26 gennaio 2018

41 cuori battono ancora a Guantanamo

"Ci vorrebbe un genio per chiudere Guantanamo"
(Allusione ironica al tweet di Trump
nel quale si definiva “un genio”
)
L’11 gennaio 2018 ci ricorda che sono trascorsi sedici anni durante i quali la prigione di Guantánamo continua a tenere prigionieri esclusivamente uomini musulmani, avendo sottoposto molti di loro a torture e detenzioni arbitrarie.
Convocate da Witness Against Torture (WAT, Testimoni contro la tortura), una trentina persone si sono riunite a Washington D.C. con l’intento di digiunare una settimana intera per cercare di far chiudere  Guantánamo e abolire per sempre le torture.
Sei giorni fa, Matt Daloisio è arrivato da New York con un furgone accuratamente carico di cartelloni e striscioni creati nel corso di dodici anni, oltre a sacchi a pelo, vestiti invernali e altri oggetti essenziali per quella settimana.
 
I manifestanti di Witness Against Torture si dirigono verso la Casa Bianca. Foto Justin Norman


Matt ha trascorso un’ora sistemando l’equipaggiamento nel grande atrio della chiesa che ci avrebbe ospitato. “ Ha preparato tutto”, ha riferito uno dei membri di WAT.
In seguito, Matt comincia a riflettere sul fatto che molti dei prigionieri, i cui volti e nomi appaiono sui nostri striscioni, sono già stati liberati. Nel 2007, c’erano 430 prigionieri a Guantánamo. Oggi, ci sono ancora 41 uomini. Shaker Aamer è riuscito a ricongiungersi col figlio che non ha mai potuto incontrare durante gli anni di prigionia in questo infame campo.
Mohamed Ould Slahi, autore del Diario di Guantánamo, è stato finalmente liberato. Ma, queste notizie seppur incoraggianti, non sminuiscono affatto l’urgenza che sentiamo di lottare per la liberazione dei 41 uomini ancora prigionieri a Guantánamo.

Nemmeno uno solo di quei 41 prigionieri è stato catturato dall’esercito usamericano nel campo di battaglia. Le milizie afgane e l’esercito pachistano hanno ricevuto delle importanti ricompense in denaro per la vendita agli usamericani dell’86% dei prigionieri. Immaginate il “via libera” offerto ad altri paesi per praticare la compravendita di esseri umani.

Aisha Manar, che lavora per la London Campaign to Close Guantanamo, ci segnala che “le pratiche di violazione dei dirittti eseguite a Guantánamo sono diventate oggi un modello per le politiche di detenzione e incarcerazione sia negli USA che in altri Stati”.

Questa spaventosa realtà si riflette nelle inchieste di Associated Press, le quali rivelano che gli Emirati Arabi Uniti dirigono una rete di prigioni segrete nello Yemen del sud all’interno delle quali i prigionieri sono sottomessi a torture estreme. Tra queste si include la pratica di legare il prigioniero attorno ad una macchina rotante denominata  “la griglia”, esponendolo al fuoco cosicchè si bruci.

“Circa 2.000 uomini sono scomparsi in quelle prigioni clandestine”, ci informa AP, “una cifra talmente alta che ha provocato proteste a volte anche settimanali tra le famiglie che vogliono avere notizie dei loro figli, fratelli e padri scomparsi”.
Uno dei principali centri di detenzione si trova nell’aeroporto di Riyan, precisamente a Mukalla, una città dello Yemen del Sud.

Alcuni ex-detenuti, che hanno rilasciato delle dichiarazioni mantendo l’anonimato, hanno spiegato che “erano stati ammassati all’interno di container sporchi di feci, rimanendoci per settimane con gli occhi bendati e a volte anche picchiati, oltre ad essere stati legati alla ‘griglia’ e aggrediti sessualmente”.
Un membro delle forze di sicurezza yemenite create dagli Emirati Arabi Uniti, ha riferito ad AP che in diverse occasioni le forze usamericane si sono trovate a pochi metri di distanza.

“Sarebbe difficile credere che gli USA non sapessero o non avrebbero potuto sapere di un reale pericolo di tortura”, ha dichiarato Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente per Amnesty International.
Il 9 gennaio scorso, i membri di WAT hanno cercato di consegnare una lettera all’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti, Yusuf Al Otaiba, per ottenere delle risposte riguardo le inchieste fatte precedentemente.Le guardie di sicurezza hanno ci hanno fotografati dicendo però di non poter accettare quella lettera.

Due giorni dopo ci siamo uniti ad altri gruppi per organizzare un raduno, indossando tute arancioni e cappucci neri, abbiamo preparato degli striscioni in cui appariva il numero “41” e abbiamo mostrato i due più importanti. In uno c’era scritto: “Ci sarebbe bisogno di un genio* per chiudere Guantánamo”. E nell’altro: ”Siamo ancora qui perchè voi siete ancora lì”.
Quarant’uno cuori battono ancora nelle celle della prigione di Guantánamo. Una cifra insopportabile.


Per concessione di Tlaxcala
Fonte: http://progressive.org/dispatches/forty-one-hearts-still-beating-in-guantanamo-180111/
Data dell'articolo originale: 11/01/2018
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=22554 

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