25 novembre 2019

Pino Aprile: truccati gli archivi, nascosto il genocidio del Sud

Fucilazione di un "bringante"
Come nasce la storiografia italiana? Nasce con un atto del 1830 da un piccolo, ristrettissimo gruppetto – parliamo di 2-3 famiglie: nessuno di loro aveva mai scritto o insegnato storia. Persone di buona cultura, normalmente di ambiente cattolico molto tradizionalista, alla De Maistre; individui nobili, possidenti terrieri, di strettissima osservanza sabauda. Le regole sono: vanno distrutti tutti i documenti che gettano ombre sulla dinastia. Quelli che non vengono distrutti devono essere classificati e collocati in un archivio segreto, inviolabile. Un’altra parte deve finire in archivi controllati da loro. Quella mostrata dev’essere una piccola parte. Saranno gli archivisti a scegliere a chi far vedere i documenti, controllando (in corso d’opera) come li usano. E chi poi scriverà di quei documenti dovrà prima sottoporre ai controllori l’elaborato, in modo che si decida se potrà essere pubblicato oppure no. Tutto questo è documentato dall’Istituto Studi Storici del Risorgimento (la massima autorità, il professor Umberto Levra, già docente all’università di Torino e presidente dell’associazione dei docenti di storia risorgimentale). Viene documentato come il Re in persona, per “aggiustare” la storia, strappasse documenti e lettere dei suoi familiari.

Queste persone hanno controllato e gestito biblioteche, archivi e documenti dal 1830 al 1921, passandosi il compito di padre di figlio: uno di loro ha governato questi documenti per 62 anni. Questo sistema è rimasto. La storia dev’essere di volta in volta “riaggiustata” per allineare il passato al presente che ci serve: è l’uso politico della storia. Da questo deriva la narrazione della nascita degli Stati nazionali, ovunque (dal Giappone agli Usa con la Guerra di Secessione). Le stragi e i massacri non sono avvenuti solo in Italia. Negli Stati Uniti, nella guerra civile sono morti più statunitensi che nelle due guerre mondiali messe insieme. Quindi, quello che è successo da noi non è eccezionale, purtroppo. La differenza qual è? Gli altri se lo raccontano, noi no. E il problema era dimostrare la cifra cui si arriva con la somma di una serie di massacri al Sud. Paesi interi rasi al suolo, con diritto di saccheggio dei beni (incluse le banche, svuotate: l’oro caricato e portato al Nord). Macchinari industriali rubati, dopo aver sfasciato quelli non trasportabili. E poi: diritto di stupro sulle donne del Sud. Diritto di tortura. Fucilazioni in massa.

Finora, solo nel Sud continentale, siamo arrivati a contare più di 100 paesi rasi al suolo. Documenti statunitensi accertano che, in Sicilia, sono stati più di 300 i paesi assediati e trattati in quel modo, cioè con l’acquedotto tagliato, la popolazione arrestata e deportata senza processo (si scrisse: «Quelli col cappotto fucilano quelli senza cappotto»). La popolazione di Agrigento si riunì e decise di abbandonare in massa la città, per andarsene in America. Dopo millenni di storia, la città si sarebbe svuotata (ma le fu impedito). Senza un riscontro demografico, come facciamo a dire che le vittime al Sud furono duecentomila, trecentomila o un milione? E allora sono andato a vedere i numeri della demografia. Fino al 1860, la popolazione al Sud cresceva più che in tutto il resto d’Italia, ed era raddoppiata in un secolo. Non solo. Per ragioni geopolitiche, splendidamente spiegate dal grande geobiologo Jared Diamond (le condizioni favorevoli attraggono le popolazioni), nel Mezzogiorno d’Italia storicamente sono arrivati tutti i popoli. E fino al 1870, dal Sud, non era mai emigrato nessuno. Dall’Unità d’Italia in poi, per la miseria che comportò, in 90 anni andarono via 20 milioni di persone: il più grande salasso umano che abbia subito una regione in Europa. E quella era la mia gente.

L’epigenetica dice che, fino alla terza generazione e forse anche alla quarta, i discendenti delle vittime di violenze si comportano come se l’avessero subita loro, la violenza. Un vinto guarda per terra, a capo chino, e trascina i piedi. Il mio bisononno aveva imparato a camminare da un vinto. E così mio nonno, e così mio padre. Io sono la quarta generazione. Sono il primo, della mia famiglia, a non sentirmi un vinto: perché io so, e il sapere ti libera. Nel rapporto sul censimento del 1861, scritto dal ministro Giovanni Manna e approvato in Parlamento nel 1863, si parla delle «nuove province che abbiamo conquistato» (badate: conquistato, non liberato). Essendo fondato su dati censuari, ha forza di legge: è l’atto costitutivo del paese chiamato Italia. La popolazione è stranamente in calo, rispetto alla tendenza pre-unitaria: «La differenza, maestà – scrive Manna – è dovuta alle gravi circostanze occorse per il grande atto del nostro rinnovamento: cioè la guerra, maestà». Lo scrive il ministro al Re: in un anno, 458.000 esseri umani in meno. Prima, la popolazione al Sud era cresciuta più che nel resto d’Italia, e senza che emigrasse mai nessuno (l’emigrazione era solo settentrionale).

Il Sud aveva la più bassa mortalità infantile. In Francia c’era un centenario ogni 16.000 morti, mentre nel Sud Italia c’era un centenario ogni 915 morti. Pietro Correnti e Cesare Maestri, i padri della demografia italiana, scrivono che nel 1861, invece di crescere, la popolazione al Sud diminuisce. E diminuirà ancora, negli anni, fino al massacro del 1866 in Sicilia. Non c’erano differenze economiche tra Nord e Sud. Lo dice l’ufficio studi della Banca d’Italia. Lo dice il Fondo Monetario Internazionale. Lo dice il Consiglio Nazionale delle Ricerche, che ha ricostruito la ricchezza prodotta in Italia dal 1861 al 2011, anno per anno, Regione per Regione. La Regione più ricca d’Italia era la Campania. L’industria italiana era meridionale: quando il Sud aveva 9 milioni di abitanti, gli addetti all’industria erano 300.000 in più rispetto a quelli presenti oggi, con una popolazione che è più che raddoppiata.

La parola “genocidio” non è sinonimo di enorme massacro. Un genocidio può avvenire anche senza che venga spezzata un’unghia. Il genocidio è un reato che può commettere solo uno Stato. E la formulazione di questo reato è stata definita dall’assemblea delle Nazioni Unite nel 1948: “Genocidio è una serie continuata di azioni volte a cancellare l’identità di un popolo”. E’ la sostituzione violenta, da parte di uno Stato, di tutte le istituzioni politiche e giuridiche dell’altro Stato. E la cancellazione delle sue istituzioni culturali per la trasmissione della memoria. I libri di scuola (falsi, anche in questo) scrivono che il Sud aveva un’analfabetismo all’87%. I dati emergono dal censimento del 1861, che è piuttosto farlocco. All’Istat rispondono che le schede originali si sono perse. E le schede originali del censimento del 1871? Smarrite pure quelle. Ma prendiamo per buono quel dato: 87 meridionali su 100 erano analfabeti, ma gli studenti universitari del Sud erano il doppio di quelli del resto d’Italia messo assieme. Il 100% degli studenti universitari italiani (non solo meridionali) studiavano fisica, chimica e scienze naturali a Napoli: fuori da Napoli, non lo si poteva fare.

Quasi il 100% degli universitari italiani studiavano a Napoli medicina e chirurgia. E in quei decenni, dal Sud Italia, venivano partorite facoltà che oggi giustificano l’esistenza di università in tutto il mondo. La sismologia è nata a Napoli. L’ingegneria antisismica è stata creata a Napoli. E i primi palazzi costruiti così stanno ancora a Reggio Calabria: dal ‘700 a oggi non hanno una crepa, e hanno resistito persino al più violento terremoto di sempre, quello di Messina del 1908. La vulcanologia è nata a Napoli: tutti i vulcani del mondo, dall’Alaska al Polo Sud, dal modo in cui eruttano – esclusi quelli hawaiani – vengono classificati con nomi di vulcani del Sud Italia (si chiamano vulcani di tipo vesuviano, stromboliano, vulcaniano). E’ nata a Napoli anche la moderna storiografia. E così l’economia politica, la disciplina con cui tutti gli Stati del mondo si amministrano. La stessa archeologia è nata a Napoli. Quindi i giovani del Sud, analfabeti, si iscrivevano direttamente all’università e partorivano tutto questo? Pensate se avessero saputo anche leggere e scrivere…

Si ha genocidio se vengono demolite, distrutte e colpevolizzate le istituzioni religiose di un popolo. I beni della Chiesa vennero requisiti e praticamente regalati a chi dava l’appoggio politico al nuovo potere sabaudo. Quasi tutti i vescovi vennero rimossi ed esiliati, e qualcuno rischiò di essere ucciso. Ne rimasero solo 11. Le chiese venivano presidiate, a volte devastate e incendiate, i preti uccisi insieme alle suore, le prediche controllate (e se non erano in linea, il prete poteva essere carcerato, deportato e fucilato). Pretesero, senza riuscirci, di controllare anche le confessioni. Fu genocidio. «E’ sterminio», scrisse l’ambasciatore americano in Sicilia, in un documento tuttora archiviato ad Harvard. Genocidio fu, perché si tentò di cancellare un’identità, una cultura. E una cultura non è essere qualcosa, fossilizzando la storia; una cultura, un’identità, è fare qualcosa in un modo che rende immediatamente riconoscibili.

Sapete cos’era, la cultura di Napoli? E sapete cosa cantano Springsteen, i Rolling Stones, Elvis? Fanno una musica che è stata rinnovata, in Occidente, nel ‘700, dai napoletani – e da un mio concittadino, Giovanni Paisiello, di Taranto. Poi questa musica è stata esportata, con gli emigrati, in tutto il mondo, esaltando la sequenza di accordi che racconta meglio di qualsiasi altra il dolore: la Sesta Napoletana. La musica nasce dal dolore, cola dalla ferita come il sangue: è il lamento della vedova. Tutto Chopin e Berlioz non sono altro che “mariermà” pugliesi e molisani. Se volete scoprire il dolore di un popolo, guardate quanta musica produce. Il Meridione formava i grandi della musica: andavano a studiare lì. La scuola di musica si chiama ancora oggi conservatorio, perché a Napoli si chiamavano così gli orfanotrofi dove ai ragazzini insegnavano la musica per rieducargli l’anima. Dopo la conquista del Sud e l’immane strage, in nove anni, nel Mezzogiorno fu prodotta più musica che in tutta la seconda metà del Settecento.

Gli emigrati siciliani di Salaparuta andarono a New Orleans a sostituire gli schiavi neri liberati dai campi di cotone. La condizione di libero cittadino del Sud, dopo l’unificazione, in Italia era diventata così drammatica, che quella di sostituto degli schiavi neri era migliore. E i bandisti di Salaparuta sapevano suonare. Cosa proporre, a New Orleans? Cominciarono a improvvisare, sfidando i neri. E se andate al cimitero del jazz, a New Orleans, scoprite che tutte le prime file hanno nomi di italiani del Sud: i padri del jazz. Il primo disco della storia del jazz, “The Original Dixieland Jazz Band” è di Nick La Rocca. Ma i neri avevano la scala pentatonica, e la nostra era eptatonica (sette note); bisognava trovare una nota in cui incontrarsi, per suonare insieme: per cui inventarono la “blue note”, e nacque il blues. Per questo, i più grandi jazzisti di sempre, ancora oggi – ma anche bluesman, swinger e crooner, da Frank Sinastra a Michael Buble – sono quasi tutti italiani, o di origine italiana. Sono il frutto del dolore del Sud, del genocidio subito.

Da presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha chiesto scusa, per iscritto, agli abitanti di Pontelandolfo, paese di 5.700 abitanti cancellato in una notte da mille bersaglieri. La piazza di Pontelandolfo oggi è intitolata a Concetta Biondi: era una ragazzina di 15 anni. Le donne vennero stuprate nelle case dinnanzi ai mariti e ai figli. Quelle che si erano rifugiate in chiesa vennero violentate e uccise sull’altare. Quando la mamma di Concetta Biondi morì per gli stupri, dieci bersaglieri si avventarono sulla bambina, fino a farla morire di violenze. Solo allora spararono al padre, che avevano legato a un palo perché si godesse la scena. Dopo le polemiche provocate dall’uscita del mio libro “Terroni”, Napolitano mandò un messaggio, nel 150esimo anniversario di questa mattanza, per chiedere perdono alla città, a nome dell’Italia, «per un massacro che è stato relegato ai margini dei libri di storia».

Nel 1861, al Parlamento, un deputato denunciò che in un solo anno, dal Sud, erano state deportate – senza alcuna accusa, né processo – 20.000 persone, con preferenza per le giovanette cui lasciare la scelta fra il suicidio e la prostituzione. Avveniva quasi nello stesso giorno in cui, nell’aula, veniva annunciata l’Unità d’Italia con queste parole: «Le Royaume d’Italie est aujourd’hui un fait. Le Roi, notre auguste Souverain, prend lui-meme et pour ses succeseurs le titre de Roi d’Italie. Vive l’Italie!». Gli dissero: Camillo, almeno dillo in italiano. L’italiano, Cavour dovette studiarlo. Ed era convinto che in Sicilia si parlasse arabo. Era ben ricambiato, perché i siciliani (i picciotti assoldati a 4 tarì al giorno per diventare patrioti italiani) erano convinti che “La Tàlia” fosse la moglie di Vittorio Emanuele II.

Un secolo e mezzo fa c’è stata una guerra di aggressione, una guerra nemmeno dichiarata. Sono stati deportati al Nord da 60.000 a 80.000 soldati meridionali. Un abuso: non gli hai nemmeno dichiarato guerra, li aggredisci, li fai prigionieri e li mandi in campo di concentramento? Perché non disarmarli e mandarli a casa? Solo l’1% ha accettato di arruolarsi nell’esercito sabaudo. Una tabella del ministero della guerra parla di 4.700 prigionieri morti non per causa di servizio, cioè stando in caserma. Vuol dire che in due anni il numero dei soldati morti in caserma è pari a una volta e mezza i caduti di tutte le Guerre d’Indipendenza. E come morivano? Ci ho messo sette mesi, per venire a capo di questo mistero, grazie a documenti sanitari: non sopportavano il clima, morivano di deperimento organico e di tubercolosi. Li mandavano sulle Alpi, d’inverno, a duemila metri, con addosso solo la camiciola.

Quella dello sbarco dei Mille è una favola. I miti fondanti non raccontano i fatti, ma la direzione in cui le cose si sono mosse. Bellissima la storia di Guglielmo Tell, che però non è mai esistito. La Rivoluzione d’Ottobre? A San Pietroburgo il Palazzo d’Inverno era vuoto e la porta era aperta. I Mille di Garibaldi, quando li andarono a contare, erano 60.000. C’era la Legione Straniera Inglese, tutti “patrioti italiani”, comandati da un altro “patriota italiano”, un ufficiale statunitense. Poi la Legione Straniera Ungherese: un’accozzaglia di criminali, tutti “patrioti italiani”. Abbiamo piazze e corsi intitolati a questa gente. Poi c’erano i picciotti, pagati a giornata. Poi c’erano 22.000 “disertori” dell’esercito sabaudo, volontari garibaldini. “Diserzioni” tranquillamente annunciate, in anticipo e con precisione, dalla stampa sabauda, che scriveva quanti uomini sarebbero partiti, salpando da dove, in che giorno. E si scriveva che, prima di salire sulle navi, i “disertori” avrebbero rubato dagli arsenali cannoni, fucili e munizioni.

Nel suo diario, l’ambasciatore americano cita navi britanniche, francesi, statunitensi e sabaude che, un giorno dopo l’altro, trasporteranno quei 22.000 “disertori” a combattere (spesso con le loro divise piemontesi e le decorazioni della Guerra di Crimea) contro uno stato formalmente amico del Piemonte, a cui non era mai stata dichiarata guerra. Il Piemonte aveva 4 milioni di abitanti: fatte le debite proporzioni, sarebbe come se oggi dall’esercito italiano (che non ha così tanti soldati) disertassero 350.000 uomini, e i carabinieri non riuscissero ad acchiapparne uno. Quando scoppia la guerra, tutti devono schierarsi: anche i delinquenti. E come loro i preti, i professori, i giornalisti. Guardate la mappa delle province di mafia. E guardate la mappa delle province dove ci fu il brigantaggio. Dove c’erano i briganti, non c’è mafia. Perché i fuorilegge si schierarono dalla parte sbagliata, e vennero tutti sterminati. Al contrario, dove non ci fu brigantaggio c’è mafia. Me lo raccontò Rocco Chinnici, l’uomo più grande che abbia mai conosciuto.

E badate: a me, la Glasnost, l’hanno spiegata Gorbaciov, Elstin e Shevardnaze. Mi indusse a scrivere il mio primo libro Konrad Lorenz, il padre dell’etologia. Ho fatto inchieste sui criminali nazisti insieme a Simon Wiesenthal. Li rispetto tutti, e mi inginocchio davanti al loro valore. Ma nessuno di questi valeva la metà di Rocco Chinnici. Non trovo le parole per definirlo. Posso solo dire che alcuni suoi allievi, da lui, qualcosa hanno preso: un paio di loro si chiamavano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nei seminari destinati ai magistrati antimafia, Chinnici spiegava che la mafia è un frutto avvelenato dell’Unità d’Italia. Nasce perché il nuovo potere associa i delinquenti alla gestione del potere politico ed economico, e li organizza. Il professor Francesco Benigno dell’università di Teramo ha scritto “La mala setta”: un libro che racconta come la criminalità viene usata dallo Stato nascente per sottomettere il paese – non solo il Sud.

Sapete quando nasce la prima cosca, della mafia strutturata così come la conosciamo? Nel 1863, a Monreale. Ci pensa il questore: a guidarla mette suo genero. E nelle altre città vengono inviati ispettori per far nascere strutture similari, a cui viene affidato il compito di sopprimere ogni forma di opposizione, e a cui vengono commissionati omicidi politici. Il pentito Spatuzza ha confessato: ci è stato chiesto di uccidere Falcone e Borsellino. Sciascia diceva che, se l’Italia volesse eliminare la mafia, si dovrebbe suicidare: perché, ancora oggi, la mafia è struttura portante del sistema politico ed economico. Se alla mafia dessimo troppo fastidio, coi nostri apparati giudiziari, qualcuno potrebbe “avvertire” il governo di essere pronto a spostare fuori dall’Italia certi investimenti finanziari. Il Pil italiano crollerebbe in ventiquattr’ore del 7,5% (in un paese dove il governo combatte per lo 0,1). Quindi, tornando alla storia: in quelle province in cui i delinquenti appoggiarono il potere che vinse, non ci fu brigantaggio (ma c’è mafia). Nelle province dove ci fu brigantaggio, i fuorilegge vennero sterminati (e non c’è mafia, tranne quella arrivata per l’espansione di quella delle province vicine).

(Pino Aprile, dichiarazioni rilasciate nel 2017 in una conferenza ripresa su YouTube con il professor Giuseppe Gangemi, docente di scienze politiche dell’università di Padova, per presentare il libro “Carnefici. Fu genocidio, ecco le prove: centinaia di migliaia di italiani del Sud uccisi, incarcerati, deportati, torturati, derubati”, Piemme, 465 pagine, euro 19,50. Giornalista di grande esperienza, Aprile ha aperto una drastica rilettura del Risorgimento con il bestseller “Terroni”, uscito nel 2010. Riguardo all’anomalia della scuola meridionale al momento dell’Unità d’Italia – aule universitarie affollate e “analfabetismo” dilagante – il professor Gangemi spiega: il censimento del 1861 trovò nel Sud pochissime scuole elementari perché la gran parte di esse era finanziata dagli ordini religiosi; quell’anno le scuole dovettero chiudere, perché lo Stato unitario aveva appena colpito le strutture confessionali, espropriandole di tutto).

Libreidee

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