26 agosto 2022

Sotto le località turistiche israeliane, giacciono i resti di città palestinesi un tempo fiorenti

Tra le due storiche città portuali palestinesi di Haifa e Akka, entrambe occupate dal 1948, esiste un’incantevole baia chiamata Baia di Haifa. Le città sono state sottoposte a una pesante campagna di pulizia etnica, e ora sono costituite da una popolazione israeliana a maggioranza ebraica. Diverse colonie sioniste sono state costruite lungo la baia di Haifa nel corso degli anni e, anche se si tratta di immobili di prim’ordine fronte mare, gli alloggi sono stati costruiti principalmente per i nuovi immigrati poveri.

Una delle colonie costruite sulla baia di Haifa è la città di Kiryat Yam. Si trova proprio sulla costa mediterranea, ma l’area è considerata zona svantaggiata perché è ancora in gran parte una comunità di immigrati e soffre di un alto tasso di criminalità. Ogni mattina, gli immigrati russi in pensione che vivono a Kiryat Yam passeggiano sulla spiaggia, nuotano nel mare o semplicemente si siedono e osservano lo splendido panorama.

L’unica lingua che si sente parlare sulla spiaggia, o in qualsiasi altra parte della città, è il russo. La spiaggia è incantevole, ben tenuta, con sedute e molte zone d’ombra. Guardando le persone sulla spiaggia, si potrebbe pensare che questo sia un villaggio vacanze sul Mar Nero. Ma non lo è. Questi non sono turisti, sono colonizzatori europei, e questo non è il Mar Nero; è la costa della Palestina.

Dove sono gli Arabi?


Non ci sono nomi arabi per nessuna delle città lungo la baia tra Haifa e Akka, due città arabo-palestinesi che furono consacrate da Daher Al-Umar, uno sceicco arabo palestinese del 18° secolo noto anche come il Signore di Galilea. Kiryat Yam, che è un nome ebraico, si trova su quello che un tempo era il villaggio di Arab Al-Ghawarina. Il villaggio fu occupato, spopolato e distrutto nel maggio 1948.

Oggi, anche se sia Akka che Haifa hanno ancora molti residenti palestinesi, nelle città della baia di Haifa e sulla spiaggia sono praticamente invisibili. Di certo, nella realtà degli immigrati russi che si godono le belle spiagge e le calde acque del Mediterraneo, i palestinesi non esistono.
A sinistra: colonizzatori ebrei si allineano su un molo in attesa di un insediamento nella vicina Haifa, 13 marzo 1947. A destra: palestinesi aspettano di fuggire da Haifa il 28 aprile 1948, a seguito di un grande attacco delle forze ebraiche al porto. Foto: AP

Questo è vero nella città di Tel Aviv, gran parte della quale era Yafa, in tutta Gerusalemme Ovest (che era prevalentemente palestinese prima del 1948) e in molti dei nuovi quartieri costruiti a Gerusalemme Est dopo il 1967. È così anche in luoghi come Tabariya, Safad e altre città che erano esclusivamente palestinesi prima degli eventi catastrofici del 1948.

La scomparsa dei palestinesi dal paesaggio è evidente anche nei grandi blocchi di insediamenti nella Palestina del 1948. Nei villaggi, nelle città e nei quartieri di nuova costruzione in tutto il Paese, nuovi edifici scintillanti spuntano ovunque, ma le case sono solo per gli ebrei. Un ottimo esempio è l’insediamento di Kochav Yair. Questa cittadina incontaminata di diecimila abitanti è stata costruita esclusivamente per gli ebrei su terre che appartengono alle città palestinesi di Taybeh, Tira e Qalansawe, conosciute anche come il Triangolo. Queste città palestinesi, come tante altre, hanno una grave carenza di alloggi. Ciò è in parte dovuto al fatto che le unità abitative della città non sono disponibili per i palestinesi.

Quando i palestinesi cercano di acquistare di un appartamento in una di queste città vengono rifiutati, a volte direttamente, altre volte con il falso pretesto che i progetti residenziali sono esauriti.

Condizioni inimmaginabili

Un palestinese che vive in un quartiere non riconosciuto della città di El-Lyd ha cercato di acquistare un appartamento i cui costruttori dicevano che le unità saranno messe a disposizione in base all’ordine di arrivo. “Ero il primo nome sulla lista”, mi ha detto. Quando non ha avuto risposta, ha chiamato e gli è stato detto che erano esauriti.

Un altro palestinese, anch’egli di El-Lyd, mi ha raccontato una storia simile. Nel suo caso, è andato con il suo datore di lavoro ebreo. “Sono andato per acquistare un appartamento e mi è stato detto che erano esauriti. Poi, il mio capo, che è ebreo, è entrato e gli sono stati offerti diversi appartamenti tra cui scegliere. “Perché hai detto al mio dipendente palestinese che erano tutti venduti?” chiese. “Se si venisse a sapere che vendiamo agli arabi, perderemo tutti i nostri affari qui”, hanno risposto.

El-Lyd era esclusivamente palestinese. Prima del 1948 era una città che aveva un aeroporto internazionale e una grande stazione ferroviaria centrale. Infatti, prima che l’aeroporto prendesse il nome di Ben-Gurion, era chiamato Aeroporto di El-Lyd. Poi, nel 1948, dopo una serie di crimini di guerra e un massacro, gli abitanti della città furono allontanati con la forza e la città fu invasa da immigrati ebrei. Secondo il politico locale Fida Shehade, attualmente il numero ufficiale di palestinesi in città si aggira intorno al 30%.

Mentre i coloni ebrei ricevono incentivi per trasferirsi in città, il principale incentivo è costituito da alloggi moderni di nuova costruzione a prezzi accessibili, i cittadini palestinesi soffrono di una grave crisi abitativa. I palestinesi di El-Lyd sono costretti a vivere in condizioni che gli ebrei residenti nella città non avrebbero e probabilmente non potrebbero nemmeno immaginare. Nessuna raccolta dei rifiuti, niente elettricità, niente strade o accesso all’acqua. Sono inoltre oggetto di crimini violenti e di negligenza generale da parte delle autorità.
Bambini palestinesi giocano in ciò che resta di un’area di un quartiere arabo a Lyd intorno al 2012. Oded Balilty | AP

Andando avanti

Il pretesto per lasciare che le cose peggiorino per i palestinesi e non fare nulla al riguardo è: “è troppo complicato” o “giustizia e uguaglianza sono utopie e non si realizzeranno mai”. È vero in un certo senso, ma permettere a questa realtà di perpetuarsi è di per sé un crimine che non dovrebbe essere tollerato.

La prova decisiva per gli israeliani che si considerano liberali è la legittimità dello stesso Israele. Non si muoveranno a meno che non possano essere rassicurati e avvalorati della loro legittimità. Ne ho parlato con Bassem Tamimi del villaggio di Nabi Saleh. Mi ha raccontato un aneddoto per illustrare questa mentalità così tipica degli israeliani. L’aneddoto parla di un egiziano, ma può riguardare qualsiasi persona in qualsiasi luogo sulla Terra. Un uomo va ad Alessandria e ruba otto sterline egiziane. Prende un treno per il Cairo e lungo la strada dice a tutte le persone che incontra: “questi sono le mie otto sterline, mi appartengono, non le ho rubate!”

Israele è come quell’uomo, ma ha rubato più di otto sterline. Israele ha rubato e ora sta chiedendo gli sia riconosciuta la legittima “proprietà” della Palestina e delle sue ricchezze. Alcune di queste ricchezze sono in questo momento godute da immigrati ebrei dalla Russia che sono venuti in Palestina negli ultimi trent’anni. Parlano solo russo, i loro negozi vendono merci importate dalla Russia e, come i miei nonni arrivati ​​cento anni fa, sanno poco e si preoccupano ancora meno della Palestina e della sua gente. Godono di alloggi fronte mare a prezzi convenienti, stipendi e assistenza sanitaria e sì, si godono le calde acque del Mediterraneo nella baia tra Haifa e Akka.

Miko Peled
è uno scrittore e attivista per i diritti umani, nato a Gerusalemme. È autore di “The General’s Son. Journey of an Israeli in Palestine” (Il figlio del generale. Viaggio di un Israeliano in Palestina) e “Injustice, the Story of the Holy Land Foundation Five” (Ingiustizia, Storia dei Cinque Della Fondazione Terra Santa).

Fonte: https://www.mintpressnews.com/israel-tourism-resorts-kiryat-yam-remains-thriving-palestinian-town/281813/

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