7 ottobre 2019

Chavez e Fidel come riferimento della battaglia ambientalista

Partiamo dall’aspetto indubbiamente positivo: tantissimi giovani hanno deciso di rigettare l’apatia degli ultimi anni e scendere in piazza, per una causa nobile: la difesa dell’ambiente e del pianeta che ci ospita tutti. Secondo gli organizzatori nelle piazze italiane circa un milione sono stati i manifestanti in questo Climate Strike for the Future. 

Sulla scorta delle iniziative a difesa del clima intraprese dalla ragazzina svedese Greta Thunberg tantissimi giovani hanno deciso di rispondere al suo appello ambientalista. Al di là degli sponsor politici e mediatici che si celano dietro Greta la sua iniziativa ha avuto il pregio di risvegliare una coscienza ambientalista da tempo sopita. A questo punto però arriviamo agli aspetti negativi.

La maggior parte dei giovani che hanno deciso quest’oggi di manifestare non hanno alcuna cognizione di causa. A mancare è innanzitutto la coscienza di quali siano i reali fattori inquinanti e dannosi per la natura. Questi hanno un nome ben preciso: capitalismo e imperialismo. 

La ricerca del massimo profitto a ogni costo, lo sfruttamento indiscriminato di risorse naturali che non sono infinite, uno sviluppo non rispettoso di norme minime del buon senso ambientale, consumismo sfrenato fuori da ogni logica. Quelli appena elencati sono tutti aspetti connaturati nella struttura capitalistica e ne fanno intrinsecamente parte. Un capitalismo green è semplicemente impossibile. Si presenta come un nuovo modo di generare nuovi profitti sfruttando la rinnovata sensibilità ambientale emersa in questi ultimi tempi grazie anche all’azione di Greta e dei suoi sponsor occulti coadiuvati dai media mainstream. 

Altro aspetto che dovrebbe far riflettere le giovani generazioni scese in piazza è la pressoché assenza, in questo sciopero mondiale per il clima, di qualsiasi controparte. Tutti, ma proprio tutti, infatti, dai grandi della terra fino ai media dichiarano di sostenere la battaglia ambientalista. Forse solo Trump e Bolsonaro se ne sono tirati fuori. 

Non si tratta di un aspetto nuovo.

Già grandi leader socialisti come Chavez e Fidel Castro avevano denunciato la distruttività di capitalismo e imperialismo.

«L'economia della vita, l'economia integrale, questi sono principi di un modello economico che deve rispettare la vita e dovrebbe dare impulso alla vita e non distruggerla. Il capitalismo è un modello che distrugge la vita... distrugge la terra e le sue risorse, distrugge la società, distrugge l'essere umano, solo il socialismo tiene integra la natura, l'essere umano e ripristina l'equilibrio perduto», ammoniva con lungimiranza Hugo Chavez.


«Lo spreco e le società di consumo capitalista nella sua fase neoliberale e imperialista, stanno portando il mondo in un vicolo cieco dove il cambio climatico ed il costo crescente degli alimenti conducono migliaia di milioni di persone verso i peggiori indici di povertà», gli faceva eco Fidel Castro precursore delle odierne battaglie in favore dell'ambiente e della Madre Terra.

Significative in tal senso anche le parole dell’ex presidente dell’Ecuador Rafael Correa - presidente profondamente ambientalista che volle fossero inseriti in Costituzione i diritti della Madre Terra - il quale sosteneva che la difesa globale dell'ambiente non è solo tecnica, ma anche politica, perché sono i paesi più potenti che inquinano maggiormente la Terra. 

«È un problema politico, non solo tecnico, c'è un problema di relazioni di potere, tra coloro che inquinano e quelli che generano beni ambientali», ebbe a dichiarare l’allora presidente dell’Ecuador. 

Forse è proprio questo che manca al movimento per la difesa dell’ambiente. La consapevolezza che questa è una battaglia in primo luogo politica. I cambiamenti climatici non possono essere fermati senza mettere in discussione il sistema che li ha provocati e li alimenta. 

Fabrizio Verde - L'Antidiplomatico

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