27 gennaio 2020

Palestina: Pregiudizi e ignoranza tra i coloni israeliani nella West Bank

La scorsa settimana ho partecipato, da oratore, a un seminario patrocinato da un’organizzazione di destra (The Home) che appoggia la sovranità israeliana in tutta la Terra d’Israele, dal fiume al mare. Con me, le comitato e tra il pubblico, c’erano molti coloni israeliani. Seduto accanto a me nel comitato c’era un colono di Itamar, noto per una storia di violenze contro il palestinesi.
Non è un evento consueto per persone come me e come loro, con tali divergenze di idee, dibattere in pubblico in modo civile circa i problemi cruciali che riguardano il presente e il futuro di Israele. L’organizzatore dell’evento mi ha ringraziato, scusandosi, per la mia partecipazione, sapendo che stavo entrando nella ‘tana del lupo’, essendo l’unico ‘di sinistra’ nel gruppo degli oratori e affermando che sarei stato una piccolissima minoranza. Gli ho assicurato che sono molto abituato a essere una minoranza nell’Israele di oggi.
Una delle cose sorprendenti che ascolto a incontri come questi con coloni israeliani è la loro certezza di essere i soli israeliani che possono attuare la pace con i palestinesi.  Sono sicuri che se dipendesse da loro la violenza palestinese terminerebbe e loro offrirebbero ai palestinesi piena occupazione, il che li renderebbe molto felici e poi rinuncerebbero alla loro lotta nazionale (che secondo loro esiste soltanto perché la sinistra israeliana la incoraggia).
Uno dei coloni israeliani a parlare ha detto: “Hanno strade grazie a noi, hanno ospedali grazie a noi, guardate a tutta quella costruzione di case e nuovi negozi, tutto grazie a noi!” Un altro oratore ha detto, in contraddizione ma fondamentalmente concordando con la tesi che senza gli ebrei i palestinesi non avrebbero nulla: “I palestinesi sono così corrotti con la loro corrotta e criminale Autorità Palestinese. Dove sono i miliardi che hanno rubato alla comunità internazionale? Non hanno nulla da mostrare per essi perché sono furfanti che appoggiano il terrorismo”.
Io che ascoltavo, non solo ero sorpreso dai loro pregiudizi e dalla loro ignoranza (in realtà non avrei dovuto essere sorpreso, ho sentito la stessa cosa molte volte in precedenza), ma mi era chiaro che queste persone, che vivono proprio accanto ai palestinesi, non hanno idea di ciò che succede in Palestina. Non hanno visto gli sviluppi economici nel corso degli anni, l’esistenza di un’amministrazione palestinese a livello nazionale e locale che sta lottando contro l’occupazione ma che, ciò nonostante, esiste e funziona quasi come uno stato reale.
Con tutte le strade, aziende, scuole, ospedali, centri commerciali, eccetera, che hanno, l’ostacolo di gran lunga principale per lo sviluppo economico palestinese è l’occupazione israeliana e il suo impatto soffocante sui palestinesi. Uno dei coloni ha detto che se i palestinesi smettessero il loro terrorismo, ci sarebbero 370.000 palestinesi a lavorare in Israele, portando a casa soldi per le loro famiglie.
Se questa non è una definizione del colonialismo, che cosa lo è? Indubbiamente i palestinesi preferirebbero guadagnare il salario minimo di 5.000 shekel in Israele, piuttosto che i 2.000 shekel che guadagno in Palestina per fare lo stesso lavoro. Ma, onestamente, non ho mai incontrato un giovane palestinese che sogni nella sua giovinezza: “Quando crescerò voglio lavare macchine in Israele!”
Non conosco palestinesi che sognino di lavorare da percettori di un basso salario in una fabbrica o in un cantiere edile israeliani. Conosco, invece, giovani palestinesi che stanno studiano ingegneria e informatica, matematica e scienze e che sognano nuove attività palestinesi in società palestinesi dell’alta tecnologia. Conosco palestinesi la maggior parte dei quali sogna una Palestina libera, senza occupazione e controllo israeliani.
L’organizzatore dell’evento proviene da un’organizzazione da lui fondata che riesce a mettere insieme coloni e palestinesi. Questo è davvero sorprendente. Ho scoperto che tutti i palestinesi con cui ho parlato in quella sede sono grandi critici dell’Autorità Palestinese, prevalentemente critici della polizia dell’Autorità Palestinese (la stessa che si coordina con la polizia israeliana).
Sono persone che dicono che i loro diritti sono stati violati dalla polizia palestinese o dai servizi segreti palestinesi e che elogiano la democrazia israeliana nel momento stesso in cui demonizzano “l’Autorità Palestinese e la banda di furfanti tornati in Palestina con Arafat”. Anche questo non è una novità per me; l’ho già sentito in passato e la critica dell’assenza di democrazia in Palestina è qualcosa che condivido, nonché considerando che il presidente dell’Autorità Palestinese è a suo tredicesimo anno di un mandato quadriennale e che elezioni parlamentari non si tengono dal 2006.
Nessuno dei palestinesi membri di questa organizzazione ha apparentemente discusso approfonditamente con il fondatore dei suoi piani per il futuro. Le organizzazioni usano un linguaggio molto gradevole riguardo alla piena uguaglianza dei palestinesi nello Stato d’Israele che sarà dal fiume al mare, ma prima, egli mi ha detto approfonditamente e con grande emozione e convinzione, devono accettare che Israele sia uno stato ebraico. Possono esserci dei palestinesi che concordano con tale formula, ma in quarant’anni non ne ho ancora conosciuto uno.
I palestinesi che conoscono e che parlano di una cosiddetta “soluzione di uno stato unico” descrivono tale stato (quando li sondo con domande) di uno stato palestinese con una minoranza ebrea. Sono sicurissimo che non è questa la visione di questa organizzazione di sostegno ai coloni.
I coloni di questo seminario e molti altri che conosco e che parlano di sé stessi come di reali pacificatori non si rendono conto che per quasi tutti i palestinesi loro rappresentano gli usurpatori della loro terra, odiatori violenti degli arabi (il che può non essere vere) e reali violatori dei diritti civili, umani e nazionali dei palestinesi. Loro, nel comportamento, negli atteggiamenti e nelle opinioni, così come espresse in pubblico la settimana scorsa, sono l’espressione più vera del colonialismo israeliano.
Ho sempre cercato di dire che il movimento sionista non era un movimento colonialista, perché era basato sull’idea di un popolo che torna alla sua terra ancestrale. I coloni israeliani del giorno d’oggi e quelli che appoggiano l’idea di una pace economica (non una pace politica) sono nella loro essenza colonialisti. Questo è stato dimostrato da ciò che ho udito da questi coloni che nelle loro stesse parole parlano la stessa lingua dei colonizzatori europei del diciannovesimo e ventesimo secolo dovunque si siano insediati.
Gershon Baskin è un imprenditore politico e sociali che ha dedicato la sua vita allo stato d’Israele e alla pace tra Israele e i suoi vicini. Il suo libro più recente ‘In Pursuit of Peace in Israel and Palestine’ è stato pubblicato dalla Vanderbilt University Press.
da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: The Jerusalem Post
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2020 ZNET Italy – Licenza Creative Commons

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