2 luglio 2020

L'occupazione militare di Israele deve essere discussa nel contesto coloniale

Nel giugno 1967, Israele ha sfollato oltre 400.000 palestinesi a seguito della Guerra dei Sei Giorni. La Naksa (battuta d'arresto) è l'ondata più importante di espulsione dei palestinesi dopo la Nakba del 1948, con la conseguente presa della Striscia di Gaza, di Gerusalemme e della Cisgiordania da parte di Israele.

Decenni dopo, il Consiglio di sicurezza dell'Onu sente ancora di aver compiuto il suo dovere attraverso la Risoluzione 242 che considera il ritiro di Israele dai territori occupati un "principio", piuttosto che un obbligo.
Naksa è sinonimo di occupazione militare di Israele - un termine che ha eclissato il colonialismo e che protegge Israele dalla responsabilità.
La retorica politica non mette Israele di fronte alla decolonizzazione, ma si concentra invece sull'occupazione militare e di conseguenza distoglie l'attenzione dall'espansione coloniale in corso, che sta ancora allontanando il popolo palestinese.

All'interno della comunità internazionale e soprattutto in relazione al compromesso dei due Stati, la diplomazia riguardo all'occupazione militare di Israele si è dimostrata una parvenza di astensione dal riconoscere il ruolo dell'ONU nella creazione e nel mantenimento di Israele. L'accettazione di Israele come Stato ha segnato la prima normalizzazione collettiva del colonialismo sionista in Palestina. La sovranità, costruita sulla pulizia etnica del popolo palestinese dalla sua terra, è stata attribuita all'entità coloniale in Palestina. Con i palestinesi considerati un'urgenza umanitaria fin dal 1948 e la classificazione ulteriormente radicata nel 1967, la comunità internazionale ha respinto il progetto coloniale sionista, non solo normalizzando il colonialismo, ma anche la conseguente occupazione militare della Palestina.

Ciò è dovuto al racconto delle violazioni del diritto internazionale di Israele da parte dell'ONU, isolate dalle precedenti violenze dei paramilitari sionisti durante la Nakba. Dal 1967 in poi, l'occupazione militare ha fornito a Israele l'opportunità di legiferare sulle violazioni del diritto internazionale per punire collettivamente i palestinesi e aumentare la probabilità di un graduale sfollamento palestinese, appropriandosi così di più terra per la sua espansione coloniale.

Descrivere Israele solo come un'occupazione militare non è coerente con l'identità coloniale di Israele. Allo stesso modo, le richieste di porre fine all'occupazione militare della Palestina da parte di Israele ignorano la realtà coloniale che sostiene la legislazione che priva i palestinesi del loro movimento, dell'espressione politica, dei mezzi di sussistenza, dei beni di prima necessità e della libertà. L'occupazione militare è uno strumento per l'Israele coloniale; non definisce Israele e non dovrebbe essere sfruttata dalla comunità internazionale come un mezzo per privare ulteriormente i palestinesi dei loro sforzi anti-coloniali, così come il loro diritto politico.

Per i palestinesi, il 1967 è la continuazione della Nakba del 1948, così come l'occupazione militare della Palestina. È la comunità internazionale che ha giocato sull'equivalenza tra colonialismo e occupazione, rendendole sinonimo di facilitazione della diplomazia dei due Stati. Inoltre, gli Stati Uniti hanno consolidato i loro legami con Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni, che sotto il presidente Donald Trump ha portato al cosiddetto accordo del secolo che si basa sul paradigma dei due Stati per aprire la strada all'annessione della Cisgiordania occupata da parte di Israele.

Sebbene la guerra del 1967 abbia rafforzato il dominio coloniale sulla Palestina, l'ONU è parziale rispetto all'occupazione militare, in quanto fornisce un punto di partenza alternativo, anche se incompleto, per l'attuale inquadramento della narrazione di Israele e la sua diffusione. Le violazioni del diritto internazionale in corso contro il popolo palestinese, compresa l'espansione degli insediamenti, fanno ora parte del preteso racconto di sicurezza di Israele, che l'Onu ha regolarmente difeso, anche quando rilascia deboli dichiarazioni di condanna delle trasgressioni.

La precedente unità politica palestinese e l'impegno nella lotta anti-coloniale dopo il 1967 sono stati interrotti non solo a causa delle fratture politiche tra le fazioni palestinesi, ma anche per l'insistenza dell'Onu sui negoziati, che a loro volta hanno diffamato l'occupazione militare e normalizzato la colonizzazione sionista. Per Israele, il 1948 è stato l'inizio; il 1967 è stato il percorso per assicurare il completo dominio su tutta la terra palestinese, facilitato dal successivo tradimento, decenni dopo, della causa palestinese a livello regionale e internazionale.

Il ricordo del 1967 deve tener conto del precedente processo coloniale. L'attuale situazione del popolo palestinese sull'orlo dell'annessione porta con sé la complicità della comunità internazionale nel diluire il colonialismo alla più preferibile terminologia dell'occupazione militare. Chiedere la fine dell'occupazione militare non sradica il colonialismo. Al contrario, l'ONU sta proteggendo il processo coloniale di Israele normalizzando le fasi dello sfollamento forzato e dell'appropriazione del territorio, in nome delle preoccupazioni di Israele per la sicurezza.

Ramona Wadi

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