9 agosto 2015

1964: Aldo Moro doveva morire

Un piano segreto per uccidere l'artefice del centrosinistra. Lo aveva scoperto Mino Pecorelli. «L'Europeo» riapre un caso clamoroso
Aldo Moro è sopravvissuto fino a quel 9 maggio 1978, quando le Brigate Rosse decisero la sua esecuzione. Sì, sopravvissuto: perché Moro doveva morire 14 anni prima, nel 1964, in pieno centrosinistra nascente, per mano di un ufficiale dei paracadutisti, il tenente colonnello Roberto Podestà. È stato Mino Pecorelli a rivelare questo piano per rapire e ammazzare il leader DC. Già, ancora Mino Pecorelli: giornalista legato a doppio filo ai servizi segreti più deviati, iscritto alla loggia P2 di Licio Gelli, sospettato di ricatti, ucciso con quattro pallottole in bocca e una al cuore nel 1979. (…) Perché tanto silenzio intorno a quel giornale? 

Il piano del 1964 per eliminare Moro fu rivelato da Pecorelli il 19 novembre 1967. Ma nessuno, dei pochi che lesserò il suo articolo (non firmato) su Il Nuovo Mondo d'Oggi, ne parlò e neppure smentì. Quell'articolo fu ignorato completamente e forse deliberatamente anche quando, 11 anni dopo, Moro fu rapito e ucciso. La denuncia di Pecorelli nel 1967 era clamorosa, perché si riferiva a un episodio cruciale di uno degli anni più torbidi della storia della Repubblica: durò 204 giorni, dal 5 dicembre 1963 al 26 giugno 1964, il primo governo con ministri socialisti. Presidente del Consiglio Aldo Moro, vicepresidente Pietro Nenni, Giuseppe Saragat agli Esteri, Giulio Andreotti alla Difesa e Paolo Emilio Taviani agli Interni. 
La nazionalizzazione dell'energia elettrica aveva spaventato i settori più moderati dell'opinione pubblica. Anche in Vaticano c'era chi ammoniva Moro a non esagerare, paventando chissà quali cataclismi sociali. E, nel maggio 1964, il ministro del Tesoro Emilio Colombo alimentò la paura con una lettera al presidente del Consiglio (ma recapitata ai giornali prima che a Moro) per dipingere a tinte losche l'avvenire: 600mila disoccupati, economia a rotoli. Quanto bastava per intensificare le pressioni sul presidente della Repubblica, Antonio Segni, perché consegnasse l'incarico di capo del governo a un altro dc più «affidabile» come Mariano Rumor o Giovanni Leone. 

Ma già il 22 gennaio di quello stesso anno un rapporto al Sifar del generale Enrico Formisano, capo del servizio segreto dell'Esercito, segnalava una «diffusa ostilità degli ambienti industriali nei confronti di Moro», gli stessi, probabilmente, che avevano letto nella nascita dell'Enel il presagio di incontrollabili avventure egemonizzate dai social-comunisti. Poche notizie ma tutte riservate E sempre il 1964 è l'anno del «piano Solo», il cosiddetto colpo di Slato del generale Giovanni De Lorenzo, l'uomo delle schedature illegali quando era a capo del Sifar (il servizio segreto delle Forze armate) e poi comandante generale dei carabinieri. In questo clima maturò, secondo la ricostruzione di Pecorelli, il piano per eliminare lo scomodo leader dc. «Dovevo uccidere Moro» era il titolo della copertina di Il Nuovo Mondo d'Oggi del 19 novembre 1967. 
Mino Pecorelli

A quell'epoca Pecorelli aveva abbandonato la sua attività di avvocalo e non aveva ancora fondato l'agenzia Osservatore politico, più nota come Op, quella che pubblicò negli Anni '70 tanti scottanti dossier politici. Dossier che gli costarono la vita il 20 marzo 1979. Dodici anni prima della sua morte, Pecorelli aveva ideato il settimanale Il Nuovo Mondo d'Oggi. Poche migliala di copie. Ma ricco di notizie «riservate». Specialmente sulle manovre interne del Palazzo e del Sifar. Pecorelli non firmava: risultava solo come editore. Insieme a uno strano socio. Il 28 luglio del 1967 il giornalista andò a Roma, nello studio del notaio Achille De Martino, per costituire la società Editoriale Mondo D'Oggi, insieme al socio Leone Cancrini, commerciante, nominato amministratore unico fino al 20 marzo 1968. I due si divisero a metà le azioni. In seguito Cancrini lasciò la poltrona di amministratore ad Alfonso Romagnoli, a quell'epoca domiciliato a Roma in via Tacito 50. Cioè lo stesso indirizzo di casa di Pecorelli. E della futura agenzia Op, nata nel 1969. 

Le pubblicazioni del nuovo settimanale iniziarono due mesi più tardi. Nella rubrica «L'Editore dice che...» Pecorelli anticipò i contenuti della sua linea: inchieste sul Sifar, sugli affari dell'Alitalia, della Sip e di alcune multinazionali americane. Scrisse articoli sulla Cia e il Kgb. Si occupò della mafia. Una squadra di ranger scelti uno a uno Fino a quel titolo su Moro e al racconto riguardante il tenente colonnello Roberto Podestà. Eccolo: «Egli [Podestà, ndr] sarebbe stato prescelto in base alla sua particolare personalità militare, dopo un colloquio con un ex ministro della Difesa, che agiva d'accordo con altre personalità politiche. Quale parte avrebbe dovuto avere l'ufficiale nel complotto del '64? Eliminare il presidente del Consiglio Aldo Moro». 

Scriveva ancora Pecorelli: «Podestà avrebbe comandato un reparlo di ranger e dopo aver messo fuori combattimento la guardia del corpo del Presidente, lo avrebbe fatto prigioniero, trasferendolo in una località sconosciuta. I ranger sarebbero stati prescelti all'ultimo momento. Il colonnello era stato istruttore dei ranger italiani durante un corso da lui stesso istituito intorno al 61». Truppe speciali. Quale struttura militare poteva organizzare lecitamente una simile operazione? Podestà, secondo quanto risulta all’Europeo, all'epoca dei fatti operava in una caserma del Friuli-Venezia Giulia. Cioè l'area di maggior concentramento degli uomini di Gladio, la struttura militare clandestina rivelata da Andreotti (provocando l'irritazione di Francesco Cossiga, allora presidente della Repubblica) nell'agosto del 1990 e gestita dal Sismi. 



La colpa doveva ricadere su «elementi di sinistra» «In quel tempo l'ufficiale dei paracadutisti scriveva articoli sull'organizzazione di truppe speciali italiane, su un giornale che era l'organo ufficiale di un partito di combattenti fondato a Milano da un certo Giacomo Lalli, le cui ambizioni politiche finirono per portarlo in un luogo ben diverso da Montecitorio (...). Stando a quello che dichiara l'ufficiale, in un giorno imprecisato del 1964 egli fu avvicinato da un funzionario di un non precisato ministero, il quale lo informò che alcuni alti personaggi avevano bisogno della sua opera di soldato e patriota. Il piano, secondo Podestà, prevedeva di eliminare l'onorevole Moro, già d'allora presidente del Consiglio, e di fare in modo che la colpa ricadesse su elementi di sinistra. Purtroppo, per gli ideatori del colpo, tutto andò a monte, perché intanto si erano venuti a modificare alcuni presupposti per un cambiamento di regime. 

I motivi del presupposto disagio erano venuti a cadere e inoltre era stato eletto il nuovo presidente della Repubblica nella persona dell'onorevole Saragat». «Chi risentì maggiormente della fine di tutti i sogni di potere, orditi alle spalle dei nostri democratici governanti, sarebbe stato appunto il povero colonnello Podestà, il quale cominciò a dar fastidio. Egli fu allora trasferito in una zona di confine come ufficiale di collegamento in una base Nato e da quel momento cominciò la sua rovina (...). Nel giro di pochi mesi si immerse in un giro vorticoso di debiti, venne denunciato e, dal tribunale militare di Padova, condannato». «Podestà - si legge ancora nell'articolo del Nuovo Mondo d'Oggi - aveva una serie di cartine nelle quali erano riportati i tragitti abituali del presidente del Consiglio Moro, con tutti gli orari, il nome delle persone a seguito, il numero preciso degli agenti della Presidenziale che sorvegliavano la sicurezza del presidente. Inoltre l'ufficiale dei paracadutisti, che a suo dire avrebbe dovuto portare a termine l'incredibile missione, era in possesso di una serie di fotografie della casa dell'onorevole Moro e di una lista completa di tutte le guardie speciali che si alternavano alla vigilanza del presidente del Consiglio. 

Di queste guardie, un rapporto aggiornato in possesso di Podestà, dava tutti i dati fisici e morali: il peso, la probabile forza fisica, il coraggio, lo spirito di iniziativa e di decisione. Inoltre esisteva anche un progetto di corruzione di queste guardie del corpo queste guardie del corpo». «Una volta impadronitisi del presidente del Consiglio, Podestà e i suoi uomini lo avrebbero condotto, come s'è detto, in una località segreta. L'ufficiale dei paracadutisti ha aggiunto, per colorire il dramma del racconto, che durante la prigionia Moro avrebbe potuto essere ucciso: questa eventualità veniva lasciata alla discrezione di chi avrebbe dato ordini per lo svolgersi delle varie fasi del colpo militare». Ma davvero Podestà era un millantatore Dopo l'uscita di queste notizie la società di Pecorelli entrò in crisi. Il settimanale cessava le pubblicazioni all'inizio dell'estate. E il 17 dicembre del '68 il giornalista denunciò strane manovre azionarie nella sua società, durante un'assemblea alla quale parteciparono due nuovi soci, Vincenzo Colacino e Antonio Donati. 

Nel verbale di quella riunione si legge: «L'avvocato Pecorelli contesta che il Donati sia titolare di 34 quote, ma, eventualmente, di 12». Colacino, invece, contestò la validità dell'assemblea. E fece una strana dichiarazione: «Sussistono irregolarità nella tenuta dei soci e risultano invitate persone che non rivestono la qualità di socio». Ma chi era Roberto Podestà? Un millantatore o un militare inserito in una organizzazione clandestina? Perché fu proprio Pecorelli a darne notizia? E perché proprio nel '67? Dopo la pubblicazione del fallito attentato a Moro l'ufficiale fu espulso dall'esercito e accusato di truffa aggravata per emissione di assegni a vuoto. Per alcuni mesi girovagò l'Italia a bordo della sua auto, una Opel Record targata Livorno 43062, in compagnia di una bionda ventiduenne, Emilia Tombelli, all'epoca domiciliata a Roma in via Germanico 7. Poi è sparito dalla circolazione per un lungo periodo. 

Oggi Podestà ha 71 anni. Vive in Piemonte. Ha una casa a Roma. Ma è irrintracciabile. Fino a pochi anni fa abitava in via Emanuele Filiberto 217, a casa della moglie Irma Iannilli. Che però afferma di non avere sue notizie da tempo: «Non so dove sia. A volte telefona. Ma perché lo cerca?». Neppure il figlio sa più dove si trovi. Anche suo figlio, Giorgio Podestà, avvocato civilista presso lo studio dell'ex deputato radicale Mauro Mellini, non sa e non vuole sapere nulla: «L'ho visto l'ultima volta quando avevo 17 anni». Nel 1988 Podestà è ricomparso sulla scena come direttore responsabile della rivista Secondo Risorgimento (iscritta al tribunale di Napoli il 20 giugno 1981), scrivendo di forze armate. Nel comitato di redazione figurava il generale Luigi Poli, ex capo sezione Nato dell'ufficio Politica militare, nominato capo di Stato maggiore dell'esercito nel 1985, eletto senatore nelle file della Dc nel 1987. 

Durante la direzione della rivista (durata circa due anni) Podestà si è avvalso della collaborazione di alcuni suoi amici. Uno in particolare: Karol Kleszcynsky, 75 anni, polacco, ex combattente, direttore della rivista Polonia in Europa e presidente di Eurafrica, con sede a Roma in via XX Settembre 26. «Sì, conosco bene Podestà - dice Kleszcynsky al telefono - ma se vuole mettersi in contatto con lui passi nel mio ufficio». E’ sospettoso, Kleszcynsky e all'appuntamento fissato fa marcia indietro: «Podestà l'ho conosciuto molti anni fa. Faceva parte della divisione Folgore. Non so dove sia adesso». Podestà potrebbe spiegare molte cose. Innanzitutto, come finì quel racconto sulla scrivania di Pecorelli. E poi, in quanto militare e istruttore di corpi speciali, Podestà conosceva Gladio? 

Il suo nome risulta nella lista completa dei 3.650 gladiatori (finora sono stati resi pubblici solo 622 nomi, perché al Sismi sono spariti i documenti relativi agli altri componenti)? Ma che cosa sapeva Pecorelli di Gladio? Quando Pecorelli iniziò a pubblicare Op dimostrò di essere a conoscenza di molte trame segrete. Durante il sequestro Moro, per esempio, pubblicò scottanti documenti sull'attività delle Br. Riuscì a ottenere quattro lettere segrete scritte dall'esponente democristiano durante la sua prigionia. E avanzò il sospetto che dietro le Br ci fosse ben altro. 

Nel numero dì Op del 12 settembre 1978 scriveva: «Le Br non rappresentano il motore principale del missile: esse agiscono come motorini per la correzione della rotta dell'astronave Italia». Pecorelli conosceva l'esistenza di Gladio? Era questo uno dei suoi terribili segreti? Nel numero 28 e 29 di Op (ottobre 1978) il giornalista fece rivelazioni sul famoso memoriale Moro: «Ci risulta che sul memoriale originale di Moro figurino frasi come queste: "Andreotti per 30 anni ha sempre e solo pensato al suo interesse personale e continua così.., è inoltre legato a gruppi di affaristi e mestatori"». Alcuni brani del memoriale Moro anticipati nel '78 da Pecorelli sono stati ritrovati nell'ottobre del 1990 nel covo brigatista di via Montenevoso, a Milano. Quelle fotocopie contenevano dichiarazioni di Moro relative all'esistenza di Gladio. Sulla vicenda i sostituti procuratori di Roma, Franco Ionta e Nitto Palma, hanno aperto un'inchiesta per accertare in che modo il direttore di Op era riuscito a procurarsi il vero memoriale. Un altro mistero. 

Fonte: L’Europeo n.43, del 25 ottobre 1993

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