7 aprile 2017

Tutto quello che non torna sull'uso del gas da parte di Assad

Nel gioco dei veti incrociati e delle accuse reciproche sull'uso dei gas nella guerra civile siriana, è possibile che la strage di Khan Sheikun finisca per perdersi nel solito rivolo di formalismi burocratici e diplomatici senza che si arrivi a stabilire una responsabilità certa per quello che è accaduto.

Allo stato dell'arte, se così si può dire e sulla pelle delle 72 vittime finora accertate (circa 300 le altre persone contaminate), i ribelli accusano l'aviazione e le bombe di Assad, supportati da Stati Uniti, Turchia, Israele e da buona parte dei governi europei. Mentre Mosca difende Damasco sostenendo la tesi secondo cui sarebbe stato incidentalmente colpito un deposito di armi della guerriglia, dove erano stoccate anche alcune testate contenenti i gas.

Jerry Smith, che nel 2013 guidò il team delle Nazioni Unite che supervisionò la distruzione dell'arsenale chimico siriano, sostiene che all'epoca le componenti con cui si armavano le testate venivano tenute separate e combinate solo poche ore prima di un attacco. Il che porterebbe a una doppia conclusione: parte di quell'arsenale fu nascosto per essere riutilizzato e quindi l'esercito di Assad ne sarebbe ancora dotato, oppure la tesi di Mosca ha un fondamento e nel deposito di armi dei ribelli era presente almeno una testata col gas già combinato.

Per capire come sono andate davvero le cose sarebbe necessaria una inchiesta indipendente sul campo: medica e tecnico-militare. Primo, per stabilire quale sia stato il gas (Sarin, quasi certamente) e di qui risalire alla fonte, visto che le componenti con cui si "fabbrica" sono una specie di inconfondibile impronta digitale. Secondo, per accertare se il gas è arrivato a Khan Sheikun con una bomba sganciata da un aereo o su una testata sparata dall'artiglieria oppure se l'esplosione è avvenuta sul terreno (la tesi di Damasco e Mosca).

Che si sia trattato di gas, non c'è dubbio. Nessun dubbio nemmeno sull'orrore della strage che ha provocato. Ma è un fatto che, nonostante la "pulizia" operata dall'Onu nel 2013, la Siria (come l'Iraq) fosse disseminata di depositi piccoli e grandi di armi di ogni genere, chimiche comprese. E nessuno può escludere che queste, anche in piccole quantità, siano finite nelle mani dei ribelli.

Un ultimo dubbio. Una testata armata con sostanze chimiche contiene sempre una quantità di gas tale da produrre effetti ben più devastanti di quelli registrati. Per capirsi, si parla di centinaia di litri contro un chilogrammo o poco più (è il rapporto che si potrebbe applicare alla strage di Khan Sheikun). Basti ricordare due precedenti. Uno proprio in Siria: il 21 agosto 2013 a Ghouta (tra 300 e 1500 vittime, secondo varie stime, e circa 3000 persone intossicate). L'altro ad Halabja, durante la guerra Iraq-Iran: il 16 marzo 1988 (almeno 5.000 vittime e migliaia di feriti). Nel primo caso, il gas usato fu proprio il Sarin (fabbricato in Siria ma con componenti probabilmente fornite da Mosca). Nel secondo caso furono utilizzati gas nervino ed iprite (gas mostarda). Questo per dire che il numero relativamente ridotto di vittime a Khan Sheikun lascia comunque aperte entrambe le ipotesi.

Infine, una considerazione di ordine politico. Se si dimostrasse che è stato davvero Assad ad ordinare il bombardamento col gas (il ministro della Difesa di Israele afferma di averne la certezza al cento per cento), la sua decisione equivarrebbe al definitivo suicidio del regime proprio nel momento in cui aveva riconquistato gran parte del territorio e delle città finite nelle mani della ribellione. Ma la follia delle guerre mediorientali ci ha abituati ad assistere a qualunque tragica sorpresa. E non c'è dubbio che, comunque vada a finire, il corso del regime di Damasco resterà indissolubilmente legato alla maschera tragica del suo presidente, aggrappato al potere al di là di ogni considerazione logica e umanitaria.

Andrea Purgatori - http://www.huffingtonpost.it/

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