell'Atlantico. Ma se l'Europa reagisce in modo dispersivo, avrà perso ancora una volta l'opportunità di raggiungere un posto tra i primi in termini di competenza e di dinamismo economico, come accade dalla seconda metà degli anni novanta. Inolte, l'UE neccesita di approfondire la costruzine di uno spazio economico integrato, nel quale le varie libertà che conformano il mercato interno libera la circolazione di persone, beni, servizi e capitali che facilitino il passo di risorse umane, finanziario e tecnologico da settori protetti dalla competenza verso settori competitivi, dalla casa verso l'industria e i servizi, da attività con un basso valore aggiunto verso settori di punta.
Ma l'EU è prima di tutto un progetto politico intorno a un insieme di valori, tra i quali include un modello sociale avanzato. Non può avere come unica divisa socioeconomica la più o meno intensità regolatoria in determinati settori o il funzionamento efficace dei mercati. Se si limita a questo, l'idea europea sarà sempre meno attraente per alcuni votanti stanchi in questo momento dalle loro aspettative lavorative o dalla sostentabilità del modello sociale. Il messaggio europeo deve essere compatibile flessibile e sicuro non solo nel mondo del lavoro. La modernizzazione dei settori non finanziari dell'economia non possono ignorare le preoccupazioni di coloro che soffrono direttamente dei cambiamenti e delle domande di coloro che richiedono più risorse per affrontarle con successo. L'economia europea deve essere aperta e conpetitiva, ma la liberalizzazione e la flessibilità devono essere accompagnate da politiche che "armino" i cittadini in modo che possano affrontare una situazione competitiva. E questa combinazione oggi non esiste nell' insieme delle politiche in mano alle istituzioni europee.
I cittadini intuiscono molto più chiaramente attraverso i suoi dirigenti che l'europa deve svolgere un ruolo molto più attivo in questo contesto. Non è questione di nuovi cambiamenti nel Trattato. Adesso che siamo quasi alla fine della ratifica del Trattato di Lisbona, bisognerebbe evitare di cadere in oscuri dibattici istituzionali. L'attivismo di Sarkozy con le sue luci ed ombre di iperprotagonismo e intergovernabilità è tornato a svegliare l'attenzione di quanto l'Europa può fare agendo unita. Credo che ci siano ragioni più che valide affinchè la proiezione dell'attuale strategia di Lisbona verso la crescita ed il lavoro oltre l'anno 201o si affronti da questa prospettiva, ambiziosa ma necessaria. Perchè ciò che è in gioco non è nient'altro che il futuro di ognuno dei nostri paesi, delle nostre economie, del nostro modello sociale, forse della democrazia così come la conosciamo.
Joaquin Almunia è commissario europeo degli affari economici e monetari.

1 commento:

  1. LE RAGIONI DELL’ANTIBERLUSCONISMO

    La sottovalutazione irresponsabile e sistematica del “berlusconismo”, non solo da parte della cittadinanza ma (ben più grave), di alcune alte cariche dello Stato, li rende complici, ad ogni effetto, dell’imminente bancarotta fraudolenta dissipativa del paese e della sua deriva morale e sociale. Come meravigliarci, a questo punto, dell’impennata di criminalità organizzata nelle civili regioni del nord quando, il nostro parlamento, oggi, è la roccaforte del malaffare, dove si organizzano oscure trame, complotti e si smistano pizzini?
    E’ inimmaginabile che, in un paese normale, come i tanti in Europa, un figuro del genere, sia potuto approdare al parlamento e investire una tale carica politica ne, tanto meno, essere l’imprenditore di successo che oggi é.

    Oggi, l’antiberlusconisimo (come l’antifascismo) è una moderna forma di resistenza. Un atto dovuto, un dovere civile dal quale, nessuno si può (o si dovrebbe) sottrarre.
    Ma la storia, inesorabilmente si ripete e, come allora, la stupidità, il qualunquismo e la malafede degli italiani, ritorna ad accanirsi su questo povera e sciagurata Italia. Come allora pagheremo il prezzo, della nostra irresponsabilità e coltivata cecità.
    Propaganda e populismo, mistificazione e contraffazione della realtà, ritornano di nuovo ad essere le efficaci armi di persuasione e di seduzione - invitanti come il canto delle sirene, e le lusinghe del maligno.
    Il “berlusconismo” è una patologia infettiva e virulenta che agisce sui lati peggiori degli individui, legittimandoli e sdoganandoli come normalità - una visibilità insperata, venduta al prezzo di servilismo, omertà e cieca obbedienza.
    Una congrega, di cialtroni e reietti, che contrappone la furbizia all’intelligenza e il mercimonio alla dignità. Il rischio, poi, che un tale precedente, possa attecchire, ed essere preso ad esempio nel resto dell’Europa, è una possibilità da considerare.
    Il problema, di fatto, non è tanto Berlusconi, ma il “berlusconismo” - un concentrato (unico caso nella storia delle democrazie occidentali) della peggiore feccia unita della società italiana. Una banda di avventurieri, farabutti, traditori della propria patria e dignità, affaristi e mafiosi, asserviti al capo Clan, in cambio di privilegi, impunità, visibilità e potere. Oggi, questi personaggi, sono ai vertici di comando di ogni settore economico e produttivo, non che, detentori di tutto il capitale in circolazione. Una spada di Damocle sulla nostra testa e sul futuro di questo paese. L’eredità di Berlusconi sarà, per drammaticità, più devastante di quanto non sia stata la sua permanenza alla guida di governo.
    Il calcio mercato di deputati e senatori, è l’ennesimo e non ultimo atto di uno sconcertante, indicibile e perverso imbarbarimento della morale e dell’etica che, oggi, nel “berlusconismo”, trova la sua patria naturale.

    Silvio Berlusconi, consapevole del dopo, tenterà in tutti i modi e con tutti i mezzi, di rimanere in sella, pur di non affrontare la realtà. Se in uno slancio di buon senso, si fosse messo da parte (anche se fuori tempo massimo), quel gesto di tardiva responsabilità, lo avrebbe in parte assolto dalla sua condotta, restituendogli un briciolo di dignità. Ma codardia e infamia, hanno preso il sopravvento sulla ragionevolezza e il decoro, inserendolo, a buon diritto, fra la lista, dei personaggi più inquietanti e riluttanti della storia d’Italia.

    Gianni Tirelli

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