26 agosto 2017

NATO: Napoli, l’Italia, gli USA e l’UE

Il prossimo 1° settembre inizieranno le attività del nuovo Centro di Coordinamento Strategico della North Atlantic Treaty Organization (NATO: Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord) di Napoli che, poi, verrà inaugurato ufficialmente il successivo 5 settembreIl nuovo Hub, come viene definito in gergo militare, si occuperà di coordinare le azioni della NATO nelle aree sud ed est del Mediterraneo: Medio Oriente, Africa settentrionale, Sahel, Africa subsahariana. In pratica, si tratta delle aree attualmente di maggior interesse per i Paesi dell’Alleanza Atlantica.

Il comando del nuovo Centro di Direzione Strategica è affidato all’Ammiraglio Michelle Howard, della Marina degli Stati Uniti.
Si tratterà, fondamentalmente, di un centro di raccolta dati che permetta alla NATO di scambiare informazioni sensibili con attori fondamentali nell’area, come l’Unione Europea, l’Unione Africana (UA) o l’Organizzazione delle Nazioni Unite: in quest’ottica, lo scopo non sarà solo militare, come coordinare gli sforzi per la difficile lotta al terrorismo, ma tenterà di intervenire anche su questioni più prettamente politiche come la crisi dei migranti, di primaria importanza per l’UE, ad esempio. 

Nella riunione di presentazione dello Hub, l’Ammiraglio Howard ha dichiarato, infatti, che il soccorso dei migranti in mare non rappresenta altro che un intervento volto a curare i sintomi: lo scopo del Centro Strategico, quindi, sarà quello di arrivare ad una più profonda comprensione delle cause che possa poi aiutare a concepire degli interventi volti ad agire alla radice del problema. Per raggiungere obiettivi come questo, sostiene la Howard, è necessario che tutti gli attori coinvolti lavorino assieme: proprio facilitare la cooperazione tra gli attori in campo sarà il compito principale del nuovo Hub di Napoli che si avvarrà di una squadra di circa novanta esperti provenienti da diversi Paesi.

L’apertura del Centro di Coordinamento Strategico è stata fortemente voluta dal Ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, che ha sottolineato come il nuovo Hub, situato ai ‘confini’ più turbolenti dell’area NATO, sarà fondamentale per accelerare l’evoluzione dell’organizzazione e renderla più efficace in termini di lotta al terrorismo e agli attacchi cibernetici che caratterizzano la nostra epoca.
In effetti, la NATO negli ultimi anni si è trovata ad affrontare una certa crisi riguardante il suo ruolo in un mondo molto differente da quello che l’aveva vista nascere.

Fondata nel 1949 da dodici Paesi che rientravano nell’area di influenza statunitense e concepita per contrapporsi al blocco sovietico, l’Alleanza Atlantica era implicitamente legata a dinamiche tipiche della Guerra Fredda: la contrapposizione tra due blocchi opposti sia militarmente ed economicamente che ideologicamente (alla NATO, nel 1955, si contrappose un equivalente sovietico: il cosiddetto Patto di Varsavia) ha influenzato la natura stessa dell’Organizzazione. Si potrebbe quasi dire che le due potenze che si contendevano il mondo, avevano i loro rispettivi imperi: NATO e Patto di Varsavia, appunto.

Con la fine del blocco sovietico, iniziata con la caduta del Muro di Berlino nel 1989, l’Organizzazione sembrava aver perso la sua ragion d’essere, anche a causa dell’ideologia sulla ‘Fine della Storia’ che si era affermata tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio. L’11 settembre 2001 ha riportato tutti bruscamente alla realtà: la Storia, ben lungi dall’essere finita, aveva continuato a ribollire sotterraneamente e il grande vincitore delle Guerra Fredda (assieme ai suoi alleati), cullandosi nell’illusione, si era fatto trovare impreparato.

Di fronte alle nuove sfide del terrorismo, infatti, la struttura militare della NATO, pensata per affrontare un nemico tradizionale, si scoprì di colpo inadeguata: il nuovo nemico non era un impero identificabile, con un territorio da invadere ed un esercito da combattere, ma una serie di organizzazioni clandestine capaci di colpire i cittadini inermi in qualsiasi momento, per poi scomparire senza quasi lasciare traccia.

Le recenti evoluzioni della politica statunitense, con l’elezione a Presidente di Donald Trump, erano addirittura arrivate a mettere in discussione l’utilità stessa dell’Organizzazione: la spinta all’isolazionismo e all’autarchia del nuovo Presidente sembrava rendere superflua un’Alleanza che riguardava Paesi sempre meno influenti sia politicamente che, soprattutto, militarmente. La politica di Trump, infatti, sembrava puntare ad una serie di obiettivi che avrebbero reso obsoleta la NATO: la normalizzazione dei rapporti con la rinata potenza russail graduale disimpegno dalle aree di crisi in Africa settentrionale e Medio Orientelo spostamento degli interessi economici statunitensi dall’Atlantico al Pacifico. Oltre a questo, il nuovo Presidente, già in campagna elettorale, si era espresso in maniera dura contro l’UE, accusandola di approfittare in maniera parassitaria della difesa garantita dagli USA tramite la NATO, senza in realtà contribuire in maniera adeguata né per quanto riguarda il contributo militare, né per quanto riguarda le spese.

Le difficoltà dell’Amministrazione Trump (sempre più nelle mani dei Generali), hanno fatto fare al Presidente USA molti passi indietro, sia per quanto riguarda i rapporti con la Russia di Vladimir Putin, sia per quanto riguarda il disimpegno nel Mediterraneo: ecco che la NATO torna ad avere un nuova centralità e, con essa, il nuovo Centro di Napoli acquisisce una grande importanza strategica.

Sul fronte orientale, infatti, l’Alleanza si è allargata a una decina di Paesi che, in precedenza, avevano fatto parte del Patto di Varsavia: lo spostamento ad est del confine del blocco e il progetto di Scudo Missilistico (in Romania e Polonia) sono state percepite, dalla rinata potenza russa, come una minaccia; la crisi ucraina e l’annessione della Crimea da parte di Mosca hanno riportato l’Europa centro-orientale ad essere un fronte rilevante di tensione politica.

La cosa vale ancor di più per quanto riguarda il Mediterraneo che, ai tempi della Guerra Fredda, era considerato uno scenario decisamente secondario. La connessione, oramai innegabile, tra l’instabilità politica dell’area mediorientale e il proliferare del terrorismo di matrice islamista, che ha dimostrato di saper colpire ovunque nel mondo, ha reso la pacificazione di quella regione (e di quelle affini) una priorità per la NATO. In questo contesto, il ruolo dei Paesi dell’UE (ripetutamente colpiti da atti terroristici), in generale, e quello dell’Italia, (che si trova a dover fronteggiare il maggior peso di una pressione migratoria provocata, in larga parte, dall’instabilità dell’area), in particolare, acquista una rilevanza che da decenni aveva smesso di avere.

Oltre ai ‘fronti’ orientale e meridionale, poi, esiste il fronte cibernetico: lo sviluppo della rete e la capacità di usarla, in maniera pressoché del tutto anonima, sia come arma per colpire importanti infrastrutture governative, sia per comunicare ideologie, reclutare volontari ed organizzare atti terroristici, rende necessario lo sviluppo di una serie di contromisure concepite in seno all’Alleanza. Tutti questi nuovi fronti fanno sì che la comunicazione ed il coordinamento tra gli alleati siano fondamentali.

Con le Nazioni Unite che, a meno di una improbabile riforma strutturale, faticano a rispondere alle necessità proposte dalla nuova era, sembra che alleanze sovranazionali che facciano capo ad aree geografiche piuttosto vaste (Unione Europea ed Unione Africana, ad esempio) siano destinate ad acquisire un peso sempre maggiore. In quest’ottica, la NATO potrebbe essere pensata come un contenitore di alleanze sovranazionali, un coordinamento che renda possibile un’azione comune.

Spingendo nella direzione di una difesa unica UE e ospitando il Centro di Coordinamento Strategico NATO per l’area attualmente più calda, l’Italia potrebbe ambire a giocare un ruolo più ambizioso sia al livello europeo che a livello atlantico.

Francesco Snoriguzzi, Lindro

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