18 dicembre 2015

"Eztetika della fame", il Manifesto del Cinema Novo brasiliano

Glauber Rocha presentò questa tesi durante la V Rassegna del Cinema Latinoamericano, Genova , 21-30 gennaio 1965. Il testo, scritto nell'aereo fra Los Angeles e Milano, espone le basi estetiche e politiche del Cinema Novo brasiliano e critica il paternalismo europeo nei confronti del Terzo Mondo. "Eztetica della fame" (rispettando la grafia originale dell'autore) diventò un manifesto del Cinema Novo. Fu pubblicato nel n° 3 della Revista Civilização Brasileira, Río de Janeiro, luglio 1965.
Lasciando da parte l'introduzione informativa che precede generalmente ogni dibattito sull'America Latina, intendo definire i rapporti tra la nostra cultura e la cultura civilizzata in termini meno riduttivi di quelli usati dagli osservatori europei nelle loro analisi.

Mentre l'America Latina si rammarica della sua miseria in generale, l'osservatore straniero coltiva il sapore di questa miseria, non come un sintomo tragico, ma soltanto come un dato formale del suo campo di indagini. In tal modo, né il latino-americano comunica la sua vera miseria all'uomo civilizzato, né l'uomo civilizzato comprende veramente la miseria del latino-americano.

Questa - fondamentalmente - è la situazione delle arti in Brasile dinanzi al mondo che può essere così sintetizzata. Fino a oggi una falsa interpretazione della realtà (esotismo formale per diffondere temi sociali) ha provocato una serie di equivoci, non circoscritti ai confini dell'arte ma che contaminano soprattutto il campo generale della politica.

All'osservatore europeo, i processi di creazione artistica del mondo sottosviluppato interessano soltanto nella misura in cui soddisfano la sua nostalgia di primitivismo. Ma questo si presenta in forma ibrida, mascherato da tardive eredità del mondo civilizzato, mal compreso, perché imposto dal condizionamento colonialista. L'America Latina rimane tuttora una colonia: la differenza tra il colonialismo di ieri e quello di oggi sta soltanto nella forma più perfezionata degli attuali colonizzatori e dei coloni, forme sottili di quelli che anche su di noi, assemblano futuri golpe. Il problema internazionale dell'America Latina non è che una questione di cambio della guardia fra colonizzatori, e la nostra liberazione, di conseguenza, è sempre in funzione di una nuova dipendenza.

Questo condizionamento economico e politico ci ha condotto al rachitismo filosofico e all'impotenza, che, a volte inconsciamente a volte no, generano in primo luogo sterilità e in secondo isteria.

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Sterilità: quelle opere si trovano in grandi quantità nella nostra arte in cui l'autore si castra in esercizi formali che tuttavia non raggiungono il pieno possesso delle loro forme, il sogno frustrato di universalizzazione: artisti non ancora risvegliati dall'ideale estetico adolescenziale. Così vediamo centinaia di foto in gallerie polverose e dimenticate; libri di racconti e poesie; giochi, film (che in particolare a San Paolo, hanno causato anche fallimenti) ...

Il mondo ufficiale incaricato delle Arti ha generato mostre carnevalesche in festival e biennali, conferenze fabbricate, formule facili per il successo, cocktail in varie parti del mondo, oltre ad alcuni mostruosi ufficiali della cultura, accademici di Arte e Letteratura, giurie per la pittura e marce culturali all'estero.

Mostruosità universitarie: famose riviste letterarie, concorsi, titoli.

L'isteria: un capitolo più complesso. L'indignazione sociale porta a discorsi impetuosi. Il primo sintomo è l'anarchismo che segna la giovane poesia fino ad oggi (e la pittura).

La seconda è una riduzione politica dell'arte che fa cattiva politica per eccesso di settarismo.

Il terzo e più efficace, è la ricerca di una sistemazione per l'arte popolare. Ma l'ambiguità di tutto ciò è che il nostro possibile equilibrio, non è un corpo organico, ma uno sforzo titanico e auto-desvastatore per superare il senso di impotenza, e nel risultato di queste operazioni di forcipe ci vediamo frustrati, solo nei limiti inferiori del colonizzatore, e se egli ci capisce, quindi, non è per la chiarezza del nostro dialogo, ma per l'umanitarismo che le nostre informazioni ispirano.

Ancora una volta il paternalismo è il metodo di comprensione di un linguaggio di lacrime e di muta sofferenza.

La fame latina, pertanto, non è solo un sintomo allarmante: è il nervo della propria società. Qui risiede la tragica originalità del Cinema Novo di fronte al cinema mondiale, la nostra originalità è la nostra fame e la nostra più grande miseria è che questa fame, essendo sentita, non è compresa.

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Da "Aruanda" fino a "Vidas Secas", il Cinema Novo ha narrato, descritto, poetizzato, discorso e analizzato. Ha suscitato i temi della fame: personaggi che mangiano terra, personaggi che mangiano radici, personaggi che rubano per mangiare, personaggi che uccidono per mangiare, personaggi che fuggono per mangiare, personaggi sporchi, brutti, emaciati che vivono in case sporche brutte e buie: fu questa galleria di affamati che identificò il Cinema Novo con il miserabilismo così condannato dal governo, dalla critica al servizio degli interessi anti-nazionali, dai produttori e dal pubblico, quest'ultimo che non sopportava le immagini della propria miseria. Questo miserabilismo del Cinema Novo si oppone alla tendenza del digestivo, auspicata dal  critico in capo di Guanabara, Carlos Lacerda*: film di gente ricca in case belle, in auto di lusso, film allegri, comici, veloci, senza messaggi, con obiettivi prettamente industriali. Questi sono i film che si oppongono alla fame, come se, nella stufa e negli appartamenti di lusso, i cineasti potessero nascondere la miseria morale di una borghesia indefinita e fragile, o se gli stessi materiali tecnici e scenografici potessero nascondere la fame che è radicata nella civiltà stessa.

Come se soprattutto, con questa serie di paesaggi tropicali, si potesse mascherare l'indigenza mentale dei registi che fanno questo tipo di film. Ciò che ha fatto del Cinema Novo un fenomeno di importanza internazionale, era proprio l'alto livello di impegno per la verità, fu il suo stesso miserabilismo che, scritto prima dalla letteratura degli anni '30, è stato ora fotografato dal cinema degli anni '60, e se prima era scritto come critica sociale, oggi è discusso come problema politico.

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Le stesse tappe del miserabilismo nel nostro cinema sono internamente evolutive. Così, come osserva Gustavo Dahal, va dal fenomenologico (Porto das Caxias), al sociale (Deus eo Diabo), o al poetico (Canga Zumba), al demagogico (Cinco vezes Favela), allo sperimentale (Sol sobre a lama), al documentario (Garrincha, Alegria do Povo), alla commedia (Os mendigos), esperienze in molti sensi, frustrati gli uni, realizzati gli altri, ma tutti componendo alla fine di tre anni, un quadro storico che, non a caso, caratterizzerà il periodo Janio-Jango: il periodo della grande crisi di coscienza e di ribellione, di disordini e rivoluzione che culminò nel Golpe di aprile. E fu da aprile che la tesi del cinema digestivo guadagnò peso in Brasile, minacciando, in modo sistematico, il Cinema Novo.

Noi comprendiamo questa fame che l'europeo e il brasiliano in maggioranza non capiscono.

Per gli europei è un strano surrealismo tropicale.

Per i brasiliani è una vergogna nazionale. Essi non mangiano, ma si vergognano di dirlo, e soprattutto, non sanno da dove viene questa fame.

Sappiamo, di fare questi film brutti e tristi, questi film gridati e disperati dove non sempre la ragione e parla più forte, che la fame non sarà curata con le pianificazioni di gabinetto e che le toppe del technicolor non nascondono ma aggravano i loro tumori.

Così, solo una cultura della fame, minando le proprie strutture, può migliorarsi qualitativamente: e la più nobile manifestazione culturale della fame è la violenza.

L'atto di mendicare, tradizione introdotta con la redentrice pietà colonialista, è stata una delle cause di mistificazione politica e della sciovinista menzogna culturale: i rapporti ufficiali della fame chiedono soldi ai paesi coloniali con l'intenzione di costruire scuole, senza gli insegnanti, costruire case senza dare lavoro, insegnare mestieri senza insegnare l'alfabeto. La diplomazia chiede, gli economisti chiedono, la politica chiede: il Cinema Novo, in ambito internazionale, non ha chiesto niente, ha spinto la violenza delle sue immagini e suoni in 22 festival internazionali.

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Per il Cinema Novo, l'esatto comportamento di un affamato è la violenza, e la violenza di un affamato non è primitivismo. Fabiano è primitivo? Antao è primitivo? Le donne di Porto das Caxias sono primitive?

Il Cinema Novo: è un'estetica della violenza prima di essere primitiva e rivoluzionaria, qui è il punto di partenza affinché il colonizzatore di comprenda l'esistenza del colonizzato, solo sensibilizzando la loro unica possibilità, la violenza, il colonizzatore può comprendere dall'orrore, la forza della cultura che emana. Anche se non alza le armi il colonizzato è uno schiavo, fu necessario un primo poliziotto morto ai francesi per vedere un algerino.

Da una morale: tale violenza, tuttavia non è incorporata all'odio, come nemmeno diremmo che è legata al vecchio umanesimo colonizzatore. L'amore che questa violenza chiude è così brutale come la violenza stessa, perché non è un amore di compiacenza o di contemplazione, ma un amore di azione e di trasformazione.

Per questo il Cinema Novo non ha fatto melodrammi, le donne del Cinema Novo sono state sempre in cerca di una via d'uscita per l'amore, vista l'impossibilità di amare con la fame, la donna prototipo, quella di Porto das Caxias, uccide il marito, la Dandara di Ganga Zumba fugge dalla guerra per un amore romantico, Sinha Vitoria sogna di tempi nuovi per i figli, Rosa va al crimine per salvare Manuel e amarlo in altre circostanze, la ragazza del sacerdote ha bisogno di spezzare la routine per vincere un uomo nuovo, la donna de O Desafio rompe con il suo amante perché preferisce restare fedele al suo mondo borghese, le donne in Sao Paulo vogliono la sicurezza di un amore piccolo borghese e per questo cercheranno di ridurre la vita del marito a un sistema mediocre.

C'è stato un tempo in cui il Cinema Novo aveva bisogno di spiegarsi per esistere. Il Cinema Novo aveva bisogno di essere elaborato affinché si spiegasse, nella misura in cui la nostra realtà sia più visibile alla luce dei pensieri che non sono indeboliti o deliranti per la fame. Il Cinema Novo non può svilupparsi efficacemente, mentre permane al margine del processo economico e culturale del continente latino-americano anche perché il Cinema Novo è un fenomeno dei popoli colonizzati e non un'entità privilegiata del Brasile. Dove c'è un regista disposto a filmare la verità e affrontare gli standard ipocriti e di polizia della censura, lì ci sarà un germe vivo del Cinema Novo. Ovunque vi sia un regista disposto ad affrontare il mercantilismo, lo sfruttamento, la pornografia, la tecnicità, ci sarà un seme del Cinema Novo. Ovunque ci sia un regista di qualsiasi età, di qualsiasi provenienza, pronto a mettere i suoi film e la sua professione al servizio delle cause importanti del suo tempo, ci sarà un seme del Cinema Novo.

La definizione è questa, e per questa definizione del Cinema Novo si emargina l'industria, perché l'impegno del Cinema Commerciale è con la menzogna e lo sfruttamento. L'integrazione economica e industriale del Cinema Novo dipende dalla libertà dell'America Latina. Per questa libertà, il Cinema Novo si impegna nel suo nome, i suoi membri più vicini e lontani, dai più asini ai più talentuosi, dai più deboli ai più forti. Si tratta di una questione morale che si riflette nei film al momento di filmare un uomo o una casa, nel dettaglio che osserva, nella filosofia: non è un film, ma un insieme di film in evoluzione, che darà, alla fine, al pubblico, la consapevolezza della propria esistenza.

Per questo non avremo maggiori punti di contatto con il cinema mondiale. Il Cinema Novo è un progetto che si realizza nella politica della fame e della sofferenza, e per questo, tutte le conseguenti debolezze della sua esistenza.

Lacerdascrittore ed editore di destraera governatore dello Stato di Guanabara, diventato poi il Distretto Federaleche è stato la struttura amministrativa di Rio de Janeiro dal 1960 al 1975 [Nota di Tlaxcala]

Traduzione per TLAXCALA di Alba Canelli

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