15 settembre 2017

Il genocidio dei Rohingya

"Aung San Suu Kyi: Vergognati"
In una certa misura, Aung San Suu Kyi, è come un falso profeta. Elogiata dall’occidente per molti anni, la hanno resa una ‘icona della democrazia’ perché si è opposta alle medesime forze nel suo paese, la Birmania, nel tempo in cui la coalizione occidentale guidata dagli Stati Uniti, aveva isolato Rangoon per la sua alleanza con la Cina.
Aung San Suu Kyi ha svolto il suo ruolo come previsto, ottenendo l’appoggio della Destra e l’ammirazione della Sinistra. Per questo ha ottenuto il Premio Nobel per la Pace nel 1991: è entrata nel gruppo degli ‘Anziani’ ed è stata pubblicizzata da molti giornalisti e da vari governi come una figura eroica che si doveva imitare.
Una volta Hillary l’ha definita “una donna straordinaria.” Il percorso della ‘Signora’ della Birmania da pariah politica nel suo paese dove è stata per 15 anni agli arresti domiciliari, è finalmente terminato con un trionfo quando è diventata la leader della Birmania in seguito a un’elezione multipartitica nel 2015.
Da allora ha viaggiato in molti paesi, ha cenato con regine e presidenti, ha tenuto discorsi memorabili, ha ricevuto riconoscimenti, allo stesso tempo consapevolmente  “cambiando marchio   proprio ai militari brutali ai quali si era opposta nel corso degli anni.
Una donna Rohingya nella sua baracca in un piccolo campo profughi in Bangladesh. (Foto: Zoriah - Zoriah.net)
La grande ‘umanitaria’ sembra, però, avere esaurito l’integrità, dato che il suo governo, i militari e la polizia hanno cominciato a condurre una vasta operazione di pulizia etnica che ha preso di mira ‘la gente più oppressa sulla terra’, i Rohingya. Queste persone indifese sono state soggette a un genocidio brutale e sistematico, condotto con uno sforzo congiunto di militari e polizia birmana, e di una maggioranza di nazionalisti buddisti.
Le cosiddette “Operazioni di pulizia” hanno ucciso centinaia di Rohingya nei mesi recenti, spingendo oltre 250.000 persone  in lacrime, spaventate e affamate, a scappare per salvarsi la vita in qualsiasi maniera possibile. Altre centinaia di Rohingya sono morti in mare o braccati e uccisi nelle giungle.
"Aung San Suu Kyu: dove sei quando il popolo Rohingya viene ucciso?"
Notizie di uccisioni e caos ricordano una delle pulizie etniche del popolo palestinese durante la Nabka del 1948. Non dovrebbe essere una sorpresa che Israele è uno dei più grossi fornitori di armi alle forze armate birmane. Malgrado un prolungato embargo alla Birmania da parte di molti paesi, il Ministro della Difesa di Israele, Avigdor Lieberman, insiste nel dire che il suo paese non ha alcuna intenzione di porre fine alle sue spedizioni di armi all’indegno regime di Rangoon che sta attivamente usando queste armi contro le sue minoranze: non soltanto i musulmani nello stato occidentale di Rakhine, ma anche i cristiani nel nord.
Una delle spedizioni di Israele era stata annunciata nell’agosto 2016 dalla Compagnia Israeliana TAR Ideal Concepts. La compagnia orgogliosamente mostrava che i suoi fucili Corner Shot sono  in ‘uso operativo’ da parte delle forze armate birmane.
La storia di Israele è piena di esempi di appoggio a giunte militari brutali e a regimi autoritari, ma perché coloro che  si sono “collocati” come i guardiani della democrazia stanno ancora zitti riguardo al bagno di sangue in Birmania?
Quasi un quarto della popolazione Rohingya è stata già mandata via dalle loro case fin dall’ottobre dello scorso anno. Il resto potrebbe seguire nel prossimo futuro, rendendo quindi il crimine collettivo quasi irreversibile.
Aung San Suu Kyi non ha avuto neanche il coraggio morale di dire qualche parola di compassione alle vittime. Ha saputo, invece, soltanto esprimere una dichiarazione non allineata:  “Dobbiamo prenderci cura di tutti coloro che sono nel nostro paese”. Nel frattempo il suo rappresentante e altri portavoce hanno dato il via a una campagna di denigrazione contro i Rohingya, accusandoli di incendiare i loro propri villaggi, di inventarsi le loro storie di stupri, definendo  allo stesso tempo ‘Jihadisti’  i Rohingya che osano opporsi,  sperando di collegare il genocidio in corso con la campagna  infestata dagli occidentali, mirata a denigrare i musulmani  dovunque.
Però dei rapporti ben documentati ci forniscono più di uno sguardo della straziante realtà sperimentata dai Rohingya. Un recente rapporto dell’ONU ci descrive il racconto di una donna il cui marito era stato ucciso dai soldati in quelli che l’ONU ha definito attacchi “vasti e sistematici” che “molto probabilmente sono incarichi di crimini contro l’umanità.”
“Cinque di loro mi hanno tolto i vestiti e mi hanno stuprato”, ha detto la donna privata del marito. “Il mio bambino di 8 mesi piangeva per la fame quando erano a casa mia perché voleva essere allattato al seno, e quindi per farlo stare zitto lo hanno ucciso con un coltello.”
I rifugiati scappati che sono riusciti ad arrivare in Bangladesh dopo un viaggio da incubo, hanno parlato di uccisioni di bambini, di stupri di donne e dell’incendio di villaggi. Alcuni di questi racconti sono stati verificati per mezzo di immagini satellitari fornita dall’Osservatorio per i Diritti Umani, le quali mostrano villaggi in tutto lo stato che sono stati distrutti.
Certamente, l’orribile fato dei Rohingya non è del tutto nuovo, ma ciò che lo rende particolarmente urgente è che l’Occidente è ora del tutto dalla parte proprio del governo che sta compiendo queste azioni atroci.
E c’è un motivo per questo: il petrolio.
In un servizio dall’isola di Ramree, il giornalista Hereward Holland ha scritto circa la “caccia al tesoro nascosto del Myanmar’.
Massicci depositi di petrolio che sono rimasti intatti a causa di decenni del boicottaggio occidentale del governo della giunta, sono ora disponibili per il miglior offerente. E’ una manna per le grandi compagnie petrolifere che sono tutte invitate. Shell, ENI, Total, Chevron e altre stanno investendo grosse somme di denaro per sfruttare le risorse nazionali del paese, mentre i Cinesi che hanno dominato per molti anni l’economia della Birmania, vengono lentamente estromessi.
In effetti, la rivalità per la ricchezza non sfruttata della Birmania, è al suo picco dopo decenni. E’ questa ricchezza e la necessità di indebolire lo status di superpotenza della Cina in Asia, che ha riportato lì l’Occidente, ha installato Aung San Suu Kyi come leader in un paese che non è mai fondamentalmente cambiato, ma si è soltanto rivenduta con un nuovo marchio per aprire la strada al ritorno delle grandi compagnie petrolifere.
I Rohiringya, comunque, ne stanno pagando il prezzo. Non permettete che la propaganda birmana ufficiale vi inganni. I Rohingya non sono stranieri, intrusi o immigrati in Birmania.
Il loro regno di Arakan risale all’8° secolo. Nei secoli che seguirono, gli abitanti di quel regno ebbero notizia dell’Islam dai commercianti arabi, e, col tempo, il paese divenne una regione a maggioranza musulmana. Arakan è lo stato di Rakhine della Birmania moderna, nel quale si stima che vivano ancora la maggior parte dello stimato 1,2 milioni di Rohingya.
La falsa idea che Rohingya siano stranieri, è iniziata nel 1784 quando il re birmano ha conquistato Arakan e ha costretto migliaia di persone a fuggire. Molti di coloro che erano stati costretti a lasciare le loro case e ad andare nel Bengala, alla fine ritornarono.
Gli attacchi contro i Rohingya e i costanti tentativi di cacciarli via da Rakhine, sono stati ripetuti  vari periodi della storia; per esempio, in seguito alla sconfitta giapponese delle forze britanniche di stanza in Birmania nel 1942; nel 1948, in seguito alla presa della Birmania a opera dell’esercito nel 1962; come conseguenza della cosiddetta ‘Operazione Re Dragone’ nel 1977 durante la quale la giunta militare ha cacciato via con la forza oltre 200.000 Rohingya dalle proprie case e li ha fatti  andare in Bangladesh, e così via.
Nel 1982, il governo militare approvò la Legge per la cittadinanza che tolse alla maggior parte dei Rohingya la loro cittadinanza e li dichiarò illegali nel loro stesso paese.
La guerra ai Rohingya è iniziata di nuovo nel 2012. Da allora, ogni singolo episodio ha seguito un tipo di narrazione tipico: gli ‘scontri intercomunitari’ tra cittadini buddisti e Rohiringya che spesso causava il fatto che diecine di migliaia di appartenenti al secondo gruppo venivano cacciati via verso la Baia del Bengala, nelle giungle e, i sopravvissuti, nei campi profughi.
Nel silenzio internazionale, soltanto poche figure apprezzate, come Papa Francesco, hanno parlato apertamente a sostegno dei Rohingya durante una preghiera profondamente commuovente detta lo scorso febbraio.
I Rohingya sono ‘delle persone buone’ ha detto il Papa. “Sono persone pacifiche, e sono i nostri fratelli e sorelle.” La sua richiesta di giustizia non è stata mai ascoltata.
I paesi arabi e musulmani sono restati in gran parte in silenzio, malgrado il pubblico grido di protesta di fare qualcosa per porre fine al genocidio.
Mentre lavorava a Sittwe, la capitale del Rakhine, il giornalista britannico Peter Oborne ha descritto che cosa ha visto, in un articolo pubblicato dal Daily Mail il 4 settembre:
“Proprio 5 anni fa, un numero valutato in 50.000 persone della popolazione della città che ammonta a circa 180.000 erano membri del locale gruppo etnico musulmano dei Rohingya. Oggi ne sono rimasti meno di 3.000 e non sono liberi di camminare nelle strade. Sono stipati in un minuscolo ghetto circondato da fili spinati. Delle guardie armate impediscono ai visitatori di entrare e non permetteranno ai Roinghya musulmani di andarsene.”
Avendo accesso a quella realtà tramite i molti emissari sul posto, i governi occidentali conoscevano fin troppo bene alcuni fatti incontestabili, ma, comunque li ignoravano.
Quando le grosse aziende americane, europee e giapponesi si sono messe in fila per sfruttare i tesori della Birmania, tutto quello di cui avevano bisogno era un cenno di approvazione da parte del governo degli Stati Uniti. L’amministrazione di Barack Obama ha accolto la ‘apertura’ della Birmania anche prima  che le elezioni del 2015 portassero al potere Aung San Suu Kyi e la sua Lega Nazionale per la Democrazia. Dopo quella data la Birmania è diventata un’altra ‘storia di successo’  americana, naturalmente incurante del fatto che c’era stato un genocidio in quel paese.
E’ probabile che la violenza in Birmania aumenti e raggiunga altri paesi dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico), semplicemente perché i due principali gruppi etnici e religiosi in questi paesi sono dominati e divisi quasi in parti uguali tra Buddisti e musulmani.
Il ritorno trionfante di Stati Uniti e Occidente per sfruttare la ricchezza della Birmania e le rivalità tra Stati Uniti e Cina, è probabile che complichi anche ulteriormente la situazione, se l’ASEAN, non metterà fine al suo spaventoso silenzio, e si muoverà con una strategia determinata a fare pressione sulla Birmania affinché metta fine al suo genocidio dei Rohingya.
Le persone di tutto il mondo devono prendere una posizione. Le comunità religiose dovrebbero far sentire la loro voce. I gruppi per i diritti umani dovrebbero fare di più per documentare i crimini del governo birmano e chiedere conto a coloro che li riforniscono di armi.
L’apprezzato Arcivescovo sudafricano Desmond Tutu ha energicamente ammonito Aung San Suu Kyi per avere fatto finta di non vedere il genocidio che continua.
E’ il minimo che ci aspettiamo dall’uomo che  si era opposto all’Apartheid nel suo paese, e che ha scritto le famose parole: “Se si è neutrali in situazioni di ingiustizia, si è scelta la strada dell’oppressore.”
Sul cartello nella foto c’è scritto: Cara Suu Kyi, siamo tutti uno stesso essere umano –Per favore, agisci come uno di questi. 

Per concessione di ZNet Italy
Fonte: http://www.ramzybaroud.net/the-genocide-of-the-rohingya-big-oil-failed-democracy-and-false-prophets/
Data dell'articolo originale: 13/09/2017
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=21534 

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