21 ottobre 2017

Filippo VI, il re borbone sul cammino dell'Estoril*

Un anno e mezzo fa ho scritto che il re Filippo VI promuoverebbe un referendum sulla Catalogna per "giustificare il suo regno". Era la cosa intelligente e ciò che i suoi consiglieri gli avrebbero consigliato. Un re che nessuno ha votato ha bisogno di mettere la sua leadership su qualcosa che va poco oltre l'essere un Borbone, figlio di suo padre e erede nel XXI secolo di un posto di lavoro fisso in politica grazie, vale la pena ricordarlo, al colpo di Stato del 1936. Ma proprio come Rosa Díez (1) - ogni giorno più vociferante - si sparò nel piede nel giorno in cui lei stessa rinunciò all'alleanza con Rivera (2), Felipe VI ha deciso di gettarsi nelle braccia del partito più corrotto in Europa e responsabile del disordine in cui siamo. Durante i giorni dell'assalto al Palazzo della Bastiglia, Luigi XVI, annoiato, scrisse nel suo diario: "niente, niente, niente". Un problema non piccolo per i re è che finiscono per credere di essere re. E dimenticano che la gente può accettare un regno solo se capisce che serve a qualcosa.


Era successo a suo padre, il Re Emerito, al quale gli spagnoli hanno dato la legittimità democratica per fermare un colpo di stato, quello del 23 febbraio (1981, NdT), uscito dal suo ambiente più vicino. Paradossi della storia che hanno salvato il suo regno e gli hanno permesso di continuare a fare un lavoro lucrativo di lobby e, per inciso, quello che voleva. Juan Carlos era stato nominato successore, con il titolo di re, dal dittatore Franco ed è stato confermato come tale dalla legge per la Riforma Politica, l'ultima legge franchista, che è stata anche la prima legge della democrazia. Suo padre, Juan de Borbón, si arrese con riluttanza alla legittimità monarchica due settimane prima delle elezioni del 1977. E oltre a conoscere le sue avventure extra-coniugali, di tanto in tanto, non si era distinto per fare qualcosa in più del borboneggiare. Ma i media lo hanno presentato come colui che ha fermato il colpo di stato del 23-Febbraio e gli spagnoli avallarono il racconto. Il giornale El País ha fatto il resto.
Il figlio aveva bisogno di qualcosa di simile e l'occasione d'oro era, quarant'anni dopo la Costituzione del 1978, di condurre una riforma che risolvesse la discussione territoriale. Ma ha commesso un terribile errore e non deve escludere che noi spagnoli decidiamo, come accaduto nel XIX secolo con Isabella II e nel XX secolo con Alfonso XIII, di prescindere dai suoi servizi e invitarlo a cercare una residenza al di fuori del palazzo Zarzuela.

Tre macchine, di Manel Fontdevila, eldiario.es, 10/04/10:

- La macchina per produrre indipendentisti (Rajoy)
- La macchina per produrre attivisti della Spagna indivisibile (Puigdemont)
-NOVITA'! La macchina per produrre repubblicani (Felipe VI)

La Catalogna è una nazione e se dobbiamo ripeterlo è perché la Spagna - la mia nazione oggi e con con la quale voglio affrontare i problemi globali del XXI secolo - ha ricevuto cattive lezioni ed è stata una pessima allieva. I costituenti del 1978 lo sapevano e l'hanno scritto nell'articolo 2 nei termini dell'epoca (parlarono di nazionalità perché c'era rumore di spade). Ogni volta che noi, gli spagnoli abbiamo votato in libertà, è emersa la condizione plurinazionale della Spagna. L'unico modo in cui la nostra nazione di nazioni non si romperà è o una dittatura o un accordo tra i diversi territori dello stato. È vero che alcuni hanno abbaiato un "per loro". Ma sono una minoranza. Anche se né loro né noi lo abbiamo reso noto.

Avevamo fatto molti progressi con lo Statuto, che ha adempiuto il mandato della Costituzione - il quadro territoriale sarebbe stato approvato dal parlamento catalano, dal parlamento spagnolo e dal popolo della Catalogna in un referendum - ma il PP ha violato l'accordo appellandosi agli articoli 151 e 152 (3) e conferendo la responsabilità politica alla Corte Costituzionale. E non a una qualsiasi Corte Costituzionale, ma ad una presieduto da un giudice con una tessera del PP. L'attuale impasse è stata lanciata da Rajoy quando ha cominciato a raccogliere firme in strada per fermare lo Statuto, che esprimeva la volontà costituzionale. Il PP è arrivato tardi alla democrazia (alle libertà, alla Costituzione, alle autonomie, al divorzio, all'aborto, al matrimonio omosessuale, al diritto di sciopero, alla libertà di espressione) e non appena lo trascuriamo ritornerà alle sue origini.

Questo 3 ottobre il re Felipe VI ha perso l'opportunità di affermare l'articolo 56 della Costituzione che dice: "Il re è il capo dello Stato, simbolo della sua unità e permanenza, arbitra e modera il funzionamento regolare delle istituzioni" . Il re ha preferito essere il fattorino delle tesi di Rajoy, tesi che hanno fatto si che, oltre agli indipendentisti, in Catalogna siano contro il PP anche i non-indipendentisti. Il PP non ottiene in Catalogna l'8% dei voti e ha deciso di trasformare questo fallimento nella possibilità di far affrontare spagnoli con gli spagnoli. È stato Rajoy che ha moltiplicato il numero di indipendentisti. Non dovrebbero accusarlo dalle loro fila di tradimento alla patria?

Felipe VI avrebbe avuto bisogno di coraggio per affrontare il governo Rajoy e la brutalità della repressione del PP in Catalogna che ha lasciato attonita l'Europa democratica. Non che avesse abbracciato il comportamento di Puigdemont, ovviamente al di fuori della Costituzione, ma dovrebbe aver capito che il conflitto è politico, non è un problema di codice penale. E lui, soprattutto lui, avrebbe potuto chiedere il dialogo. Ma ha deciso di sollevare lui stesso il bastone invece di visitare le vittime della violenza di una guardia civile e di una polizia che, salvo alcuni pieni di ira, avrebbe voluto essere altrove, ad esempio arrestando i corrotti. Né tanto meno fu facile per il padre smontare il colpo di stato in cui aveva collaborato in un modo o nell'altro, ma ha fatto un bilancio, si prese poche ore e prese la decisione giusta. Ed ha potuto regnare per quarant'anni, forse ha ricordando che suo padre trascorse gran parte della sua vita a Estoril. Felipe VI si è posto dal lato del PP che affronta 800 accuse di corruzione e la denuncia dell'Europa per la brutalità della repressione. Valente arbitro.

La soluzione ai numerosi problemi della Spagna - il conflitto con la Catalogna, ma anche la corruzione, la disoccupazione, lo svuotamento dei fondi pensione, la violenza a Murcia contro la popolazione, la precarietà del lavoro, gli sfratti, i tagli nella salute e nell'istruzione, l'emigrazione dei nostri giovani, i problemi della desertificazione legata al cambiamento climatico - è quella di concordare un nuovo contratto sociale. Cioè, con un processo costituente. Dopo quarant'anni dall'ultima Costituzione, chi vuole fermare gli spagnoli nel concordare sulla base della nostra coesistenza?

Gli errori fatti dal governo del PP in Catalogna ci obbligano tutti a discutere con calma e fraternità le fondamenta del nostro contratto sociale. Noi che non vogliamo né che la Catalogna si metta in ginocchio né che veda come unica via d'uscita abbandonare la Spagna, chiediamo un processo costituente. È la tanto decantata"seconda Transizione" adesso si che, dopo quattro decenni dalla morte di Franco, deve assumere non poco della prima rottura. Soprattutto con i nostalgici del Franchismo e dei suoi metodi e per non rompere il paese. Né è così complicato. Per la Catalogna sarebbe sufficiente un nuovo accordo economico, senza dimenticare la solidarietà, l'autogestione in materia linguistica e culturale, il riconoscimento costituzionale dell'identità come nazione, il trasferimento di poteri e l'impegno per la gestione dello Stato e un vero impegno federale che lo renderebbe reale, per esempio, la Corte Costituzionale può essere a Barcellona. E, naturalmente, che decidano, in un referendum concordato con lo Stato e vincolante per entrambe le parti, il loro legame con la Spagna.

La discussione sulla monarchia non era all'ordine del giorno. Ma il comportamento di Filippo VI l'ha rimessa sul tavolo. Diceva Jaime Miquel che la Spagna che emerge è plurinazionale, e il non comprendere questo converte i cittadini in una mera stampella del PP, il PSOE come una banderuola che oscilla tra l'imbarazzo e il patetismo e il re Felipe VI sul cammino per Estoril. Spetta a noi cittadini assumerci le nostre responsabilità. E la primo è di buttare tutti i politici responsabili di averci tradito per portarci in questo caos che è diventato la nostra democrazia. Hanno fatto male il loro lavoro e devono essere buttati fuori. E Filippo VI, il re inedito, ha deciso di lanciare la sua sorte accanto a coloro che ci hanno lasciato.

N.d.T.:
(1) Rosa Diez, ex attivista PSOE, fondò nel 2007 un partito che promuove un atteggiamento più rigoroso verso le autonomie, UpyD (Unione, Progresso e Democrazia).
(2) Albert Rivera, presidente di Ciudadanos (cittadini), partito che ha morso l'elettorato del PP in Catalogna da posizioni ostili alle autonomie.
(3) Articoli che precisano in particolare le modalità di modifica della Costituzione.

(*) Estoril è la località balneare portoghese dove Francisco Franco ha mandato in esilio Juan de Borbón e Battenberg, Conte di Barcellona e sua moglie la Principessa María de Borbón e Orleáns, i nonni di Felipe VI. Vivevano a Villa Giralda.

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