Peter Schrank, Regno Unito
Veniamo ora ad alcuni esempi di variabili strumentali e di variabili-obiettivo. Alle prime appartengono senz’altro la spesa pubblica, la base monetaria e l’offerta di moneta, la leva fiscale; rientrano nelle seconde la piena occupazione, i redditi, la perequazione sociale, lo sviluppo industriale, ma anche la stabilità dei prezzi, l’equilibrio delle bilance commerciali. Come si vede, il raggiungimento di questi obiettivi richiede almeno due attori - governi e banche centrali - e un mix di politiche fiscali e monetarie (e/o valutarie). Una regola che, ancora oggi, è valida per tutti i Paesi del mondo, dalla Repubblica di Nauru in Oceania agli Stati Uniti d’America. Con la sola eccezione dell’Europa (eurozona), dove la banca centrale (BCE) è stata “denazionalizzata” e gli Stati vi si rapportano in condizione di formale subalternità. Cos’altro ha dimostrato, del resto, la tragica vicenda greca, se non il fatto che la volontà popolare conta tanto quanto niente di fronte al potere sovrabbondante, minaccioso, ricattatorio, del Leviatano di Francoforte? Un mondo rovesciato: dalle banche centrali al servizio degli Stati, agli Stati col cappello in mano dinanzi al portone delle banche centrali.
C’è una logica in questo? Certo che c’è. E’ la logica dell’ideologia neo-liberista (vogliamo chiamarla monetarista, neo-conservatrice?), secondo la quale gli Stati devono essere messi nella condizione di non nuocere all’economia, perché già da sé essa è capace di assicurare il necessario equilibrio negli scambi ed una razionale allocazione delle risorse (teoria dei mercati efficienti). In altri termini, si tratta di impedire allo Stato di “sprecare risorse”, semplicemente mettendolo nella condizione di non poter spendere. Ma come raggiungere questo obiettivo? Per esempio, spezzando nettamente il rapporto tra autorità politica ed autorità monetaria. In questo modo, si toglie agli Stati (“agenti della politica economica”) la facoltà di avvalersi di una “variabile strumentale” (ricordate?) fondamentale per il conseguimento dei propri fini (“variabile-obiettivo”), limitandone, quasi fino ad annullarle, le loro prerogative, anche di derivazione costituzionale, in materia di politica economica e di programmazione dello sviluppo. Si ricordi, a tal proposito, anche l’assunto di Friedrich August von Hayek, teorico dello «Stato minimo»: l’inflazione è un male da combattere con ogni mezzo, i cui responsabili sono i governi con la loro abnorme creazione di moneta, finalizzata a «garantire speciali benefici a gruppi di clientes sempre più numerosi»[6].
Questa conclusione, già alla base dei “divorzi” tra governi e banche centrali nazionali a cavallo tra gli anni settanta e gli anni ottanta, ha trovato un’applicazione “radicale” in Europa, con la transnazionalizzazione del potere della banca centrale, ovvero facendo della stessa un’entità totalmente indipendente, anche fisicamente, dal potere politico[7]. La stabilità dei prezzi e il divieto di finanziamento monetario dei disavanzi pubblici diventano, a questo punto, un dogma, anche a fronte dei cicli avversi[8]. Ma non finisce qui. In Europa sono stati sterilizzati anche gli altri due strumenti principe a disposizione degli Stati per dare gambe alle loro strategie di breve, medio o lungo termine: la politica valutaria e quella di bilancio o fiscale. La prima è inibita dalla moneta unica, la seconda dal vincolo del pareggio di bilancio previsto dal patto di stabilità europeo (Fiscal compact). Ci si è chiesti, del resto, perché, ad esempio, nel nostro Paese quelli che un tempo erano i “Documenti di programmazione economica e finanziaria (DPEF)” ora si chiamano “Documenti di economia e finanza (DEF)”?[9] Non è, certamente, una questione lessicale. O non solo. Piuttosto, è il segno del tentativo di “oggettivizzazione” del dato economico contingente e dei meccanismi preposti alla sua riproduzione. E’ rimasta l’”economia” e la “finanza”, in quanto dati “oggettivi”, ma è scomparsa la “programmazione economica e finanziaria”, che presuppone la funzione politica del Governo.
Ma se uno Stato non può influire sulla politica monetaria, né può svalutare la propria moneta e fare spesa in deficit - in pratica è privato di tutti gli strumenti della politica economica -, come può far fronte ai problemi dell’economia e della società? Gli restano le tasse, i salari dei lavoratori, i tagli alla spesa sociale e la svendita del patrimonio pubblico. In altri termini, può sempre scaricare sui ceti più deboli il costo delle crisi e, più in generale, dalla competitività, com’è accaduto massicciamente in questi ultimi anni. Chiuso il cerchio. L’Europa, da patria del socialismo, o più modestamente del welfare state, è stata ridotta a laboratorio del post-modernismo liberista. Così, del modello sociale europeo, ovvero quel sistema che ha fatto vivere per decenni le nuove generazioni nella convinzione che la loro vita sarebbe stata migliore di quella dei propri padri, non è rimasto ormai che un sottile vestigio.
Note
[1] James Kenneth Galbraith-Stanislav Mensikov, Le nuove prospettive dell’economia mondiale, Rizzoli, 1989
[2] Vittorio Valli, Politica economica, La Nuova Italia Scientifica, 1993
[3] Ibidem
[4] La manovra da 831 miliardi di dollari aveva come obiettivo la creazione “immediata” di nuova occupazione, il potenziamento della rete di protezione sociale per i soggetti più colpiti dalla crisi, il rilancio dell'economia attraverso investimenti diretti in infrastrutture, istruzione, sanità, energie rinnovabili. Tale operazione è stata coniugata con quella di Quantitative Easing (QE), che dal settembre del 2012 ha immesso nel sistema liquidità ad un ritmo di 85 miliardi di dollari al mese (ridottosi ora a 45 miliardi per effetto del tapering iniziato a maggio del 2013).
[5] Si ricordano per quegli anni il Piano Pandolfi 1979-1981, il Piano La Malfa 1981-1983, il Piano De Michelis del 1985.
[6]Friedrich August von Hayek, Denationalization of Money: An Analysis of the Theory and Practice of Concurrent Currencies, Londra, 1976
[7] Art. 130 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue): « Nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell'Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti. »
[8] L’autonomia della politica monetaria, Una riflessione a trent’anni dalla lettera del Ministro Andreatta al Governatore Ciampi che avviò il “divorzio” tra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia, Atti della Banca d’Italia, 15 febbraio 2011
[9] A tal proposito si veda anche: Luigi Pandolfi, C’era una volta la Programmazione economica finanziaria, Linkiesta, 08/05/2013
Di Luigi Pandolfi[1] James Kenneth Galbraith-Stanislav Mensikov, Le nuove prospettive dell’economia mondiale, Rizzoli, 1989
[2] Vittorio Valli, Politica economica, La Nuova Italia Scientifica, 1993
[3] Ibidem
[4] La manovra da 831 miliardi di dollari aveva come obiettivo la creazione “immediata” di nuova occupazione, il potenziamento della rete di protezione sociale per i soggetti più colpiti dalla crisi, il rilancio dell'economia attraverso investimenti diretti in infrastrutture, istruzione, sanità, energie rinnovabili. Tale operazione è stata coniugata con quella di Quantitative Easing (QE), che dal settembre del 2012 ha immesso nel sistema liquidità ad un ritmo di 85 miliardi di dollari al mese (ridottosi ora a 45 miliardi per effetto del tapering iniziato a maggio del 2013).
[5] Si ricordano per quegli anni il Piano Pandolfi 1979-1981, il Piano La Malfa 1981-1983, il Piano De Michelis del 1985.
[6]Friedrich August von Hayek, Denationalization of Money: An Analysis of the Theory and Practice of Concurrent Currencies, Londra, 1976
[7] Art. 130 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue): « Nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell'Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti. »
[8] L’autonomia della politica monetaria, Una riflessione a trent’anni dalla lettera del Ministro Andreatta al Governatore Ciampi che avviò il “divorzio” tra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia, Atti della Banca d’Italia, 15 febbraio 2011
[9] A tal proposito si veda anche: Luigi Pandolfi, C’era una volta la Programmazione economica finanziaria, Linkiesta, 08/05/2013
Fonte: http://bit.ly/1QJVyxY
Data dell'articolo originale: 29/09/2015
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=16058
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