23 maggio 2019

Giovanni Falcone, i misteri della strage di Capaci 27 anni dopo.
L’esplosivo, i mandanti, una donna nel commando

Nonostante le sentenze abbiano condannato più di venti mafiosi, sull'attentato del 23 maggio 1992 restano ancora molte ombre. Buchi neri, dettagli mai chiariti, piste mai battute. E poi fantasmi che compaiono e scompaiono sullo sfondo del cratere aperto dall'esplosivo sull'autostrada tra Palermo e Capaci. Già, l'esplosivo: che tipo di esplosivo? E perché Riina non fa uccidere il giudice a Roma, dove girava spesso senza scorta? E ancora: c'era davvero una donna sul luogo della strage?

Sulla carta è la”più ovvia“delle stragi. Il nemico numero uno di Cosa nostra ucciso da Cosa nostra. E invece di ovvio nella strage di Capaci c’è poco, molto poco. In 27 anni si sono celebrati quattro processi, con più di venti mafiosi condannati all’ergastolo. Un quarto di secolo d’indagini ha ricostruito passo passo la fase esecutiva dell’Attentatuni, il più grande attentato della storia di Cosa nostra. Eppure su quel botto spaventoso che uccise Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro Vito Schifani, restano ancora molte ombre. Buchi neri, dettagli mai chiariti, piste mai battute.

E poi fantasmi che compaiono e scompaiono sullo sfondo del cratere aperto dall’esplosivo sull’autostrata tra Palermo e Capaci. Già, l’esplosivo: che tipo di esplosivo? “La verità che è stata accertata, mi sento di dirlo con cognizione di causa, è ancora una verità parziale“, ha dichiarato di recente il pm Nino Di Matteo ad Andrea Purgatori. In che senso una verità parziale? Cosa c’è che non sappiamo ancora del botto di Capaci? “La lettura analitica delle sentenze che sono state emesse ci porta a ritenere che è stato possibile – ma mi sento di dire altamente probabile – che insieme agli uomini di Cosa nostra abbiano partecipato alla strage, nel momento del mandato stragista, organizzazione ed esecuzione, anche altri uomini estranei alla mafia“, ha spiegato sempre il sostituto procuratore della Dna. Il riferimento è alle motivazioni del cosiddetto processo Capaci bis. È l’ultimo procedimento sulla strage del 23 maggio 1992, nato dopo la confessione di Gaspare Spatuzza che ha riscritto la fase esecutiva della strage. “Nel presente procedimento viene a formarsi un quadro, sia pure non ancora compiutamente delineato, che conferisce maggiore forza alla tesi secondo cui ambienti esterni a Cosa nostra si possano essere trovati, in un determinato periodo storico, in una situazione di convergenza di interessi con l’organizzazione mafiosa, condividendone i progetti e incoraggiandone le azioni”, hanno scritto i giudici della corte d’assise di Caltanissetta. Più di millecinquecento pagine di sentenza in cui i magistrati elencano anche i temi “suscettibili di ulteriori approfondimenti”. Sono i pezzi mancanti della strage di Capaci: i quesiti rimasti ancora senza risposta dopo 27 anni. 

Perché non lo hanno ammazzato a Roma? - 2/9

La domanda numero uno rimane sempre la stessa: perché Cosa nostra decise di assassinare Falcone a Capaci? E con quelle modalità spettacolari? Il giudice poteva essere facilmente ammazzato a Roma, dove spesso girava a piedi e a volte persino senza scorta. E infatti Totò Riina aveva inviato nella Capitale un commando di morte fatto di uomini scelti: Matteo Messina Denaro, i fratelli Giuseppe Filippo GravianoLorenzo Tinnirello e Fifetto Cannella. Dovevano ammazzarlo per strada a colpi di kalashnikov. “Noi avevamo un’indicazione per cercare Falcone che frequentava un ristorante che si chiamava Amatriciana ed invece il ristorante era Il Carbonaro“, ha raccontato lo stesso Sinacori. Un banale errore di ristorante, dunque, ritarda l’agguato mortale per il magistrato del Maxiprocesso. A un certo punto, però, arriva il contrordine: “Riina – ha ricordato Sinacori – mi disse di tornare giù perché aveva trovato una soluzione migliore. Sono tornato a Roma e ho spiegato a Matteo la situazione”. Un altro superpentito, Gaspare Spatuzza, ha definito quel “cambio di programma” con queste parole: “La genesi di tutto è quando si decise di non uccidere più Falcone a Roma con quelle modalità e si torna in Sicilia: lì cambia tutto e poi non c’è solo mafia”. In che senso poi non c’è solo mafia?

Il movente segreto: "Se gli altri lo sanno la cosa è finita" - 3/9

È il 6 dicembre del 2013 e Totò Riina passeggia nel cortile del carcere milanese di Opera. Discute con il suo “compagno” d’ora d’aria, Alberto Lorusso, mentre la Dia li intercetta. “Totò Cancemi dice: che dobbiamo inventare che la morte di Falcone? Che ci devi inventare, gli ho detto. Se lo sanno la cosa è finita”, dice il capo dei capi. Gli investigatori non credono alle loro orecchie: perché un capomafia come Cancemi aveva urgenza d’inventarsi qualcosa su Capaci? Cosa non si doveva dire? E a chi? Su Falcone c’era una specie di movente top secret noto solo a pochissimi superboss di Cosa nostra? “Le complesse motivazioni della campagna stragista sono rimaste nella conoscenza esclusiva di un ristrettissimo numero di capi perché furono in buona misura tenute segrete sia agli esecutori materiali che alla quasi totalità degli stessi componenti della Commissione provinciale di Palermo, l’organo decisionale di vertice della mafia palermitana”, ha scritto sul Fatto il magistrato Roberto Scarpinato.  Ma perché quelle motivazioni non vengono rivelate a tutti i capimafia? Cosa c’è di incoffessabile?

Bombe da cava e Semtex: cosa è esploso a Capaci? - 4/9

Facciamo un passo indietro dai moventi e dai mandanti occulti e focalizziamoci su un altro passaggio fondamentale: le bombe. L’interrogativo più grande rimasto ancora aperto sul botto di Capaci è quello legato all’esplosivo: con che cosa è stato ucciso Falcone? È un fatto conclamato che gli uomini di Cosa nostraabbiano utilizzato tritolo recuperato dalle bombe inabissate nei fondali marini durante la seconda guerra mondiale, misto ad esplosivo utilizzato nelle cave. Tutto materiale sistemato in alcuni bidoni, piazzati sotto l’autostrada con alcuni skateboard. Tra le tante perizie stilate negli anni, ce n’é una di cui si parla poco: quella realizzata dall’Fbi.  Secondo gli americani, come ha ricordato Stefania Limiti su questo giornale, sulla scena del crimine c’erano tracce di “pentrite e rdx“. Elementi che si trovano nel Semtex, cioè un esplosivo di tipo bellico prodotto all’epoca in Repubblica Ceca e mai rilevato da altre perizie. Chi è che lo procura agli uomini di Cosa nostra? Non si sa, visto che nessun pentito di mafia ha mai parlato di Semtex. Perché? In passato, rispondendo a questa domanda, la procura nazionale Antimafia aveva ipotizzato l’esistenza di un “secondo cantiere” della strage, di supporto a quello targato Cosa nostra, ma con un’origine diversa da quella mafiosa. Da una parte i mafiosi con le bombe della seconda guerra mondiale, dall’altra personaggi senza volto con l’esplosivo militare. Un’ ipotesi sempre scartata dagli inquirenti di Caltanissetta.

C'era davvero un furgone sul luogo della strage? - 5/9

Una delle ultime piste che i pm nisseni hanno battuto è quella legata al “furgoncino bianco“. Alcuni testimoni parlano di un furgone, forse un Fiat Ducato, circondato da sei persone, sedicenti operai che si muovevano sull’asfalto che sarebbe diventato terreno di strage, senza che nessuno avesse mai ordinato di fare dei lavori nei dintorni. Lo nota, per esempio, l’ingegner Francesco Naselli Flores, cognato di Carlo Alberto Dalla Chiesa, che passa dallo svincolo per Capaci intorno alle ore 12 del 22 maggio. Flores parla di alcune persone che “stendevano cavi”. Le indagini avevano già all’epoca appurato che nessun’azienda aveva ordinato di svolgere lavori nella zona. Eppure quella pista viene abbandonata e il furgone bianco scompare dal luogo della strage: perché? Chi sono quei sei uomini che “stendono cavi”? E cosa facevano veramente? Ed è un caso che nei paraggi della strage sia stato trovato un foglietto con il numero di telefono di Lorenzo Narracci, un agente segreto molto vicino a Bruno Contrada? Un collega di Narracci testimonierà di averlo perso nei sopralluoghi successivi all’attentato. 

Un piano da ingegneri: lo hanno fatto solo i mafiosi? - 6/9

L’ipotesi di un secondo cantiere della strage era stata avanzata in passato dalla procura nazionale Antimafia anche in relazione a un altro fatto incontrovertibile: la strage di Capaci è forse uno dei più spettacolari piani di morte messi in pratica nella storia recente. Per trovare un precedente simile bisogna andare indietro al 20 settembre 1973, con l’attentato messo in piedi dall’Eta a Madrid contro Luis Carrero Blanco, delfino del generale Francisco Franco, che però si trovava su un’automobile che procedeva a passo d’uomo. A Capaci le auto sono lanciate a 170 chilometri orari, con la blindata di Falcone che ad un certo punto perde velocità proprio pochi secondi prima della deflagrazione: il giudice, infatti, è sovrappensiero e stacca le chiavi dal cruscotto. Eppure la precisione degli artificieri è da esperti in attentati con bersagli in movimento. Roba da 007 super addestrati in tutte le tecniche di guerra non convenzionale, più da che uomini di Cosa nostra. “Non ci fu un’unica esplosione, ma una serie di esplosioni, sei o sette, a ripetizione: la prima partita dal centro della carreggiata, e poi altre laterali”, ha raccontato Giovanni Brusca, l’uomo che ha azionato il telecomando. Un particolare che sembrerebbe suggerire la presenza di più cariche sotto l’asfalto di Capaci. Brusca, però, racconta altro: “Quando arrivò il corteo di Falcone io non schiacciai il telecomando e Antonino Gioè per tre volte mi disse: vai, vai, vai. Non so perché. C’era qualcosa che mi diceva di non farlo. Poi schiacciai il telecomando”. Il boss di San Giuseppe Jato, in pratica, ha dichiarato di aver avuto un attimo di esitazione prima di attivare il telecomando di morte per Falcone: la strage dunque sarebbe scattata in ritardo. Una testimonianza che però sembra essere smentita dalla dinamica: l’esplosione infatti travolge in pieno solo la prima delle auto del corteo di scorta, mentre quella su cui viaggia il magistrato rallenta sensibilmente la velocità di crociera. Se dunque Brusca avesse davvero avuto un attimo di esitazione, l’auto di Falcone sarebbe stata colpita in pieno. Così non è stato: l’auto del giudice va a sbattere contro l’asfalto divelto dall’esplosione. La strage è in anticipo, non in ritardo.

Il neofascista e l'americano: chi c'era nel commando? - 7/9

Per la verità, a schiacciare quel telecomando doveva essere Pietro Rampulla, un mafioso della provincia di Messina, ex fascista vicino a Ordine nuovo esperto di esplosivi. “A Capaci l’artificiere doveva essere Rampulla; doveva essere lui ad azionare il telecomando finale, ma aveva un impegno e non è potuto venire. Ha chiesto se poteva essere libero, e io gli ho detto: Vai che so io quello che devo fare”, ha raccontato sempre Brusca. Può un mafioso annullare la sua presenza alla strage più delicata della storia di Cosa Nostra chiedendo semplicemente un giorno libero? Non è l’unico mistero legato al commando. Gioacchino La Barbera è l’uomo che il 23 maggio del 1992 avvisò i killer dell’arrivo delle auto blindate dall’aeroporto. Tempo fa ha fatto per la prima volta cenno ad una presenza estranea a Cosa nostra nelle fasi preparatorie della strage: quando i boss si erano riuniti per collegare le singole cariche d’esplosivo c’era anche un uomo sconosciuto che parlava “soltanto a bassa voce”. Chi era? Si tratta della stessa persona indicata recentemente da Maurizio Avola? Il pentito di Catania – come ha raccontato Repubblica – si è auto accusato di aver trasportato detonatori e tritolo a Termini Imerese, mettendoli a disposizione di Cosa nostra di Palermo. Lui e il boss Marcello D’Agata sono gli ultimi indagati per la strage. Ma Avola ha raccontato anche altro. Agli inizi del 1992 ha detto di aver conosciuto un artificiere statunitense esperto in esplosivi inviato in Sicilia dal boss John Gotti. L’artificiere americano era a Capaci? “Ercolano mi disse che il forestiero aveva collaborato all’attentato”, ha detto Avola. D’altra parte restano senza risposta anche le domande sulle tre telefonate partite da uno dei cellulari clonati. È il telefono usato da uno degli stragisti: Nino Gioè, poi morto suicida in galera. Quelle telefonate sono tutte indirizzate a un’utenza del Minnessota: la prima da 40 secondi alle 15,17, la seconda da 23 secondi alle 15,38, la terza da ben 522 secondi alle 15,43. Meno di due ore dopo ecco l’esplosione. Con chi parlava Gioè in America?

Le tracce di dna: a Capaci c'era anche una donna? - 8/9

Siamo sicuri che il commando di morte fosse formato solo dai boss poi condannati? Siamo certi che i dubbi su Capaci riguardino solo i mandanti e non anche gli esecutori? Ci sono alcuni reperti recuperati dalla polizia scientifica nei pressi del luogo dove avvenne la strage. Sono due guanti in lattice trovati a 63 metri dal cratere provocato dall’esplosione assieme a una torcia e a un tubetto di mastice. Nel 1992 era impossibile rilevare le impronte digitali dal lattice: oggi, però – come raccontava ilfattoquotidiano.it già nel 2013 –  la tecnologia permette di ricostruirle anche da una particella di impronta papillare. Cosa è stato trovato da quelle particelle? Tracce genetiche riconducibili a una persona di sesso femminile. C’era dunque anche una donna nel commando di morte di Capaci? Di una donna aveva fatto cenno il collaboratore di giustizia calabrese, Nino Lo Giudice. Parlava di una persona che “agiva sempre” con Giovanni Aiello, l’ex poliziotto accusato di essere Faccia da mostro, il killer con il tesserino dei servizi in tasca.  “Era una tale Antonella – ha detto il pentito Lo Giudice – tutti e due facevano parte a servizi deviati dello Stato e la donna era stata ad Alghero in una base militare dove la fecero addestrare per commettere attentati e omicidi”. Le indagini su Aiello, però, sono state archiviate dopo la sua morte, avvenuta su una spiaggia della Calabria nell’agosto del 2017.

Perché le agende di Falcone furono modificate dopo la sua morte? - 9/9

Un altro nodo mai sciolto dagli investigatori è quello legato alla possibile manomissione dei supporti informatici di Falcone. Un tema incluso dai giudici di Caltanissetta tra quelli “suscettibili di ulteriori approfondimenti“. Si riferiscono all’agenda elettronica Casio che usava il giudice: gli ultimi accessi, infatti, hanno una data successiva alla strage. E dunque: dopo la morte di Falcone, qualcuno ha continuato a usare le sue agende elettroniche. Chi? Scrivono i giudici: “Come spiegato dal teste Gioacchino Genchi, la sostituzione di file nel personal computer fu certamente successiva alla morte di Giovanni Falcone, della datazione della cancellazione dei dati presenti nell’agenda elettronica non vi è alcuna certezza scientifico-informatica; è però del tutto verosimile che anche essa sia stata compiuta dopo la strage di Capaci, essendo incomprensibili le ragioni per cui lo stesso dottor Falcone avrebbe dovuto eliminare dalla sua agenda tutte le annotazioni ivi presenti, comprese quelle che si riferivano ad appuntamenti da lui presi per date posteriori al 23 maggio 1992”. Chi e perché ha usato le agende elettroniche di Falcone dopo la sua morte? Ed è un caso che tra i file “rieditati” ci fossero anche schede di Gladio, cioè la struttura paramilitare segreta attiva in Italia durante la guerra fredda? Secondo molti testimoni Falcone era molto interessato alla versione di Stay Behind, come la Cia aveva ribattezzato le organizzazioni impiantante in Europa in chiave anticomunista . E proprio su Gladio Falcone stava continuando a indagare. Anche quel giorno di maggio del 1992.

Il Fatto Quotidiano

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