Daniel Munevar è un giovane economista post-keynesiano di Bogotá. Ha lavorato con Yanis Varoufakis come consigliere per politiche di bilancio durante il periodo in cui Varoufakis è stato ministro delle Finanze in Grecia. Precedentemente è stato consigliere fiscale al ministero delle Finanze colombiano, e consigliere speciale per gli investimenti esteri diretti al ministero degli Esteri dell’Ecuador. È considerato uno dei più autorevoli esperti nello studio del debito pubblico latinoamericano. Questo rende particolarmente interessante la sua valutazione delle trattative e dell’accordo fra Grecia e creditori. In questa intervista esclusiva spiega perché gli eventi delle ultime settimane gli hanno fatto cambiare opinione sul Grexit.
Cosa ne pensi dell’ultimo accordo raggiunto fra la Grecia ed i suoi creditori?
Gli obiettivi di bilancio non sono ancora stati annunciati, ma dando un’occhiata alle analisi di sostenibilità del debito (Debt Sustainability Analysis, DSA) pubblicate sia dall’FMI e che dalla Commissione, vediamo che entrambe indicano l’obiettivo di un avanzo primario nel medio termine del 3,5%.
Negli ultimi cinque anni la Grecia ha “migliorato” il suo bilancio strutturale – riducendo la spesa ed aumentando le tasse – di ben 19 punti di PIL. Nello stesso periodo il PIL del paese è crollato all’incirca del 20%: praticamente un rapporto 1:1. Partendo da un disavanzo primario dell’1% – che la previsione generalmente condivisa per quest’anno –, si rende necessario un aggiustamento superiore al 4% del PIL. Vale a dire che il PIL crollerà di altri 4 punti percentuale da qui al 2018.
Questo ci porta ad un altro punto essenziale, ossia che l’accordo attuale è solo un assaggio di quello che verrà. Il memorandum finale è destinato a contenere misure di austerità ancora più severe, a compensazione del calo del PIL che si è verificato in questi ultimi mesi per via dello stallo con i creditori. Il problema è che questi memoranda stanno trasformando la Grecia in una colonia debitrice: sostanzialmente si stanno creando un insieme di regole che in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio – cosa che accadrà fatalmente – forzeranno il governo a ulteriori tagli, che a loro volta provocheranno un’ulteriore diminuzione del PIL, il che implicherà un’austerità ancora maggiore, e così via. È un infinito circolo vizioso.
Ciò mette in luce uno dei principali problemi di tutta questa situazione: il fatto che le istituzioni hanno sempre separato gli obiettivi fiscali dall’analisi della sostenibilità del debito. La logica di avere una riduzione del debito è che sostanzialmente questo ti permette di conseguire obiettivi fiscali più contenuti e di distribuire nel tempo l’impatto del consolidamento di bilancio. Ma nel caso greco, anche se ci fosse un alleggerimento del debito nella misura auspicata da Atene – il che è improbabile – il paese dovrebbe comunque fare austerità, in aggiunta a ciò che è già stato fatto.
Almeno la riduzione del debito è diventata materia di aperta discussione…
A proposito di Grexit, non è contraddittorio il fatto che la Germania si opponga alla riduzione del debito ma ammetta una soluzione che quasi certamente causerebbe il default del debito estero greco, causando quindi alla Germania la perdita di tutti i crediti che vanta nei confronti del paese ellenico?
Il governo greco era consapevole che i creditori, fin dall’inizio, non avevano alcun intenzione di esaminare la questione della riduzione del debito?
La maggioranza nella squadra di Tsipras ha sempre creduto che se la Grecia avesse fatto concessioni sarebbe stata in grado di ottenere un buon accordo. È la ragione per cui dopo l’Eurogruppo di Riga Tsipras ha praticamente esautorato Varoufakis e ha iniziato a fare concessioni, sperando che la strategia funzionasse. È stata questa la strategia del governo negli ultimi mesi. Se paragoniamo le proposte ora sul tavolo con quelle di marzo, vediamo che c’è stato un completo rovesciamento in senso peggiorativo.
Questo perché quella gente credeva che attraverso le concessioni sarebbero riusciti a negoziare un buon accordo. E questo spiega anche perché, fino al referendum, la riduzione del debito non era nemmeno in agenda. Naturalmente questa strategia non ha funzionato, perché i creditori non avevano intenzione di accordare alla Grecia alcunché che potesse essere interpretato come una vittoria politica per la Grecia.
Pensi che sarebbe stato meglio, per il governo greco, attenersi alla strategia di Varoufakis, riduzione del debito o niente?
Quindi entrambe le strategie – quella di Varoufakis e quella di Tsipras – erano condannate al fallimento fin dall’inizio?
Pensi che l’introduzione di cosiddetti “pagherò” (quelli che in Italia vengono chiamati “certificati di credito fiscale” e che in inglese vengono chiamati IOU, che sta per I Owe You, ‘io ti devo’) – come suggerito sia da Varoufakis che da Schäuble – fosse un’alternativa praticabile?
È per questo che il governo greco ha rifiutato questo metodo di finanziamento, perché il rischio era quello di iniziare un processo da cui non si poteva più tornare indietro. Basta osservare quello che sta accadendo oggi con i depositi bancari greci: in un certo senso la Grecia ha già un piede fuori dall’euro perché è in una situazione in cui i depositi bancari non sono scambiati alla pari con la moneta: un euro nel sistema bancario ha effettivamente meno valore di un euro contante. Questo perché il solo parlare di Grexit ha creato un rischio differenziale tra contante e depositi, giacché sarebbero i depositi a essere convertiti in dracme in caso di uscita. Ciò spiega anche la ragione per cui molte attività ad Atene non accettano le carte di credito. Con gli IOU accadrebbe verosimilmente lo stesso: si metterebbe in moto un meccanismo auto-alimentato che porterebbe facilmente all’uscita, a prescindere dagli obiettivi del governo.
Che è probabilmente quello che Schäuble sperava…
Pensi che la Grecia dovrebbe optare per l’uscita dall’euro?
Questo accordo semplicemente posticipa l’inevitabile. Perché a questo punto è chiaro che nell’eurozona non esiste la volontà politica di risolvere i problemi strutturali dell’euro. Che guarda caso è proprio ciò che l’ultimo rapporto dell’FMI essenzialmente implica: o si fa una ristrutturazione del debito o si stabilisce un sistema di trasferimenti fiscali per la Grecia – in altre parole, si crea un’Europa federale. Sappiamo tutti qual è il peccato originale dell’euro: avere stabilito una moneta comune senza prevedere un sistema di trasferimenti. Ma la volontà politica di risolvere questo punto non esiste. Per cui tanto vale prendere atto che il sistema non funziona. Questo, dopo quanto successo in Grecia, non dovrebbe essere più un tabù.
Per concessione di eunews
Fonte: http://www.socialeurope.eu/2015/07/why-ive-changed-my-mind-about-grexit/
Data dell'articolo originale: 23/07/2015
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=15422
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